di Carlo Di Franco
			La Palermo che si presenta al lettore, 
			affascinato dalle vicende romanzesche in cui sono ambientate le 
			gesta dei Beati Paoli è quel periodo storico che va dalla fine del XVII secolo 
			(1698) e i primi decenni del XVIII secolo (1719).
			Strade, piazze, vicoli e cortili, palazzi nobiliari, conventi e 
			monasteri, quest’ultimi con le loro logge sul Cassaro (1), avevano in 
			questo periodo già delineato quella parte della città che era il 
			quartiere del Seralcadio, compreso le misere abitazioni del popolo (catoi) 
			e la vita dei suoi abitanti era scandita da usi e 
			costumi oggi in gran parte del tutto scomparsi.
			Il mandamento dove avvenivano tali 
			fatti oggetto del romanzo è il “Monte di Pietà” compreso 
			tuttora nella zona che va 
			dal vecchio Cassaro verso l’interno della cortina muraria 
			cinquecentesca.
			Assieme agli altri tre mandamenti, Palazzo Reale, 
			Tribunali e Castellammare, (ogni mandamento rispecchiava il nome 
			dalla presenza di un’insigne edificio) la città vecchia fu così 
			suddivisa grazie all’interramento dei due fiumi (il Kemonia 
			e il Papireto) dove i profondi avvallamenti che costituivano l’alveolo 
			divennero le strade di antica delimitazione tuttora percorribili. 
			La “Cala” che costituiva l’antico porto, a causa dei detriti 
			riversati dai due fiumi, si era notevolmente ridotta e la sua linea di 
			demarcazione che in precedenza aveva invaso i territori limitrofi, 
			cominciava a delineare i contorni del nuovo porto che lambiva 
			la parte settentrionale della costa palermitana.
			Le due strade principali erano il Cassaro e la via Maqueda, 
			quest’ultima venne aperta nel 1600 e si chiamò “Strada Nuova” in 
			seguito fu intitolata al vicerè Maqueda, essa apportò la nuova 
			suddivisione nei quattro mandamenti, con l’incrocio delle due strade 
			si venne a creare la piazza “Vigliena” detta anche piazza del 
			“Sole”. (2)
			Sontuosi e imponenti palazzi nobiliari facevano da quinta nelle due 
			strade principali, e i nobili potenti ambivano ad avere il loro 
			palazzo sul Cassaro e su via Maqueda, chiamata la strada Nuova, 
			per ostentare la loro autorevolezza (palazzo Gravina, Rudinì, 
			Filangeri, La Grua, Belmonte, Natoli, Cutò, Isnello, Celesti...).
			Come loro anche grandiosi complessi conventuali e monacali 
			aspiravano a questa magnificenza (Collegio Massimo dei PP.Gesuiti, 
			Collegio dei PP.Scolopi, dei Padri Teatini, dei Crociferi, le 
			Carmelitane Scalze, i Padri Riformati di S.Agostino, le basiliane 
			del SS.Salvatore, le Domenicane di S.Caterina, ecc...).
			Occupavano buona parte dell’area urbana poveri, artigiani,  
			piccoli borghesi e qualche signorotto che si voleva distaccare dalla 
			calca nobiliare, conventi e monasteri erano presenti ed occupavano 
			aree che di solito erano destinate a giardini reconditi, globalmente 
			vivevano con la tipica rassegnazione dell’anima siciliana, si 
			annidavano nei catoi, la tipica abitazione dell’intrico dei vicoli 
			maleodoranti dei quartieri (l’albergheria, la kalsa, il capo e la 
			loggia).
			Il catoio era formato due parti, la stanza principale al piano 
			terreno che serve per gli usi di tutta la famiglia e, dal soppalco 
			in legno che occupava mezza area in elevazione.
			Nel centro del solaio troneggia il letto a due piazze, col materasso 
			poggiato su tavole di legno rette da cavalletti in ferro, per i più 
			ricchi, o di legno (trispiti).  
			Il resto dell’arredamento è composto da un tavolo con tre o quattro 
			sedie impagliate e qualche sgabello, una cassa di legno, qualche 
			stampa devota o l’altarino dove non doveva mancare la presenza 
			dell’immagine di Santa Rosalia da poco nuova patrona della città.
			A volte un’insieme di “catoi” era raccolto all’interno di un vicolo 
			chiuso che di conseguenza diveniva il prolungamento dello spazio 
			abitativo.
