ORIGINI E LEGAMI DI UNA BARONIA NON ANCORA MARCHESATO

di Alessio Maria Camarda Signorino

Se è vero che la terra è indissolubilmente legata al destino degli uomini, che il pensiero vola spesso ad essa con un “O matri! O terra! Iu tornu!” [1] tanto sensuale quanto carico di ataviche certezze, è altrettanto vero che il possesso della stessa ha mosso spiriti, ardimenti, desideri e aspirazioni di tante generazioni di uomini. Una forza motrice talmente potente da travalicare confini geografici, culturali e temporali.

La Sicilia come crocevia di culture non è esente da cupidigie forestiere e locali, disegnate e rappresentate a tinte forti, come il sole isolano, dalla mano di Clio.

Ne è vivo esempio l’antica terra di Sambuca, adagiata all’ombra del monte Adranone, legata indissolubilmente alla famiglia Beccadelli ben prima della sua definitiva acquisizione nel XVII secolo. Luogo antico, dove è facile “sentire” il sussurro della Storia, usando i dati e le fonti per strapparla dall’intrico di pagine scritte, fredde e mute per i più.

I Beccadelli di Bologna, homines novi di origini emiliane, riuscirono ad arricchirsi tramite l’allora fiorente commercio dello zucchero, oro bianco per eccellenza [2]. Tale redditizia attività, capace di creare veri e propri patrimoni, permise alla famiglia di completare la tanto agognata scalata sociale. Una scalata che pur vedendoli a pieno titolo come appartenenti al patriziato di toga, già pronto a sostituire parte dell’antica aristocrazia, non poteva essere completo in una società di antico regime se non tramite l’ingresso nei ranghi feudali siciliani. Molte famiglie infatti, spesso di origini pisane o genovesi e arricchitesi lungo il XV secolo tramite la mercatura, avevano acquistato titoli feudali siciliani o napoletani. I Settimo di Pisa, ad esempio, poi Principi di Fitalia e Marchesi di Giarratana. I Pinelli di Genova, creati nel corso dei secoli Duchi di Acerenza, Marchesi di Galatone, Conti di Copertino, Principi di Belmonte, solo per citare parte dell’opulenta rosa di titoli. O ancora i pisani Vanni, Principi di San Vincenzo, e gli Alliata, fregiatisi di otto principati, di tre ducati nonché di numerose baronie e signorie.

Non fecero eccezione, appunto, i Beccadelli, trasferitisi in Sicilia con Vannino nel 1303 [3].

Gilberto e Pietro Beccadelli, fratelli germani e figli di Nicola, acquistarono in data 23 marzo 1491 la Baronia di Sambuca in potere del Conte di Caltabellotta Carlo Luna, tramite atto rogato in Palermo dal Notaio Simone La Senia [4]. L’acquisto, per una cifra che ammontava a 10.500 fiorini, venne fatto con la clausola imposta dai Luna del riscatto degli antichi proprietari cum pacto tamen reddimendi.

Tale patto verrà attuato dal nipote di Carlo Luna, ma non prima di un ventennio, dando la possibilità a diversi membri della famiglia Beccadelli di fregiarsi di questo neo acquisito titolo feudale. I primi investiti, come già detto, furono Pietro e Gilberto. Alla morte di Pietro nel 1503, comincia a delinearsi la futura querelle per la successione della terra di Sambuca che rimarrà pro indivisa tra le figlie dello stesso e il nipote Francesco, nato dal fratello Gilberto e dalla figlia del barone di Falconeri -nonché erede del feudo di Capaci- Virginia Omodei [5].

Il De Lellis, nei Discorsi postumi del Signor Lellis di alcune poche nobili famiglie, cita infatti l’unico figlio maschio di Pietro, Gherardo, che “fu Barone della detta Terra della Sambuca, e n’ottenne l’investitura à 20 maggio 1504” [6] . In realtà, consultando gli archivi della Real Cancelleria risulta investito un anno prima, nel 1503 [7], del feudo e baronia di Sambuca . Costui morì nel 1507, celibe e senza eredi naturali, dando il via alla successione tra i Settimo, gli Alliata, i Leofante da una parte, e Francesco Beccadelli e Omodei dall’altra, investitosi per successione paterna nel 1493 [8].

Le pretese di queste tre famiglie vantavano una successione maritali nomine in quanto, tranne nel caso di Lauria rimasta nubile, le germane Onofria, Francesca ed Eleonora Beccadelli avevano sposato nell’ordine Antonio Settimo, Giovanni Alliata e Girolamo Leofante.

Tutte le sorelle, infatti, si erano investite del feudo il 21 giugno 1508 [9]. Solo Antonio Settimo ebbe la meglio, nonostante le pretese dei cognati, investendosi anch’esso ed in nome della moglie nel 1510 [10] .

Costoro sono gli ultimi investiti della baronia di Sambuca, facenti parte della ricca genealogia dei Beccadelli. Dopo pochi anni la spada di damocle, forse dimenticata, del patto di ricompra si presenterà puntuale con Giovanni Luna, nipote ex fratre di Carlo Luna [11] .

La perdita, solo momentanea, del feudo di Sambuca non abbatterà il cursus honorum all’interno dell’aristocrazia feudale da parte di Francesco, “vir ingenio et rebus gestis clarissimus” [12] e unico erede maschio sopravvissuto. Oltre ad aver ereditato per successione femminile, in forza della madre Virginia, la baronia di Falconeri agli atti del Notaio Matteo Fallera di Palermo in data 29 luglio 1506, seguita dal feudo di Capaci, aveva fatto di tutto per rientrare attraverso il baronaggio tra i Parì del Regno con un seggio nel parlamento siciliano.

