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MONDELLO WEB:

UN GIOIELLO TRASFORMATO IN OGGETTO DI CONSUMO USO E GETTA.

SPIAGGIA IN AGONIA OCCORRONO URGENTI PROVVEDIMENTI PER PORRE RIMEDIO ALL'ASSOTTIGLIAMENTO DELLA FASCIA SABBIOSA, CUI È LEGATO IL DESTINO DELLA BORGATA ANALIZZATI SCIENTIFICAMENTE I GRAVI PROBLEMI (INQUINAMENTO, ASSETTO URBANO, VERDE, SERVIZI) CHE BLOCCANO LO SVILUPPO DELLA ZONA. UNA SFIDA ALLE AUTORITÀ COMUNALI.

di Silvano Riggio

Se è vero che l'amore è conoscenza, l'assoluta mancanza di conoscenza spiegherebbe lo scarso interesse che i palermitani nutrono per Mondello. Perché al di fuori della ricerca del panino e del gelato, in un contesto ammorbato dai gas di scarico delle auto e dai fetori dei cassonetti, non c'è alcun'altra motivazione per visitare quella che per i più resta l'unica spiaggia dei palermitani. Ma anche questa indicazione sbrigativa di spiaggia è riduttiva e ne mortifica l'essenza.

Mondello è anche una spiaggia, ma è soprattutto mare, monti, giardini, è storia palermitana: è un fatto naturalistico e umano, un delizioso scrigno di valori paesaggistici, archeologici, storici, passerella della Palermo Liberty e, purtroppo, scenario del l'attuale città del degrado e del malaffare edilizio, e non solo. La spiaggia non ha nulla in comune con i monotoni, interminabili nastri di sabbia dei lidi adriatici e laziali confinanti con grandi fasce urbanizzate.

A Mondello, la spiaggia è un arco di sabbia dorato come in un atollo e il mare che la lambisce ha la trasparenza dei tropici. Un bene culturale, anzitutto, malauguratamente trasformato in un oggetto di consumo uso e getta come le tonnellate di lattine di birra e Coca Cola che traboccano dai cassonetti. Per questo, quando si parla di Mondello, è inevitabile il richiamo alla frase evangelica Noli proicere margaritas ante porcos, che per coloro che non conoscono il latino significa: non gettare le perle ai porci (cioè a certi cittadini). E mi scuso se qualcuno potrà identificarsi in questi animali che, peraltro, meritano l'umana riconoscenza.

Però, le folle dei palermitani che, nei fine settimana, gremiscono la passeggiata a mare trasformata in un souk, o che, in estate, si accalcano nei cortili fra le capanne, tutto questo lo ignorano e magari non gliene importa nulla. Per loro Mondello è lo sfogo obbligato al grigiore della vita cittadina, ancora più triste in quegli stabulari umani privi di verde e pieni d'immondizia voluti dalla speculazione mafiosa; e il disinteresse con cui calpestano l'asfalto della piazzetta è la reazione normale al kitsch anonimo dei fast food e delle insegne pubblicitarie che hanno sperperato, fagocitandole, le antiche strutture della tonnara e delle case dei pescatori.

Soltanto se si fa uno sforzo di fantasia, andando indietro nel tempo e si riguardano le foto d'epoca, si ritrova quel paesaggio povero, naturale, magari disperato, mai banale, che parlò all'anima di chi la scoprì nell'800, a cominciare da Ferdinando IV di Borbone, che della Sicilia amò forse solo la palude di Mondello e i boschi della Ficuzza.

Se Mondello la si rivisita con gli occhi di Ferdinando, di Pietro Doderlein , del principe Lanza di Scalea, e degli altri scopritori illuminati e se si astrae il brutto presente, osservandola dall'alto del Monte Pellegrino, l'intero territorio appare come un fatto geografico quasi perfetto, uno scenario nel quale il mare smeraldino occupa la posizione centrale, delimitato dalla mezzaluna dorata della spiaggia e incastonato nell'arco di roccia formato da monte Gallo e dai contrafforti dell'Addaura.

Solo in poche località dell'Italia e del Mediterraneo gli ingredienti paesaggistici si combinano in modo così sapiente, ricavandone un'impressione tanto armoniosa.