			Nelle abitazioni più povere, formata senza eccezione da un solo 
			ambiente, la situazione era ancora più fatiscente, gli artigiani di 
			solito occupavano l'abitazione in una palazzina, al piano rialzato o 
			al primo piano e bottega al piano terra, mentre locavano i piani 
			successivi. Questi "imprenditori" d'epoca, riuniti in maestranze ed in congregazioni, 
			innalzavano altre chiese ai loro Santi protettori.
			L’amministrazione civica della 
			città era il Senato ed era 
			affidata al Pretore (3) che aveva sede nel palazzo di città, detto 
			comunemente palazzo Pretorio, oggi Palazzo delle Aquile; mentre il 
			Vicerè occupava la parte più alta del Cassaro nell’antica sede 
			normanna; limitrofo al palazzo detto Reale vi era il quartiere 
			militare.
			Questo periodo in cui la Sicilia attraversava un momento di lotte 
			intestine tra lo stato, che era rappresentato da due poteri 
			forti: la figura scelta dal potere politico dominante 
			in questo caso il Vicerè che sostituiva la presenza del regnante, e 
			la chiesa. Questo humus ha dato l'opportunità di far nascere e 
			sviluppare questa “setta”, per 
			ostentare i soprusi dei nobili che in regime del loro potere 
			governavano in virtù del "mero e misto imperio" che poi in Sicilia 
			decadde nel 1812.
			Dal 1696 al 1701 fu Viceré della Sicilia 
			Pietro Colan di Veraguas 
			discendente del grande navigatore genovese Cristoforo Colombo.
			Nel 1713 la Sicilia fu ceduta dopo continue guerre tra la Spagna e 
			la Francia, a Vittorio Amedeo di Savoia che venne a farsi incontrare 
			a Palermo il 24 ottobre di quell’anno nella sontuosa Cattedrale.
			La sua presenza momentanea determinò la reggenza del Viceré Maffei 
			che dopo un breve periodo di amministrazione fu costretto a lasciare 
			la città per dar continuo prosieguo alla dominazione spagnola dopo 
			l’avvicendamento di tre monarchie.
			Il potere religioso in questa porzione urbana chiamata 
			“Galca”, 
			nella parte opposta di quella Vicereale delimitata da una grande 
			piazza d’armi, la occupava con la sede Arcivescovile con annesso 
			seminario, al limite aveva ed ha tutto ora il suo piano, che guarda 
			il Cassaro, ne vari secoli venne utilizzato ora come cimitero 
			recintato da un muro, ora come fiera, il periodo che andò dal 1517 
			fino ai primi dell’ottocento si svolgeva la fiera di Santa Cristina, 
			(4) a luogo di festa o come tribunale pubblico (5) o anche come luogo 
			d’incontro della nobiltà definito tale nel XV secolo come “Piano 
			dei cavalieri”.  
			Antistante alla spianata si delinea la basilica maggiore che 
			rappresenta il compendio della cultura artistica palermitana, frutto 
			della presenza dei vari dominatori “a’ cattidrali”.  
			Essa rimane per gli abitanti “a chiesa granni”, l’edificio 
			religioso per eccellenza, collegiale a tutti i mandamenti della 
			città, per quello del “seralcadi” rappresenta il loro “castello”. 
			Anche se la città era divisa nei nuovi mandamenti, il popolo 
			continuava a nominare le varie zone urbane con le antiche 
			denominazioni, gli abitanti si vantavano di appartenere alla “Cunzaria”, 
			a’ “Briaria”, “Ausa”, a’ “San Pietru”, o’ “Cassaru”, o’ “Capu” 
			(6), 
			dove diversi erano le consuetudini e perfino il dialetto.
			Ogni mandamento era riconosciuto con uno stemma: l’Albergheria si 
			fregiava di un serpente verde in campo d’oro, la Loggia con l’arme 
			di casa d’Austria, la Kalsa da una rosa rossa e il 
			Seralcadi 
			dall’effige di Ercole che sbrana un leone, queste di solito si 
			mostravano durante le feste pubbliche: reali e vicereali e durante 
			la processione del festino.
			Il mandamento era protetto da una Santa patrona le cui effige furono 
			poste ai quattro cantoni di piazza Vigliena: l’Albergheria aveva 
			Santa Cristina, la Loggia Santa Ninfa, la Kalsa
			Sant’Agata, il Seralcadio con Sant’Oliva, su tutti i mandamenti troneggia 
			Santa 
			Rosalia in particolare viene venerata nel rione del “Capo” per via 
			della presenza della casa del famoso saponaio che ne svelò dove si 
			trovavano i resti della Santa.  