Palazzo Beccadelli a Sambuca di Sicilia

Non solo accorpò i feudi ricevuti dalla madre, trasformando Capaci in baronia con jus populandi, avendo ottenuto regio benestare il 20 maggio 1523, ma acquistò nel 1525 e per 40.000 fiorini la Baronia di Cefalà, già appartenente al reo Federico Abatellis, e nel 1549 quella di Marineo che elevò nel 1565 in marchesato [13] .

La consuetudine della successione femminile non era nuova in Sicilia sin da tempi di Federico II Hohenstaufen che definì l’impossibilità di ereditare da donne una “prava consuetudine”. Tale uso, definito anche successione siciliana, continuerà ad essere normalmente applicato sino ai discutibili abusi operati da Mussolini nel 1922.

Nella politica personale, sociale e matrimoniale di Francesco si trova tanta ambizione nella costruzione di un’identità sociale solida quanto affascinanti previsioni, certamente non volute, nel riavvicinare la propria gloriosa schiatta ai perduti e mai dimenticati territori sambucesi. Basti pensare ai suoi sponsali, celebrati nel 1506, con Antonella Mastrantonio dei baroni di Iaci.

Questa ricca teoria di illustri e ragionate unioni non terminarono certamente con il sopraddetto Francesco, ma seguitarono in un crescendo di legami soprattutto esogamici al fine di creare, del proprio fronzuto albero, una potente enclave familiare. Nel XVI e XVII secolo il riavvicinamento alle avite terre si fa sempre più concreto. Per interesse e gloria di Nicolò Mastrantonio Bardi, l’antica baronia di Sambuca viene eretta in marchesato nel 1574. Appena quattro anni dopo, nel 1577, lo stesso sposerà Elisabetta Beccadelli dei marchesi di Marineo, pronipote del Francesco vittima “delli soi niuri e tristi pinseri la gran perdita” [14] .

Saranno proprio i Mastrantonio Bardi, nel secolo successivo, a riconsegnare il castello e il feudo di Sambuca alla famiglia che ne aveva avuto baronaggio. Il matrimonio tra Pietro Beccadelli e Antonia Ventimiglia Mastrantonio Bardi si celebrò nel 1650, restituendo ormai senza ombre e minaccia, come la storia ai più insegna, il pieno possesso dei luoghi. Dodici anni dopo, nel 1662, amplieranno il marchesato con l’acquisto della confinante baronia di San Giacomo Li Comici [15] , rinsaldando quell’antico legame con Sambuca, spesso tristemente dimenticato, a cui si deve la nascita de “l’honore, e gloria della casa” [16] dei Beccadelli.

 


Bibliografia:

[ 1 ] A. DI GIOVANNI, Ntamentri fora, in L. BONAFFINI, Dialect Poetry of Southern Italy, Legas, Ottawa, Canada 1997, p. 402.
[ 2 ] C. TRASSELLI, Storia dello zucchero siciliano, Sciascia,Caltanissetta-Roma, 1982, p. 140.
[ 3 ] A. INVEGES, Annali della Felice città di Palermo, Parte III, Pietro dell’Isola, Palermo 1651, p. 39.
[ 4 ] ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO, Real Cancelleria, 1491, foglio 296; Ibidem, Real Cancelleria, 27 novembre 1490, foglio 199.
[ 5 ] Sposati nel 1492
[ 6 ] C. DE LELLIS, Discorsi postumi del Signor Lellis di alcune poche nobili famiglie, Antonio Gramignani, Napoli 1701, p. 17.
[ 7 ] ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO, Real Cancelleria, 1503, foglio 377.
[ 8 ] ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO, Real Cancelleria, 1493, busta 1486, foglio 393.
[ 9 ] ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO, Real Cancelleria, Libro 1507, foglio 639.
[ 10 ]ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO, Real Cancelleria, 1510, foglio 59.
[ 11 ] Per la successione si veda anche: F. SAN MARTINO DE SPUCHES, La Storia dei Feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, Vol. VI, Tipografia Boccone del Povero, Palermo 1929, pp. 405 e 406.
[ 12 ] Con queste parole è ricordato il fondatore dello stato di Marineo, Francesco Bologna, in una lapide posta nel castello Beccadelli del detto comune: Don Franciscus a Bonomia vir ingenio et rebus gestis clarissimus Capacis Cifale et Marinei dominus Carolo quinto Imperatore anno domini 1553 spe futuri magni oppidi centum domos hic condidit post cuius obitum don Gilbertus filius regnante Philippo eiusdem Caroli filio anno domini 1559 eadem patris spe ducentas alias domos et hoc castrum construxit.
[ 13 ] ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO, Real Conservatoria, libro Mercedes, 1564-65, f. 115. 
[ 14 ] G. MELI, La Buccolica, la Lirica, le Satire e l’Elegie, Tipografia Vedova Solli, Palermo 1858, p. 143.
[15] Not. Giovanni Aloisio Panitteri di Palermo, 30 giugno 1662.
[16] B. BOLOGNA, Descrittione della casa e famiglia de’ Bologni, Gio. Antonio de Franceschi, Palermo 1600.

 

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