Il toponimo di Mondello indicò uno dei tre seni che intagliano la costa di Palermo, balcone della perduta Conca d'Oro. La sua insenatura a mezzaluna interamente esposta a tramontana s'interpone tra la stretta baia di Sferracavallo e l'ampia falcatura del golfo di Palermo, coi diaframma di monte Gallo e monte Pellegrino.

Capo Gallo si erge al confine tra la bassa pianura e il mare e la sua mole scherma l'entroterra dai venti freddi di Nord Ovest. Questa protezione garantisce la mitezza del clima della Piana dei Colli, ma non riesce a bloccare le perturbazioni più forti e soprattutto le bufere che irrompono da ponente attraverso il corridoio di Sferracavallo, localmente inteso u Malupirtusu.

Il vento che entra dalle strettoie di Sferracavallo, si espande sulla Piana, mulinando sulle pareti del Billiemi e del Giusino e ritorna su se stesso con violenza, squassando gli alberi e le case. Quando dal Malupirtusu si affacciano i cumulonembi e il vento si placa, allora arriva la pioggia con scrosci d'intensità maggiore rispetto alla vicina Palermo, ma in genere di minore rata.

Le rocce dolomitiche delle quali sono costituiti i monti di Palermo lasciano passare l'acqua piovana, che scendendo attraverso i condotti e le fessurazioni carsiche, arriva fino alla base impermeabile di argille e fuoriesce , riversandosi nella Piana. Nella depressione compresa tra Partanna e Valdesi le acque s'impantanavano e formavano un vasto acquitrino, alimentato da un intrico di ruscelli e canali; lo circondava una giungla impenetrabile, popolata da una ricchissima fauna di uccelli acquatici, di rapaci, mammiferi, tartarughe, serpenti palustri. Il mare comunicava con le paludi attraverso canali che pulsavano con le maree.

Le acque brulicavano di pesci: anguille, cefali e spigole giganti facevano la delizia del re Borbone che vi si recava dalla sua residenza alla Palazzina Cinese. Il Doderlein scriveva di "bolgie" come quelle dantesche, decantandone la feracità e la bellezza selvaggia. Una cortina di dune separava l'entroterra dall'arenile sabbioso, allora molto più ampio di oggi. Le dune erano sormontate da boschetti di ginepro, macchie di quercia e da spinosi e odoranti caprofoglio; il giglio di San Pancrazio fioriva insieme con la violaciocca (Mattiola tricuspidata) presso la riva.

L'acqua che rimontava dal mare con l'alta marea e raggiungeva la terra, si fermava nelle depressioni litoranee, formando modesti bacini salati. Questi furono ampliati e strutturati in modo da formare un reticolo di saline che alimentava in parallelo una ricca peschiera.

Tutto questo durò, con alterne vicende, sino alla fine dell'800, poi il volto dell'intero territorio mutò attraverso gli interventi di bonifica e prese l'aspetto attuale. Alla bellezza paesaggistica faceva, infatti, riscontro la jattura della malaria che impedì il popolamento della Piana acquitrinosa, mentre l'intrico di stagni e canali ne rendeva difficile l'accesso per gran parte della stagione invernale.

Per queste difficoltà di accesso, il villaggio di Mondello visse un'esistenza autonoma e grama, estranea alla vita della grande città che restava lontana, irraggiungibile, al di là di Monte Pellegrino e mai si curò di questa dependance. Ecco perché Mondello ha una storia tutta sua, diversa da quella di Palermo, fatta soprattutto di fame, malaria, esposizione alle incursioni di pirati barbareschi, pesti che la città non patì, o patì in misura ridotta.

Le uniche risorse furono la pesca sviluppata intorno all'antica tonnara cinquecentesca e un certo traffico marittimo alternativo a quello di Palermo, che si giovò del caricatore presso l'odierna piazza. L'agricoltura si praticava dal '600, sui terreni più alti sovrastanti la depressione paludosa che costituirono i feudi di Castelforte, Santocanale e Fondo Verde.

La bonifica per colmata, realizzata su iniziativa del principe Francesco Lanza di Scalea, alla fine dell'800, riuscì laddove avevano fallito i numerosi tentativi precedenti.

La terra di riporto riempì la depressione, cancellò la palude e creò quel mosaico di orti e agrumeti che nell'ultimo trentennio sarebbe stato smembrato da strade e parcheggi e sul quale si sarebbero sparsi a macchia d'olio villini e casette.