			Il “Capo”, dove maggiormente la famigerata setta agiva e si muoveva 
			indisturbata, rappresenta la parte più alta del mandamento “Monte di 
			Pietà” nella vasta zona trans-papireto localizzata nel “Seralcadio” (7), 
			configurato da diversificati rioni come “La Guilla, il Papireto e il 
			Noviziato”, gli abitanti di ogni singolo rione sono fieri di 
			appartenere a questa o a quella contrada con la personale 
			identificazione.
			Era ed è occupata in massima parte da una edilizia popolare dove 
			emergono strutture e complessi monastici autorevoli come quello 
			degli “Agostiniani” e degli “Agostiniani scalzi”, dal convento dei 
			“Mercedari”, 
			dei Benedettini e dai Gesuiti, dal monastero francescano di S.Maria 
			di Monte Oliveto, quello di Montevergini e delle suore cappuccine, 
			dal conservatorio di S.Agata alla Guilla, dal collegio del “Giusino” 
			e quello di Maria al Capo, dal vasto monastero di S.Vito, da quello 
			benedettino della “Concezione”.
			Le chiese parrocchiali erano due: la chiesa di Santa Croce, oggi 
			distrutta e, da sempre è stata quella dedicata a San Ippolito, 
			anticamente dava il nome alla contrada, risalente al XIV secolo, di 
			questo periodo conserva soltanto un piccolo affresco 
			bizantineggiante che raffigura la Madonna con il Bambino, 
			ristrutturata nel 1728; l’interno è costituito da tre navate e, 
			nell’altare maggiore è esposta la tela raffigurante "Il Martirio di 
			Sant'Ippolito" del 1728, opera di Filippo Randazzo.
			Nel territorio sono distribuite altre chiese che appartengono alla 
			pia devozione delle numerose confraternite, che sono presenti nel 
			quartiere sin dalle loro origini, altre qui trasferitesi da altre 
			parti della città per necessità di locazione.
			Antiche e moderne, tuttora sono strumenti di  
			sostentamento e 
			solidarietà, hanno rappresentato un punto di riferimento per i 
			diversi rioni, non solo per i componenti del misterioso sodalizio, ma 
			sopratutto per la gente che l’abitava.
			La maestranza dei muratori e manovali del 1674 successivamente 
			cambiò il nome in quello di Santa Rosalia e acquisì il privilegio 
			del porto e riporto dell’urna della Santa, la loro chiesa è 
			intitolata a Santa Rosalia ai quattro SS. Coronati.
			La confraternita di Maria SS. Delle Grazie ai “Pirriaturi” è la più 
			antica presente nel mandamento, essa risale al XVI secolo (1557) ed 
			è costituita dalle maestranza dei cavatori di cave, volgarmente 
			detti pirriaturi da “pierre” pietra.
			Nel 1590 i padri Mercedari spinsero alcuni laici a fondare la 
			confraternita della Madonna della Mercede, comunemente detta “a’ Miccè”, i locali da loro occupati sono quelli presenti all’interno 
			della vetusta chiesa, il vecchio convento da tempo è stato distrutto 
			ed era ubicato nella spianata della piazza “Capo”, denominazione che 
			riguardava la parte superiore di questo mandamento, ma per comodità, 
			tutti i palermitani si riferiscono all’intera area abbreviandola con 
			la semplice frase “ ù Capu”. 
			La compagnia di Sant’Onofrio fondata nel 1568 da alcuni fedeli a 
			questo Santo Asceta, il loro patrono nel 1620 è stato eletto patrono 
			della città di Palermo, la loro chiesa si trova nell’omonima piazza, 
			una volta limitrofa al macello comunale.
			Nel 1736 un gruppo di operai di diverse arti e mestieri fonda la 
			congregazione dedicata a Maria SS.del Lume, questa definizione era 
			sta attribuita per la presenza della loro chiesa in via Lume, 
			adiacente al Noviziato dei Gesuiti, distrutto il tempio, i confrati 
			si stabilirono sin dal lontano XVIII secolo nei locali della chiesa 
			di San. Sanislao.
			
					
			
					
					
					
					
					
					
			La chiesa di S.Maria di Gesù detta anche 
			“S.Maruzza” dei “Canceddi” 
			ubicata nella piazza Beati Paoli apparteneva ai lavoranti conduttori 
			di muli da basto che trasportavano le mercanzie con grandi ceste di 
			vimini chiamate “canceddi”.
