I Fenici erano un grande popolo che abitava le coste
degli odierni Libano e Israele.
Le città più importanti
erano: Biblo, Tiro e Sidone.
In origine i fenici erano
dediti alla pastorizia ed all'agricoltura, ben presto
impararono a navigare ed a commerciare. Il naviglio veniva
costruito grazie al legname di cedro che allora cresceva
abbondante nelle estese foreste libanesi.
L'espansione fenicia, in
origine, non ebbe come scopo la colonizzazione di territori,
essi preferirono creare luoghi fissi di scambio o veri e
propri mercati dove barattare i loro prodotti con le
popolazioni costiere con cui ebbero facili contatti, cioè
greci, siculi, iberici (spagnoli), egiziani, africani.
I Fenici utilizzavano
queste aree anche come luoghi di sosta o di approdo,
indispensabili per le navi di piccolo cabotaggio come quelle
fenicie che si orientavano di giorno col sole e di notte con
le stelle dell'Orsa Minore (chiamate dai greci, appunto,
"Stelle Fenicie").
I fenici preferivano
navigare sotto costa e di giorno; due punti di approdo,
inoltre, non dovevano distare tra loro più di una giornata
di navigazione.
I mercati più frequentati
in origine furono quelli delle isole greche di Cipro, Creta
e della città di Tebe. Man mano punti strategici e stabili
mercati furono: Cartagine, Leptis Magna, Panormos, Solunto,
Mozia, Cagliari, Malaga, Cadice.
Cartagine fu la città che
ebbe il maggior afflusso commerciale: da essa infatti
ripartiva il naviglio proveniente da iriheria (Spagna) e
dall'Africa carico di oro, argento ed altri metalli ed in
essa arrivavano beni alimentari dalle ricche terre di
Sicilia e Grecia. Il commercio e gli scambi resero ricche le
terre toccate dai Fenici.
Panormos e Cartagine
divennero col tempo un unico mercato.
I fenici possedevano una
cultura non indifferente: avevano inventato l'alfabeto
moderno che faceva corrispondere ad ogni suono un segno
( l'alfabeto fenicio non aveva ancora le vocali che
successivamente furono aggiunte dai Greci ),
sfruttarono l'invenzione del vetro e le qualità della porpora, una sostanza rossa estratta dalla conchiglia di
alcuni animali marini utilissima per colorare le vesti.
Una chiarificazione va
fatta per comprendere la differenza che passa tra i termini
fenicio e punico. Fenicio è tutto ciò che proviene dalla
Fenicia (Libano, Israele), punico ha la stessa origine
culturale fenicia ma proviene esclusivamente da Cartagine.
Fenici a Panormos
I Fenici conoscevano bene le coste
siciliane e le isolette vicine e commerciavano con gli
abitanti del luogo.
Con l'arrivo in Sicilia di
numerosi coloni greci essi preferirono creare insediamenti
stabili e territorialmente difendibili.
Fondarono così,
nella Sicilia occidentale, Mozia posta di fronte a
Cartagine e in seguito nacquero Solunto e infine Panormos.
Ci piace immaginare una
piccola flotta di mercanti punici (cartaginesi) o fenici
provenienti da altre colonie fenicie in navigazione sotto
costa da Ovest verso Est lungo la Sicilia settentrionale.
Siamo intorno all'anno 730 a. C.
Superando la punta estrema
dell'odierno Capo San Vito, scoprirono un enorme golfo (il
Golfo di Castellammare) tutto sabbioso, poco adatto alle
soste.
Superando ancora gli speroni rocciosi dell'odierna
Punta Raisi, di Capo Gallo e del Monte Pellegrino, subito
dopo l'Addaura, notarono un tratto di costa che presentava
il grande estuario di un fiume, luogo ideale per rifornirsi
di acqua dolce.
Le acque erano così calme e copiose che
permettevano di risalire il fiume verso l'interno e trovare
un facile riparo al naviglio. Il luogo doveva apparire
particolarmente bello e rilassante oltre che suggestivo. La
foce generava un ampio bacino, in alcune parti paludoso,
ricco di canne e papiri, un ambiente favorevole alla
riproduzione di uccelli migratori ed animali acquatici
stanziali.
Questo luogo venne
chiamato Panormos (nome di origine greca che vuoi dire tutto
porto) e opportunamente attrezzato avrebbe permesso
l'attracco alle navi che all'interno dell'estuario potevano
essere protette dalle mareggiate e celate alla vista di
altri naviganti.
Risalendo i due bracci del
fiume gli esploratori si accorsero che non si trattava di un
unico corso d'acqua ma di due distinti fiumi; il Kemonia ad
oriente (oggi deviato in direzione del fiume Oreto) e il
Papireto ad occidente (oggi ingrottato).
