L’agro Carinese divide il suo territorio in due zone distinte nelle quali si può osservare: un’area montana ed una pianeggiante che si estende lungo il litorale.

Ad ovest confina con il comune di Cinisi, ad est il suo limite si spinge lungo una lingua di terra verso Capaci.

Il torrente Ciachea rappresenta e definisce l’omonima contrada la quale anticamente, per la sua natura acquitrinosa e paludosa, fu impiantata a cannamele , coltura che introdotta dagli arabi si praticò fino alla seconda metà del XVI secolo.

In questo periodo la coltura della canna da zucchero e la raffinazione del prodotto divenne un grosso affare per privati e amministratori pubblici, tanto che s’impegnarono ingenti capitali per praticarla.

Si prestava molto bene a tali colture la zona est del torrente Ciachea; l’unico inconveniente erano le frequenti invasioni piratesche che infestavano i litorali.

Nel cinquecento, per ovviare a questo inconveniente, alcuni privati si organizzarono con la costruzione di bagli fortificati, tali da diventare una caratteristica di quel periodo, al cui interno erano erette delle torri d’avvistamento.

E’ il caso di baglio Ciachea che, con la sua torre cinquecentesca, consentiva ai contadini di potere ricevere immediato rifugio e difesa.

Oggi si presenta arretrato dal litorale ed è facile raggiungerlo dalla strada statale 113, attraverso un cancello. Un lungo viale alberato porta davanti all’ingresso principale formato da portici d’età recente.

Un gran portone con arco ogivale immette in un vestibolo che introduce in una vasta corte quadrata planimetricamente chiusa da una cinta di mura sulla cui struttura s’intervallano delle feritoie, mentre all’interno si rinserrano vari edifici di diversa composizione costruiti in successive epoche: magazzini e depositi, oltre stalle e un palmento, un frantoio di cui rimangono due ruote di pietra che fanno bella mostra nell’atrio, oltre strutture per uso abitativo ed un bellissimo giardino con gazebi, isolato da un muro perimetrale dove vegeta un grazioso rampicante color celestino.

La casa padronale disposta sul lato destro dell’ingresso è articolata su un piano e vi si entra da una scala esterna nascosta da un’avviluppante vite americana.

Al centro della corte si eleva maestosa la torre a pianta quadrata che con la sua forma parallelepipeda raggiunge due piani divisi da un solaio ligneo.

La sua struttura esterna è serrata agli angoli da spighi di tufo squadrati che mantengono l’elevata altezza.

Il primo piano presenta due ambienti: uno con camino e forno, l’altro, con una feritoia aperta sulla parete rivolta verso il mare, permetteva di fare buona guardia al litorale.

Era questo il luogo dove sostavano i “torrari”, ingaggiati dai padroni; essi costituivano un piccolo esercito padronale.
Una scala interna, realizzata nello spessore del muro, si diparte dal piano terra per raggiungere il terrazzo da cui la visuale spazia a trecentosessanta gradi sul vasto golfo di Carini ed il suo entroterra.

Tanto verde, verde predominante d’ogni sorta d’essenza vegetale fa di questo baglio un’oasi particolare dove in passato una cappella gentilizia, dedicata a Sant’ Antonio, ed in particolare alla Vergine, curava lo spirito dei propri contadini. La cappella rimane oggi all’interno della corte, in attesa di un nuovo rintocco della campana che, situata in cima alla torre, scandiva le ore della giornata lavorativa annunciando l’inizio e la fine del lavoro dei campi.

La torre al suo esterno presenta una caditoia che, sporgendosi dal muro perimetrale, aveva la funzione di proteggere l’ingresso in caso di difesa estrema, mentre il primo impatto era riservato agli uomini che sostavano sopra il camminamento di ronda tracciato sopra le mura di recinzione, ancora oggi esistente, e alle piccole torrette situate agli angoli del recinto bastionato.

Alle pareti si aprono diverse finestre con profilo quadrato, coperte in massima parte da un delizioso rampicante, mentre la parete principale reca ancora una sbiadita meridiana che evoca i tempi passati.

Al piano terra, dove stranamente è ubicato, l’ingresso immette in un grande ambiente, alle torri l’accesso ed al primo piano. Al centro un pozzo che, fatto eccezionale, fornisce ancora acqua; generalmente in questi locali veniva ubicata la cisterna per l’approvvigionamento idrico.

Un secondo pozzo, con tanto d’argano, prospetta all’esterno della torre e nel cortile, dalla caratteristica pavimentazione con ciottoli di mare a disegni regolari; un mattone di cotto sostituisce le canalette di scolo che consentivano lo smaltimento dell’acqua piovana o delle deiezioni degli animali.

Nel 1577 l’ingegnere senese Tiburzio Spannochi, incaricato dall’allora viceré Marco Antonio Colonna, la incluse nella relazione di ricognizione per fornire il periplo dell’isola di torri d’avvistamento.

Successivamente le piantagioni di cannamele non rendevano più, e poiché il diffondersi della malaria impose di prosciugare la zona, venne a cessare tale coltura e si sostituì con le “nuvari” o terreni coltivati a ortaggi.

Trovandosi a confine dei territori di Capaci e di Carini, i suoi più lontani proprietari vanno ricercati o tra i Pilo, conti di Capaci, oppure tra i La Grua, principi di Carini, i quali avevano la giurisdizione sul territorio di rispettiva appartenenza.

In seguito appartenne ad un ordine religioso, probabilmente i Domenicani, proprietari di altri possedimenti del circondario, come Giampaolo, Susinna e Luogogrande.

Di quel tempo è rimasta memoria di un certo frate Don Pietro, mezzo prete e mezzo brigante, ucciso con una roncola mentre spillava il vino dalla ben fornita cantina.

Nel 1866 il baglio, con gli estesi terreni di pertinenza, fu acquistato da Domenico Sommariva Grenier, esponente di una nota famiglia di armatori di origine ligure trapiantatosi a Palermo poco meno di un secolo prima.

Attorno al 1920 la grande tenuta di Ciachea fu venduta al barone De Pace e quindi, per successione, è pervenuta al barone Guido Calefati di Canalotti, attuale proprietario, al quale si deve il miglioramento e l’ampliamento della parte abitativa, tenuta con esemplare cura.

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