Riveduta a posteriori, la bonifica ottocentesca andrebbe giudicata molto severamente: essa distrusse un ecosistema ricchissimo di biodiversità, sconvolse il paesaggio litoraneo e fu indirizzata soltanto alla valorizzazione fondiaria. La città satellite che lievitò tra Partanna e Valdesi fu un quartiere alto borghese, di case costruite con sfarzo narcisistico ed abitate soltanto nei mesi estivi in funzione di una vita balneare o da circolo della Vela per i vip.

Per fortuna, le costruzioni sorte fra gli anni del Liberty e la metà del secolo recarono l'impronta raffinata di Ernesto Basile ed espressero quel particolare gusto floreale, cui fu cornice, la lussureggiante vegetazione esotica di palme e sterlizie; poi, le cose cambiarono e si arrivò al kitsch edilizio dei decenni recenti, all'orrendo falansterio dell'Amore di Mare e ad altre brutture, preludio a un temuto neovandalismo. La bonifica ottocentesca è responsabile anche dello spianamento delle dune litoranee e dell'interruzione del flusso di sabbia dall'interno. La spiaggia non più alimentata dagli apporti della terra ferma, si è a poco a poco assottigliata.

Analogamente alle spiagge degli atolli tropicali, la sabbia di Mondello è costituita da bioclasti, da frammenti cioè di conchiglie e gusci di animali marini, per lo più foraminiferi insediati tra le fronde della Posidonia oceanica. Grazie, quindi, al continuo rifornimento di sabbia assicurata dalla preziosa palmetta subacquea, la spiaggia è ancora lì, ma forse per pochi anni ancora. Le acque del mare di Mondello sono ancora oggi limpide nonostante le infinite fonti d'inquinamento: si può soltanto immaginare la loro trasparenza prima della bonifica, quando le acque dolci che vi affluivano dal retroterra erano filtrate dalle coltri di sabbia e purificate dalla vegetazione.

La prima espansione edilizia su Valdesi non comportò inquinamenti e forse neanche la seconda: i pozzi neri a perdere trasudavano i loro liquami nella calcarenite porosa dove essi venivano me-tabolizzati dalla flora batterica e assorbiti dalle radici dei grandi alberi. Una sola palma o una Araucaria - e a Valdesi ce n'è a centinaia - sono sufficienti a depurare i liquami di una famiglia media molto più efficacemente rispetto agli impianti di trattamento (i cosiddetti depuratori cittadini. La costruzione dei due bracci del "ferro di cavallo" non alterò sensibilmente la qualità del mare, in quanto convogliò acque pulite. Fino agli anni '50, infatti, il canale di bonifica era ancora popolato di ottimi cefali e anguille e ospitava fitti canneti lungo le sponde.

Nel decennio successivo, le centinaia di villini sorti con l'assalto edilizio allacciarono abusivamente i loro scarichi fognari al canale che diventò una fogna a cielo aperto, finché esso non fu coperto e inglobato in altre proprietà private, ma appestò il mare.

Fu necessario rimediare con il "serpentone" che costituisce un rimedio permanentemente provvisorio di efficacia aleatoria. La costruzione dell'impianto fognario, propagandato come supremo rimedio all'inquinamento delle acque, rischia di essere un tragico flop.

E' vero, infatti, che si dirotterà un certo volume di liquami domestici dal recapito in mare, ma nello stesso tempo s'impoverirà la falda di un consistente volume di acque dolci e si favorirà l'intrusione di acque marine, col risultato di salificare fortemente le acque del sottosuolo di Mondello e di uccidere gran parte della vegetazione della Piana: un disastro annunciato. Bisognerebbe quanto meno reimmettere in falda le acque depurate ed evitare l'ulteriore cementificazione del suolo, che impedisce l'assorbimento nel terreno delle rade acque piovane. Questo problema è di norma ignorato dagli ingegneri idraulici e sanitari ed escluso dalle loro progettazioni.

Ogni estate, sulla spiaggia si riaprono due questioni. Una riguarda l'obbrobriosa sfilata delle capanne con lo sfruttamento al centimetro dell'arenile, ogni anno più corto; l'altra riguarda l'inquinamento del mare. Sulla bruttezza e sull'anacronismo delle capanne non sussistono dubbi e almeno due palermitani su tre auspicano ardentemente la loro eliminazione definitiva.

