A PRIMA VISTA, HA TUTTA L'ARIA DEL PESCATORE: UN PEZZO 
     D'UOMO CON COPRICAPO CALCATO SULLA FRONTE, GIUBBOTTO APERTO SU UNA CAMICIA 
     SCURA, SIGARO IN BOCCA. MA GIOVANNI POTRICELLI NON FA PIÙ IL PESCATORE. 
     GESTISCE CON I FRATELLI GIUSEPPE E MICHELE IL NOTO RISTORANTE "SARIDDU E 
     FIGLI", IN PIAZZA MONDELLO. 
		UNA FAMIGLIA CHE HA ABBANDONATO IL MARE, PER 
     UN'ATTIVITÀ MENO PERICOLOSA E MENO STRESSANTE.
		di 
              Stefania Sgarlata
		Ma 
     fino a pochi anni addietro, Giovanni andava ancora a pesca, una passione 
     dura a morire in lui che appena sedicenne si immergeva nelle acque del 
     golfo per prendere grandi quantità di ricci che poi vendeva sul lungomare. 
     Nelle ore di riposo, davanti al televisore, si lasciava sedurre dalle 
     trasmissioni di documentari sulle avvincenti scene della mattanza o di 
     altra pesca d'altura.
		Col passare degli anni, sentiva dilatarsi dentro di sé, 
     indomabile, il desiderio di tentare la grande avventura, di sfidare pesci 
     di grosse dimensioni. Non come componente di un gruppo, ma da solo, anche 
     se l'idea destava scetticismo negli amici. Comunque, la sua decisione non 
     cambiava: con l'avversario voleva misurarsi lealmente, l'uno contro 
     l'altro.
		E l'avventura ebbe inizio. L'immagine di questo giovane 
     pescatore solitario che affrontava le insidie delle onde e la forza del 
     tonno moltiplicata dal terrore, ci riporta alla mente, l'epica lotta 
     descritta da Hemingway nel famoso libro "Il vecchio e il mare", poi 
     trasposto nel film, magistralmente interpretato da Spencer Tracy. Giovanni 
     si alzava all'alba, e raggiungeva la barca a motore, portando con sé una 
     buona scorta di sardine come esca. 
		Partiva dal molo di Mondello e, percorse 
     quattro miglia, arrivava su una secca denominata "La barra", indicata anche 
     nelle carte nautiche. Lì cominciava a lanciare le sarde in acqua 
     (operazione detta nel linguaggio dei pescatori "addiccatura") in modo da 
     comporre una lunga scia, avvertibile dall'olfatto dei tonni anche a 
     distanza di sei miglia. Preda della cosiddetta "frenesia alimentare" 
     qualche bestione lasciava il branco e si dirigeva famelico in direzione 
     dell'esca. Arrivato il tonno nella secca, sottobarca, Giovanni, innescava 
     le lenze piazzate una a 35 metri munita da un palloncino per tenerla in 
     superficie e l'altra a 15 metri con un piombo sotto il natante. E restava 
     nella trepida attesa dello strappo cioè il segnale che il pesce aveva 
     abboccato.
		A questo punto, aveva inizio la lotta: disperata da parte 
     del tonno; orgogliosa da parte del pescatore "saldato" alla cosiddetta 
     sedia di combattimento con alla base un anello di ferro per tenere ferma la 
     canna di fibre di carbonio. L'istinto dell'animale era subito quello di 
     fuggire con l'amo d'acciaio conficcato in bocca. Non raramente, stordito 
     dal dolore, si dirigeva con cieca furia verso il fondo della secca e 
     sbatteva la testa tanto violentemente da morire. Ma per lo più si 
     allontanava a una velocità di circa 80 km l'ora, tirando la lenza per 600 
     -700 metri; poi si fermava prossimo alla resa; e Giovanni lo riportava 
     nelle vicinanze della barca.
		Questo appassionato e spossante gioco di mollare la lenza 
     e di ritirarla, ora assecondando la fuga del tonno, ora seguendo la volontà 
     del pescatore, durava sempre non meno di due ore.
		Alla fine, i risultati potevano essere due: o il tonno 
     riusciva a liberarsi dell'amo, sacrificando parte della bocca; o 
     agonizzante, affiorava in superficie e finiva sotto barca, dove Giovanni - 
     vittorioso - era pronto a dargli il colpo di grazia con l'arpione. E tutt'intorno 
     il mare si colorava di rosso vivo. Successivamente, il bestione veniva 
     issato a bordo con grandi sforzi (ogni esemplare variava dai 35 chili in 
     su. Una volta Giovanni ne catturò uno di 200 chili e fu costretto a 
     trainarlo).
		Quanti tonni ricorda di avere pescato?
		Ho perduto il conto, ma sono molti. Non sempre, 
       però le battute di pesca avevano successo. Non di rado tornavo a barca 
       vuota.
		Il pesce lo vendeva?
		
		Mai. Serviva solo per gli amici. Eravamo in 
       tanti e la sera facevamo grandi abbuffate di tonno arrostito.
		Qualche volta non prova il desiderio di ritornare 
       pescatore solitario su quella secca?
		Anche se vi tornassi sarebbe inutile. Passa di 
       tonni ormai non ce n'è più. Ci sono ora le tonnare volanti che si servono 
       appunto degli aerei per segnalare alle navi (soprattutto italiane 
       finanziate dai giapponesi) branchi di tonni che vengono presi con le reti 
       prima di giungere nei nostri mari. A Favignana non c'è più la mattanza. 
       Dappertutto è solo un ricordo folcloristico.