Natale è la più bella e la più raccolta festa della cristianità e in ogni cosa si respira un’atmosfera davvero speciale.

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La nordica usanza dell’albero di Natale (anticamente era soltanto una figura ricorrente nelle cartoline “cu’ i pittiddi d’argentu spiccicati” che i parenti lontani spedivano per la ricorrenza, anche per far notare lo stato di benessere economico), spesso si accoppia al gusto tradizionale del presepe, in un miscuglio assai gradevole di nuovo e d’antico.

Impiantato tra le pareti domestiche, in un posto semibuio, quasi sospeso nel gioco misterioso delle luci intermittenti, u’ prisepiu era realizzato all’inizio della novena natalizia da u’ papà che utilizzava carta tinciuta e suvaru per realizzare colline e montagne, con l’immancabile fiume di stagnola, popolato di pastura, statuine di terracotta che verosimilmente richiamavano alcune attività rurali del popolo siciliano: u’ ricuttaru, u’ cacciaturi, a’ lavannara che lavava i panni in un piccolo lago con le acque sospese su cocci di vetro o specchi, u’ ciarammiddaru, u’ picuraru che con il suo gregge ritornava all’ovile e, buon ultimo, u’ scantatu, rappresentato con le braccia protese sul viso che esprimeva palese meraviglia per l’avvenimento di cui era testimone.

Cardine della rappresentazione era la grotta, in cui l’iconografia principale veniva raffigurata dalla Sacra Famiglia, con il Bambinello centro dell’attenzione e del mondo, la Madonna ravvisata sempre molto giovane, con il mantello azzurro sul capo e le mani giunte, San Giuseppe, d’aspetto invecchiato e avvolto in una tunica gialla, che si appoggiava al bastone fiorito; sulla grotta convergevano i raggi delle stelle di cartone e gli scoscesi e tortuosi sentieri del villaggio, che indicavano la via da seguire ai pastori carichi d’offerte.

Quest’eccellente recinto (il termine presepe deriva dal latino e sta ad indicare un recinto chiuso), pur risentendo della scuola napoletana si differenziava da quest’ultimo per quanto riguarda l’ambientazione, soprattutto per la grotta e per le tecniche di costruzione dei pastori.

Si diffuse in Sicilia, a partire dal XV secolo, la consuetudine di rappresentare la nascita di Gesù mediante l’uso di statuine. Essa richiamava l’arte figurativa dei codici miniati, dei mosaici, degli affreschi, delle pitture su vetro e soprattutto dei bassorilievi, che avevano già come soggetto questo schema. Divenuto oggetto di culto, dapprima all’interno delle chiese, entrò rapidamente nelle case grazie anche alla sua divulgazione ad opera dei Gesuiti, che lo utilizzarono come mezzo visivo per dar influsso al loro ordine religioso e attenersi alle disposizioni del concilio tridentino.

Gli aristocratici fecero di tutto perché il presepio uscisse dalle chiese per entrare nelle loro case; ed allora le statuine si moltiplicarono e la loro ambientazione si arricchì di nuovi elementi decorativi, tanto da farlo diventare un oggetto d’arte, tale da testimoniare gusto e ricchezza della famiglia.

Racchiuso in una bacheca di vetro (la scaffalata) era diventato un soprammobile di lusso, che nel mese di dicembre conquistava un posto d’onore nei salotti di tutte le famiglie nobili.

Venivano utilizzati diversi materiali pregiati, come il corallo, da solo o accoppiato ad oro e argento. Furono creati capolavori rinascimentali e, nel periodo barocco e rococò, si adoperarono avorio e madreperla, alabastro e perfino le conchiglie più apprezzate

La preziose manifatture di questi piccoli gruppi scultorei, che inquadravano la Natività, divennero singolari opere d’arte la cui fama percorse tutta l’Europa.

Il nome di Giovanni Matera è legato ad una tecnica particolare che fa riferimento alla cultura figurativa. Egli realizzava i “pastori” utilizzando tela e colla su una struttura di legno di tiglio.

Questa tecnica troverà successivamente applicazione nella realizzazione dei gruppi dei Misteri della processione del Venerdì Santo di Trapani.

Alcune opere più espressive, restaurate e riportate oggi al loro antico ed espressivo splendore, si possono ammirare nel museo Pitrè di Palermo. Questa tecnica artigianale ebbe larga diffusione popolare tra i costruttori di pastori dei presepi siciliani.

La ceroplastica, praticata a Palermo fin dal medioevo all’interno dei conventi e monasteri, si rifaceva ad un’antica usanza dei greci e dei romani: costoro usavano questo duttile materiale prodotto dalle operose api per l’esecuzione di figurine votive per gli altari casalinghi e per i riti magici, come pure per le immagini di defunti e maschere.

