NEI NUMEROSI VILLAGGI AI BORDI DELLE PALUDI DI
MONDELLO VIVEVANO PASTORI E AGRICOLTORI
di Sebastiano Tusa (Palermo, 2 agosto 1952 – Bishoftu,
10 marzo 2019)
Quasi tutti i cittadini della nostra
città sanno che un tempo la ridente ed elegante borgata marinara e
balneare di Mondello era un luogo di acquitrini e paludi.
Ma ben pochi sanno che ai bordi di
queste paludi, bonificate tra la fine dell'800 e gli inizi del 900,
sorgevano, oltre 4500 anni fa, numerosi villaggi abitati da agricoltori
e pastori che esercitavano fruttuose attività di pesca, raccolta e
caccia sfruttando proprio le biomasse allora esistenti nelle vaste
paludi oggi occupate da ville signorili e viali alberati.
Fu proprio grazie a quei lavori di
bonifica che di quei primordiali abitanti di Mondello se ne seppe di più
di quanto fino ad allora si sapeva anche se già nelle vicine contrade di
Partanna e dei Colli l'occupazione nobiliare delle ville settecentesche
aveva provocato la scoperta di altrettanto consistenti indizi di vita
preistorica.
In seguito ai massicci sbancamenti dei detriti di falda del
versante di sud-ovest del Monte Pellegrino si rinvennero casualmente
alcune tombe appartenenti proprio a quelle popolazioni. Quelle tombe
erano costituite da una grotticella scavata nella roccia e nel
conglomerato del detrito di falda cui si accedeva attraverso un piccolo
vestibolo, anch'esso ricavato modellando con sapiente intaglio e scavo i
sedimenti naturali. Numerosi vasi ed ornamenti vennero raccolti intorno
alle ossa dei defunti inumati in quelle tombe. Costituivano i corredi
funerali che la devozione dei sopravvissuti aveva posizionato intorno ai
loro cari per accompagnarli nel lungo peregrinare nell'ai di là.
Oggi
quei vasi sono visibili nel nostro Museo Archeologico Regionale A. Salinas al centro di Palermo.
E fu proprio il grande e noto
archeologo Antonino Salinas che recuperò un primo gruppo di materiali ed
effettuò un successivo intervento più organico. Nel 1907 il figlio di
Salinas - Emanuele - effettuò delle ulteriori ricerche di cui fece cenno
in una breve nota. In totale il gruppo di materiali recuperati
costituisce il più cospicuo corpus di ceramiche, utensili in pietra ed
oggetti vari appartenente ad un complesso che molti anni dopo
l'altrettanto nota archeologa Jole Bovio Marconi avrebbe denominato
cultura della Conca d'Oro.
Secondo la Bovio Marconi risulterebbe
che nella località Valdesi e precisamente fra Giusino ed il mare vi era
la necropoli, mentre più a monte, sulle falde del Monte Pellegrino,
verso la Favorita, doveva esistere il villaggio abitato (forse a nuclei
sparsi come la situazione verificata nell'insediamento coevo di Roccazzo,
scavato recentemente ed estensivamente in territorio di Mazara del
Vallo). In dubbio per la studiosa è l'esistenza di strutture dolmeniche
e di un giacimento paleolitico asseriti da Emanuele Salinas.
Concordiamo
con i dubbi della Bovio Marconi anche per la struttura delle tombe che,
così come descritta dai Salinas, era per la studiosa ambigua poiché
risultava difficile pensare a pozzetti e grotticelle scavate nel
terriccio. Pertanto la stessa propone una struttura rafforzata da
pietrame, come dimostrerebbero alcune foto dell'epoca. Nel 1930 si
rinvenne, a trecento metri prima delle ultime ville che allora
componevano l'agglomerato di Valdesi, a sinistra del Viale Regina
Margherita, un'altra tomba coeva. Lo scheletro era difeso da tre pietre
e presentava il corredo di quattro vasetti presso il capo.
Secondo Mannino la necropoli sarebbe
da localizzare tra la Grotta del Laghetto, la Grotta della Civetta ed il
Viale Regina Margherita, mentre il villaggio dovrebbe localizzarsi nella
fascia pedemontana verso Valdesi, impiantato nel detrito di falda,
adiacente alla necropoli, e non verso la Favorita.