Il tratto di terra che
veniva generato dai letti dei due fiumi era fresco e
ventilato, degradante verso il mare e nel punto elevato,
circa 30 metri sul livello del mare, risultava ottimale come
luogo di osservazione e favorevole all'insediamento umano.
Nacque così nell'area prescelta il primo nucleo abitativo
fenicio che prese il nome di Paleapoli. I residenti della
Paleapoli, genti composte da diverse etnie tra cui indigeni
siculi, greci, fenici e puni, col tempo fortificarono la
loro città; alzarono alte mura difensive (che ancora
oggi si possono vedere ad esempio in Corso Alberto
Amedeo, in Via del Bastione ed in altri punti della
città) e crearono diverse porte di accesso (presumibilmente
4) che all'imbrunire o in caso di pericolo venivano chiuse.
La Paleapoli crebbe
velocemente con l'aumento della popolazione e
l'intensificarsi dei commerci con Cartagine.
Si rese necessario,
quindi, costruire nuove abitazioni, botteghe artigiane e
magazzini al di fuori delle mura di cinta, verso il mare.
Nacque così una nuova
città ormai più punica che fenicia: la Neapoli, che a sua
volta fu un tutt'uno con la Paleapoli e venne difesa
anch'essa da alte mura in continuazione della cinta
originaria.
La Paleapoli.
La Paleapoli rappresentò il nucleo
abitativo primario della nuova Panormos. Fu cinta da alte
mura e dotata di due porte: una orientata verso il mare
(nord est) ed una orientata nel senso opposto a sud ovest.
Quest'ultimo varco portava verso un'area pianeggiante ed
omogenea: il luogo adatto alla futura Necropoli.
Della vecchia cinta
muraria rimangono ancora oggi pochi tratti ma, tutto
sommato, ben conservati: il muraglione di Via del Bastione
eretto a ridosso del letto del fiume Kemonia e il muraglione
di Corso Alberto Amedeo eretto sulla sponda destra del fiume
Papireto.
La Neapoli.
La Neapoli rappresentò la naturale
espansione della città verso il mare. Essa in pochi anni si
ingrandì più del doppio. Le botteghe artigiane, i mercati, i
cantieri e le altre attività e gli addetti ai servizi
facevano convivere serenamente gli abitanti la cui
cittadinanza era formata da: indigeni, fenici, cartaginesi,
greci e quant'altri lavorassero e risiedessero nella città.
L'intreccio dei
rapporti sociali e la varietà di razze favorì sicuramente la
futura cultura multi-razziale e multietnica di cui il popolo
palermitano ancora oggi va fiero.
La cinta muraria venne
estesa al nuovo perimetro e tre nuove porte vennero aperte
in aggiunta all'unica rimasta della vecchia cinta: la porta
che conduceva all'area riservata dove venivano seppelliti i
morti, le 4 porte erano orientate in modo da permettere
l'ispezione dei 4 lati dei muri perimetrali.
Le mura della Neapoli sono
osservabili all'angolo tra Piazza Bellini e Via Maqueda. Il
senso in cui si protendono, e cioè verso il mare, ci fanno
comprendere i confini di allora, verso ovest la Neapoli,
verso est il corso del Fiume Kemonia e la campagna.
La Necropoli.
Con l'insediamento dei fenici in
Panormos nacque una seconda città, la città dei morti, la
Necropoli, un luogo sacro dove seppellire i defunti.
Naturalmente la Necropoli
si doveva trovare al di fuori delle mura cittadine.
Il luogo prescelto ricadde
su quell'area, a monte, che era la naturale continuazione
del tratto di terra generato dai due fiumi Kemonia e
Papireto, area che oggi ricade tra Piazza Indipendenza,
Corso Pisani, Via Cuba, Via Pindemonte e Via Danisinni.
I sistemi di sepoltura
utilizzati erano due: l'inumazione, cioè la sepoltura
semplice; l'incinerazione, cioè la cremazione del corpo le cui ceneri
venivano raccolte e sistemate in vasi di terracotta e quindi
seppellite.
I tipi di sepoltura
erano diversi: vi erano semplici fosse o urne
cinerarie scavate nella terra; semplici sarcofagi scavati nella pietra calcaretica (roccia
di origine marina) e ricoperti da tegole in terracotta o da
una lastra in calcarenite;
tombe a camera a cui si
accedeva da una scaletta scavata nella roccia e il cui
ambiente era una piccola stanza al cui interno si trovava il
sarcofago.
Gli oggetti strettamente
personali (anelli, gioielli, ecc.) venivano seppelliti nel
sarcofago insieme al defunto, il corredo funerario (piatti,
brocche, lucerne, coppe, unguentari, ampolle, ecc.) veniva
collocato all'interno della camera o vicino al sarcofago.