La diffusione del presepio al di fuori dagli ambienti religiosi, nel XVIII secolo portò al proliferare dei “cerari”, che producevano presepi interi o bambinelli dall’espressione gioiosa, o dormienti, recanti in una mano un agnellino, un fiore o un frutto e immersi in un tripudio di fiori di carta e lustrini colorati.

A protezione di tutto, l’opera veniva relegata in una campana di vetro o in una teca rivestita di tartaruga.

I “cerari”, specializzati inoltre nella creazione di ex voto e statuine di Santi, si erano riuniti in maestranza (i cosiddetti “bambiniddara”) e avevano stabilito bottega in una strada dietro la basilica di San Domenico tra il 600 e il 700 dando il loro nome alla via.

Facevano anche i cosiddetti “frutti di cera”, all’interno dei quali erano adagiate figurine di Santi. Di ciò riferisce anche il Pitrè. Le famiglie li acquistavano, li facevano benedire e li conservavano per devozione.

Una gran parte della loro arte era rivolta alle statue del bambino Gesù, che lavoravano con grande amore e gusto anche nei più piccoli particolari, nudo o vestito di preziose sete, e raffigurato in vari atteggiamenti, delle quali la più classica è quella che lo vede a braccia aperte, adagiato su di un cuscinetto di raso celeste che imita la mangiatoia.

Di notevole fattura sono le opere di Gaetano Zumbo, tra i primi e certamente il più celebre ceroplasta siciliano, che diffuse il bambinello di cera in tutta la Sicilia.

A volte si trattava di un ex voto, effigiante un vero bambino, un figlio risanato, ed era offerto ai beati dalle famiglie riconoscenti per grazia ricevuta, o acquistato per la propria parentela in segno di devozione.

Nel mese di dicembre al bambinello era riservato un posto d’onore sull’altarino circondato da ceri e drappi di tulle davanti al quale ci si riuniva per recitare nenie e novene.

Nello stesso periodo le parrocchie, con una sorta di “lotteria” tra i fedeli, sorteggiavano il Bambinello esposto nel presepio. Chi lo vinceva, oltre a sentirsi “prescelto dalla fortuna” si impegnava a dargli una adeguata sistemazione all’interno della sua casa. Un uso vivo ancora oggi, sebbene i Bambinelli siano nella maggioranza dei casi di plastica o ceramica.

Tutt’oggi una di queste botteghe artigiane sopravvive proponendoci i vecchi prodotti di cui era rinomata, in realtà i “bambiniddara” sono scomparsi da tempo, e le attuali produzioni risentono delle nuove tecnologie.

Il presepio assunse via via carattere popolare e, nell’ottocento  abbandonò gli ambienti ecclesiastici e aristocratici e divenne oggetto domestico rituale per le famiglie meno abbienti, sia in città, sia nelle campagne.

Un materiale più povero prese consistenza ed i “figurinai” utilizzarono l’argilla modellata per ricavare le statuine del presepe: nacque una nuova arte che sfoggiò piccoli capolavori in ceramica.

Due furono i più importanti maestri: Giacomo Bongiovanni e Giuseppe Vaccaio, che con l’argilla sottilissima modellavano sul corpo delle statuine la foggia del vestiario, realizzando non solo singole figure policrome ma interi gruppi familiari e scene di vita quotidiana.

L’introduzione degli stampi di gesso nel ciclo di lavorazione fu determinante per abbassare i costi e incrementare la produzione in serie: in tal caso, di manuale restava solo la coloritura.

Negli ultimi anni, con l’avvento delle plastiche, questa forma artistica è entrata in una profonda crisi, che ha alterato l’opera dei “figurinai”.

Il presepe ha perso gran parte del suo fascino originario. Ma il caparbio rilancio avviato da alcuni anni da parte di alcune botteghe importanti, come quella di Angela Tripi a Palermo, che mantiene l’arte di plasmare a mano l’argilla dei “pastori”, e sfoggia abiti di stoffa dalle linee tradizionalmente in uso nel periodo in cui è ambientato il presepe, lascia pensare che il ciclo del presepio sia ancora molto lontano dalla sua conclusione.

Ogni presepe familiare veniva alimentato con i vari personaggi secondo il periodo di festività.

La mangiatoia rimaneva vuota finché non arrivava la notte di Natale, notte in cui veniva deposto il Bambinello e completata la grotta con Maria, Giuseppe ed i classici bue ed asinello. Tutto si concludeva con l’immissione dei Re Magi, che nel giorno dell’Epifania rimandava alla tradizione dei doni che continua fino ai nostri giorni.

La novena di Natale si concludeva a mezzanotte del 24 dicembre con la visita in chiesa “pi’ vidiri nasciri u’ Bamminu”.

Dove visitare i presepi a Palermo:

Le parrocchie ne preparano sempre uno piccolo o grande, statico o animato ognuno ha una particolare tradizione che coinvolge i parrocchiani. All’Albergo delle Povere è possibile in periodo natalizio visitare il Presepe Animato.

 

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