			La maestranza che la possedeva fu fondata nel 1509, successivamente 
			dopo che si sciolse la concesse all’opera dei fanciulli orfani che 
			la lasciarono per trasferii nel 1577 nella chiesa di S.Rocco ubicata 
			nella stessa piazza; la confraternita possedeva una bella statua 
			della Vergine che portava in processione, attualmente  
			custodita nella chiesa dei Pisani.
			La chiesa di San Rocco fu edificata nel 1575 in onore al Santo 
			taumaturgo per la guarigione della Peste, nel 1604 scioltasi la 
			congrega, fu assegnata a quella dei SS. Cosma e Damiano che la tennero 
			fino al 1970, l’edificio quindi fu chiuso al culto e la confraternita estinta, 
			le statue dei Santi Martiri trasferiti nella chiesa parrocchiale di S.Ippolito.
			I carrettieri posseggono la loro chiesa nell’omonima strada nella 
			contrada Papireto, dedicata all’Angelo Custode, e la confraternita fu 
			fondata nel 1699 quando comprò alcune case del rione per fabbricare il 
			tempio che fu edificato nel 1701.
			La chiesa a cui si accede da uno scenografico scalone tipicamente 
			barocco è decorata all’interno da stucchi e festeggia il suo Santo 
			protettore il 2 ottobre portandolo in processione per le vie del quartiere.
			Nel rione papireto, i calzolai avevano la loro chiesa in via Gesù e Maria di cui presero il nome della confraternita fondata nel 
			1716 di cui era la sesta congregazione dedicata a Gesù e Maria.
			La Nazione Pisana aveva la sua chiesa ubicata nel rione “guilla” 
			nella piazza dei SS.Quaranta Martiri di cui prese il nome, edificata 
			nel 1605 nel frontespizio della facciata spicca lo stemma della 
			città di Pisa, l’attuale confraternita dei pisani che la gestisce dal 1958 è 
			dedicata a Maria dei Sette Dolori, la sua festa con un bellissimo 
			fercolo con la statua in legno dell’addolorata trafitta nel cuore da 
			sette pugnali in argento si svolge verso la fine del mese di 
			settembre.
			Un’altra Nazione, quella Veneziana aveva la sua chiesa dedicata a San 
			Marco nell’omonima piazza, da tempo scomparsa, le strutture oggi 
			ospitano una casa di riposo.
			La chiesa dei Lucchesi in via S.Agostino, dedicata al 
			SS.Crocifisso, oggi è un magazzino, il Crocifisso venerato dal 
			consolato della seta si trova alla Galleria Regionale Siciliana.
			La Commenda dell’Ordine Cavalleresco dei gerosolimitani aveva 
			l’ospedale e la chiesa ubicati, nell’odierna via Beati Paoli, 
			delimitati da un retrostante giardino dove anticamente si trovava la 
			copiosa fonte, che diede il nome alla zona, oggi deturpata, 
			apparteneva al palazzo dei principi di S.Isidoro; in questo luogo vi 
			era una taverna detta in gergo della “Cuncuma”.(8)
			Nella chiesa, costruita nel 1165 e rifatta con nuove fattezze nel 
			1669, dal 1947 vi è ospitata la confraternita di Maria SS.Addolorata 
			del Venerdì Santo che in quel giorno porta in processione i 
			simulacri della Vergine e del Cristo morto.
			Altre confraternite esistenti nella zona sono ospitate in strutture 
			religiose come quella di Maria SS. della Concezione nella omonima 
			chiesa o come quella di Maria SS. del Paradiso all’interno della 
			chiesa di S.Gregorio Magno o i Terziari di Santa Rita all’interno 
			del complesso Agostiniano.
			Esistono anche degli importanti Oratori come quello dei SS.Pietro e 
			Paolo, dei Pellegrini, dell’Ecce Homo, quello di S.Stefano, di 
			S.Agata Li Scorruggi, di S.Vito detto di “San Vituzzu”, oggi 
			trasformati a nuova destinazione.
			Territorio poco appetibile per l’edificazioni delle dimore nobiliari, 
			per via che nella zona interna persistevano le paludi del 
			“papireto”, si cominciò a fare la bonifica dopo 
			l’interramento del fiume (1591); quindi, nel XVIII secolo, i principi di Buonriposo fecero nascere una nuova
			entità costruttiva e creare un rigoglioso rione detto del papireto.