La spiaggia liberata dalle capanne sarebbe ben più attraente e disponibile per i cittadini e i forestieri. Seguendo l'esempio di altri lidi italiani, sull'arenile si dovrebbero impiantare palme da dattero: si raggiungerebbe il fine di creare un paesaggio bello e suggestivo, e di trattenere la sabbia.

L'inquinamento è una questione più complessa che riguarda la circolazione delle acque nella baia, i danni dovuti agli scarichi e ai bagnanti, le condizioni stagionali. Il rinnovamento delle acque è legato ad una corrente tangenziale che entra dal lato di Capo Gallo ed esce sul versante opposto, in direzione dell'Addaura. Gli eventuali inquinamenti vengono così diffusi a levante.

I  venti da Sud spingono le masse d'acqua litoranee in direzione del largo e permettono un'efficace depurazione. Al contrario le brezze di levante, ammassano acque nella zona adiacente al paese elevando al massimo l'inquinamento.

In piena estate, quando domina l'alta pressione e i venti si placano, la brezza di levante entra in sinergia con il basso ricambio delle acque e con l'altissimo numero di bagnanti, troppo alto per le capacità di autodepurazione del mare. E' a questo punto che l'acqua si satura di sali nutritivi e le alghe iniziano a proliferare senza controllo.

L'acqua s'ingiallisce per l'alta concentrazione di cellule planctoniche presenti e il fondo di sabbia si ricopre di macroalghe e di alghe batteriche accresciute su qualsiasi immondizia. Il fenomeno dura in media tre settimane e ha luogo tra la fine di luglio e la seconda decade di agosto. Poi con l'abbassarsi della temperatura e il diradarsi della folla dei bagnanti, le alghe scompaiono e le condizioni ritornano "normali".

Il fenomeno è un avvertimento, il segnale che la spiaggia è sovrappopolata oltre il limite, che l'abitato di Mondello è una fonte d'inquinamento e che, tutto sommato, i villini e i pozzi neri hanno un ruolo minimo nello scatenamento dei fenomeni. In piena estate, infatti, la maggior richiesta di acqua da parte della vegetazione concorre ad asciugare velocemente i pozzi neri e ad annullare la loro eventuale carica inquinante (che è massima in inverno). Le fognature, invece, rischiano «li funzionare all'incontrario e bisognerà concludere che il rimedio invocato dal Comune e dai suoi esperti idraulici è peggiore del male, ma sarà servito a tacitare un'ignara cittadinanza e a buttare un bel po' di pubblico denaro.

Una conclusione di questo discorso, che è anche una premessa, è che i palermitani attuali non meritano un gioiello come la nostra spiaggia, la quale, vocata per un'elite «li amanti della natura, magari un po' snob come furono gli scopritori e i l«>ro aristocratici epigoni, è stata degradata in un immenso carnaio. Immeritato è anche un villaggio come Mondello dalle architetture belle ed essenziali, trasformato in un bazar kitsch e maleodorante. La domanda che ci si pone è: quale dest ino potrà avere il nostro gioiello se verrà abbando-nato alla cupidigia di certi commercianti della piazza, all'assalto dell'orda dei bagnanti estivi e alla bieca voracità delle lobbies di speculatori? La risposta è implicita nella premessa: sarà un disastro! Anche i rimedi sono impliciti nella premessa. Un futuro degno del ruolo naturale di Mondello si focalizza in pochi termini:

•  Aumento del verde

•  Diminuzione del cemento

•  Diradamento delle folle di bagnanti estivi

•  Riqualificazione dei servizi offerti

• Restauro dell'immagine urbana

Quest'ultima dovrebbe rivalutare l'impronta architettonica diErnesto Basile e la bellezza delle strutture storielle superstiti, con la consulenza «li "veri" esperti, in primis Pippo Lo Cascio e Francesca Mercadante, che hanno riportato alla luce la storia sconosciuta della borgata. Tocco finale al progetto sarà l'istituzione definitiva della riserva marina di Capo Gallo, richiamo turistico di livello internazionale che tuttavia pare non interessi nessuno.

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