Il complesso risulta
disomogeneo cronologicamente con elementi pertinenti tutte le fasi
eneolitiche della cultura della Conca d'Oro. Data l'abbondanza di
utensili litici e d'osso ed oggetti d'ornamento vari, e data la
posizione topografica, risulta verosimile ipotizzare per Valdesi
l'esistenza di una grossa concentrazione insediamentale costituita da
vari nuclei capannicoli vicini, dediti ad un'economia mista basata su
agricoltura, pastorizia e sfruttamento delle grandi risorse costituite
dalle biomasse dell'adiacente ambiente lacustre - lagunare. Ma come
dicevamo la concentrazione di insediamenti abitati e relative tombe è
abbastanza intensa nella zona di Mondello - Valdesi - Partanna.
A mezzo
chilometro dall'insediamento di Valdesi, in località Anfossi (oggi zona
residenziale) si trova, infatti, un altro insediamento di cui è nota la
necropoli con tombe a pozzetto e grotticella scavate nella calcarenite.
La presenza in così breve spazio di due insediamenti apparentemente
pertinenti la medesima facies culturale e cronologica può essere
spiegata con una relativa recenziorità dell'insediamento di Anfossi.
Così si spiegherebbe la differente tecnologia di manifattura delle tombe
(terragne a Valdesi, scavate nella calcarenite ad Anfossi). Sempre ad
Anfossi, nel 1970, si rinvenne una tomba a pozzetto e grotticella in
occasione della costruzione di una villa. Si raccolsero otto vasi
frammentari ed altri rimasero in situ perché fortemente concrezionati.
La tomba è stata attribuita ad una fase superiore della cultura della
Conca d'Oro.
Con l'attribuzione generica di Mondello, presso il Museo
Archeologico Regionale A.Salinas sono conservati alcuni frammenti di
intonaco appartenenti con ogni probabilità proprio alle capanne che
componevano l'abitato preistorico di Valdesi. Ma la serie di villaggi
appartenenti alla cultura della Conca d'Oro non si limita all'area di
Mondello - Valdesi.
Nell'area di Partanna, ed in particolare nel podere
Santocanale già prima era stata identificata una necropoli con tombe a
pozzetto e grotticella rinvenuta in seguito a lavori fondiari di
sistemazione del fondo. Da queste tombe provengono materiali fittili e
litici pertinenti la cultura della Conca d'Oro. I rinvenimenti di altre
tombe si sono susseguiti fino agli anni '60 quando il La Duca ne
riferisce in occasione della costruzione di impianti industriali. Nel
1951 si era avuto il rinvenimento di altre tombe laddove sorse il
Cotonificio Siciliano. Il totale delle tombe identificate potrebbe
aggirarsi intorno a quaranta esemplari.
Altre tombe simili e coeve erano state
rinvenute presso la Villa Scalea. Secondo il Mannino i lembi di questo
cimitero preistorico rinvenuti presso il fondo Scalea e Santocanale sono
da ricondurre alla medesima necropoli che doveva essere non ad alta
densità ma molto estesa (superficie stimata di circa mq 4000).
In verità le tombe presso la Villa
Scalea erano state trovate precedentemente. Già nel 1889, infatti, il
principe di Scalea donò al Museo di Palermo trentacinque vasi decorati
parzialmente con gli schemi tipici della cultura della Conca d'Oro,
industria litica ed un vago di collana, rinvenuti in una tomba del fondo
di sua proprietà del tipo a pozzetto e grotticella. La necropoli doveva
essere molto vasta. Anche qui Antonino Salinas effettuò un intervento
non nella proprietà Scalea, bensì Gambino dove individuò una tomba.
Brandelli di memoria che riemergono nelle vetrine del Museo e nelle
carte ingiallite delle pubblicazioni dell'epoca. Una memoria che è bene
mantenere viva non tanto per sognare opportunità di visita archeologica
di quei luoghi poiché ormai l'espansione edilizia secolare ne ha
cancellato quasi del tutto l'esistenza, bensì per aiutarci a comprendere
la ricchezza storica del nostro territorio e la sua versatilità
nell'aver fornito nei millenni condizioni favorevoli di vita a varie
generazioni di nostri progenitori e, quindi, in ultima analisi, per
rispettarlo ed amarlo.