			I pochi palazzi nobiliari, presenti si debbono a famiglie che di 
			antica data erano proprietari dei terreni che facevano coltivare ad 
			ortaggi e legumi, o piccoli imprenditori che abbellivano la loro 
			dimora come segno d’influenza economica.
			Palazzo del Castello principi di S.Isidoro della fine del XVI secolo 
			con un bellissimo portale d’ingresso tutto “bugnato” che si apre su 
			via S.Agata alla “guilla”, ancora presente è il passaggio sospeso 
			che univa il palazzo con il magnifico giardino, trasformato in tempi 
			recenti in arena per cinematografo.
			Palazzo Guccia costruito sul “bastione della balata” al papireto 
			della metà del sedicesimo secolo, Palazzo Fernandez fabbricato come 
			infermeria del Ritiro delle figlie della Carità per l’adiacente 
			conservatorio del “Filippone”.  
			Palazzo Molinelli di S.Rosalia edificato verso la fine del XVI 
			secolo dallo spagnolo Bernardo de Ljermo, passato nel XVIII secolo 
			alla famiglia Molinelli, palazzo Artale di Collalta costruito nel 
			XVII secolo, ha il prospetto contiguo alla chiesa della Badia Nuova, 
			il suo fronte è esteso lungo la via Artale di cui prende il nome, 
			palazzo Leone-Cupani di origine seicentesca fu costruito per volontà 
			dei Branciforte, principi di Butera, passato in seguito ai principi 
			del Castillo di S.Isidoro.
			Il Monte di Pietà (9), nella omonima piazza, è l’unico vasto 
			edificio che nasce come opificio per la fabbrica dei panni, visto 
			che nelle vicinanze passava il fiume papireto di cui sfruttava le 
			acque.
			L’edificio più rappresentativo del quartiere, tanto da dare il nome 
			al mandamento e alla contrada, preso come simbolo della miseria dei 
			suoi abitanti, innalzato nel XVII secolo, dopo l’interramento del 
			fiume, verso l’inizio del seicento divenne opera “pia” come Monte 
			per i pegni, il palazzo che si presenta con uno sviluppo lineare, ha 
			all’ultimo piano un ampio loggiato, a suo tempo utilizzato per la 
			stesura dei panni per la asciugatura.
			Palazzo Trucco, edificato per conto del barone Naso nel XVII secolo, 
			si mostra oggi nella seconda veste conferitagli nel settecento dai 
			nuovi proprietari i marchesi Celeste di S.Croce, successivamente 
			passò a Gianbattista Trucco ricco commerciante che lo rivendette nel 
			XX secolo ai La Motta, baroni di S.Silvestro, alla sua destra rimane 
			un altro palazzotto riferibile al XVIII secolo, nel prospetto mostra 
			un’insegna dove campeggia un leone rampante contro un sole 
			splendente, l’indicazione lo fa risalire alla famiglia dei baroni 
			Naso.
			Palazzo Barlotta principi di S.Giuseppe in via S.Agostino risalente 
			al XIV secolo, rimaneggiato nel seicento dalla famiglia Bologna, 
			l’edifico si presenta con tre elevazioni con il frontespizio 
			abbastanza ampio, il suo interno è articolato attorno a due cortili.
			Palazzo di Grazia di origine seicentesca dove funzionò per tutto il 
			seicento l’officina della zecca, la attigua stradina porta il 
			toponimo della antica zecca detta “siccheria”.
			Nella via Judica si affaccia il vasto edificio settecentesco 
			appartenuto alla famiglia Judica procuratore del tribunale 
			governativo.
			Altri palazzotti barocchi sono disseminate nella zona, dove fanno 
			bella eleganza le inferriate dei balconi o delle belle stuccature in 
			gesso, antico retaggio artistico dei nostri artigiani.  
			Un esempio è il palazzo Serenari, 
			seicentesco appartenuto alla 
			famiglia del pittore Gaspare Serenario dove ebbe i natali e dove 
			visse, sue opere si trovano in diverse chiese di cui quella di San 
			Francesco da Paola. I balconi conservano ancora le inferriate con il tipico andamento a 
			petto d’oca, la costruzione possedeva un loggiato ancora esistente, 
			il Di Giovanni la identificò come torre Montalbano; tutti i 
			residenti, conoscono questo palazzo come quello del La Motta.
			Una delle strade principali che taglia in senso trasversalmente il 
			mandamento nella parte più alta del “Seralcadio” è quella che ospita 
			il più antico mercato detto del “capo”, nel periodo in cui era 
			attraversata dal fiume “papireto” questa zona era molto paludosa e 
			malsana: via di Porta Carini.