Le attività a Panormos.
Le attività all'interno della
città erano numerose e le risorse notevoli. Il porto aveva
un'importanza notevolissima, da esso e per esso partivano ed
arrivavano le merci. Intorno al porto, infatti, ruotavano la
maggior parte delle attività economiche e commerciali, oggi
diremmo di import ed export.
L'agricoltura e
l'allevamento (grazie ai numerosi pascoli) erano molto
diffusi e praticati e costituivano la principale fonte di
sostentamento della popolazione.
Anche la pesca e la caccia
erano attività molto praticate e si svolgevano presso le
acque stagnanti e lagunari dell'estuario dei due fiumi o al
di fuori delle mura cittadine nelle campagne o nei boschi
limitrofi. I boschi vicini, altresì, fornivano ottimo
legname per la costruzione delle case, degli arredi, degli
utensili, degli attrezzi agricoli, per la riparazione del
naviglio e per alimentare le fornaci utilizzate per la
produzione di ceramica o di pasta di vetro.
L'argilla ricavata dalle
numerose cave veniva usata per produrre ceramica. Infatti le
officine artigiane panormite erano specializzate nella
realizzazione di ceramica comune ad un solo colore e
talvolta decorata. I lavori più comuni riguardavano la
creazione di anfore a base piatta o a base conica (utili al
trasporto navale; le stive venivano riempite di sabbia e
queste anfore venivano conficcate su tale sabbia per evitare
che in condizioni di mare mosso esse potessero inclinarsi o
rotolare e rompendosi perdere il prezioso contenuto
soprattutto grano, olio e vino), brocche (per attingere e
versare liquidi), piatti (utilizzati per mangiare),
pignatte, tegami e olle (per cucinare sul fuoco).
Veniva prodotta, ma in
limitata quantità, anche ceramica figurata, di imitazione
Corinzia, molto fine e pregiata come kylix (coppa che
serviva per bere), skyphos (coppa più grande, serviva per
bere), piatti, guttus (utilizzato per far bere i bambini),
lucerne (ad olio servivano ad illuminare), aryballos per
contenere unguenti e vasi di tipo attico in gran parte
prodotti per l'esportazione o utilizzati come corredo
funerario dei defunti più ricchi. La maggior parte del
vasellame ritrovato nella necropoli è però da attribuire a
produzioni provenienti da fabbriche probabilmente non
panormite.
Va ricordata anche la
produzione di serie di figurine di terracotta utilizzando
stampi anch'essi di terracotta all'interno dei quali veniva
versata dell'argilla liquida o a volte tutto lo stampo
veniva immerso nell'argilla liquida. Dopo una prima
essiccazione, tolto lo stampo, le figure venivano colorate e
successivamente infornate. Esse rappresentano figure
femminili o animali. Gli artigiani ceramisti di Panormos
avevano una cura particolare nel raffinare l'argilla.
Essa veniva depurata in
acqua corrente dove perdeva le particelle leggere e faceva
cadere a fondo le impurità. Successivamente veniva
setacciata per renderla fine poi digrassata con particolari
accorgimenti e cioè: veniva essiccata poi grattugiata e
mischiata con cenere e sabbia finissima e infine reidratata.
L'argilla così ottenuta
era pronta per essere lavorata al tornio piatto che ruotava
liberamente su di un asse. La velocità poteva essere
regolata a piacimento dall'artigiano dando maggiore o minore
spinta con i piedi su di un secondo piatto posto in basso e
collegato all'asse.
La ceramica dopo la
lavorazione manuale veniva decorata e cotta al forno. Esso
aveva due piani: uno inferiore che costituiva la fornace
dove si poneva la legna e uno superiore a forma di cupola,
separato dalla fornace da un piano forato. In cima alla
cupola era posto uno sfiatatoio che permetteva di far uscire
i vapori superflui.
Un artigianato molto
particolare presente nella panormos punica riguardava la
lavorazione dei metalli preziosi e la fabbricazione di
gioielli. Uomini e donne indossavano volentieri collane,
bracciali, anelli, amuleti, pendenti. I materiali adoperati
erano: l'argento e il bronzo e la tecnica più comunemente
usata era il lavoro a sbalzo.
Molto adoperata era pure
la pasta vitrea multicolore montata su fili d'argento o di
bronzo che adornava bracciali e collane.
A Panormos fu presente
anche una zecca che coniò monete in argento e in bronzo
imitando le altre importanti città del mediterraneo.
Un
discorso a parte meritano le attività legate alla sepoltura
dei morti all'interno della Necropoli.
Introduzione storica
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Storiella
semiseria -
Gli Arabi -
I Qanat -
Archeo Palermo
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