			Il mandamento nel contesto delle mura aveva due 
			Porte tangibili per 
			avvicendarsi in campagna: D’Ossuna e quella di Carini, una terza 
			porta è in comune con il mandamento dell’Albergheria cioè Porta 
			Nuova, la quarta porta Maqueda con il mandamento Loggia.
			Oltre alle porte citate esso aveva tre 
			Baluardi costruiti nel XVII 
			secolo a difesa delle mura: quello del papireto o della “balata” e il 
			Baluardo Gonzaga ancora oggi esistenti, quest’ultimo nel 1781 vi fu 
			sistemato un giardino pensile, il bastione Aragona o del Noviziato 
			trasformato e ampliato nel 1781 vi fu impiantato il primo Orto 
			Botanico di Palermo, concesso nel 1866 alle suore del monastero 
			della Concezione vi costruirono dei padiglioni ospedalieri che si mantennero fino all’ultima guerra, distrutto nel 1932 per far posto 
			al nuovo palazzo di Giustizia.
			Dalla Porta Carini (10), più volte 
			ricostruita, oggi vediamo quella 
			realizzata nel 1782 dalle monache del monastero di San Vito per 
			realizzare la loro loggia, si entra nella strada-mercato che 
			attraverso la via Carini, via e piazza Beati Paoli, via S.Agata alla 
			Guilla raggiunge, costeggiando il piano della cattedrale e, quindi 
			il Cassaro.
			Dalla piazzetta D’Ossuna (11), dove anticamente esisteva una Porta 
			che dava accesso in città dalla campagna, si perviene in via 
			Cappuccinelle, chiamata così per via della presenza del monastero 
			cappuccino, scende verso la piazza “Capo” e incrociando la strada di 
			Carini forma un piccolo crocicchio, da qui ha inizio la via Sant’Agostino (12) che si prolunga per giungere in via Maqueda.
			Anticamente era questa la strada principale del mandamento che lo 
			taglia in senso perpendicolare, si dipartiva dalla Porta D’Ossuna, 
			per arrivare, attraversando la via “Nuova”, fino al mare.
			La via Matteo Bonello (13) era anticamente l’arteria principale della 
			parte alta del Capo, questa dipartendosi dal Cassaro, al confine con 
			la “Galca”, longitudinalmente raggiungeva la contrada del Noviziato, 
			oggi troncata per via della costruzione dell’area dell’autorità 
			giudiziaria, si limita all’angolo con la via Cappuccinelle.
			
					
			
					
					
					
					
					
					
			La via Panneria che fiancheggiava il corso del papireto prima che 
			fosse interrato, si dipartiva dalla palude, oggi piazza Peranni(14), 
			via Gioiamia, si spingeva per piazza Monte di Pietà, via Iudica, via 
			Pannieri, era questa una strada dove abitavano coloro i quali 
			vendevano o lavoravano i panni, si giungeva in piazza S.Onofrio (15) 
			e quindi vicolo dei Giovenchi in via Maqueda.
			Lungo la via Panneria limitrofa alla chiesa dei Santi Medici 
			(SS.Cosmo e Damiano) si trovava un macello, mutato in tempi moderni 
			in luogo di vendita, esso ricadeva tra la piazza S.Cosmo e la chiesa 
			della Commenda di San Giovanni ed era ubicato nella via detta 
			dell’Ucciditore ormai scomparsa; un altro pubblico mattatoio era 
			sistemato in una piazzetta detta dei “caldumai” e si denominava “la Bocceria Nuova” (16), che fin dal XV secolo si estendeva fra la 
			Discesa dei Giovenchi fino a via dei Candelai e il suo centro era la 
			piazza dei Caldumai dove prospettava la chiesetta della “Madonna 
			della Grazia” appartenente alla maestranza dei “Caldumai” che 
			l’aveva costruita intorno al 1589, distrutta dai bombardamenti 
			dell’ultima guerra.  
			Varie vie esistenti portano ancora i toponimi connessi a questo tipo 
			di attività, cioè la macellazione, che comportava la presenza di 
			lavoranti come la via sanguinazzai (17) discesa delle capre (18) e 
			dei giovenchi (19), vicolo chianche (20), vicolo Pieduzzi (21).
			In via Candelai, che è la continuazione di via S.Isidoro che 
			fiancheggia l’omonimo palazzo ed ha inizio dalla piazzetta di 
			Sant’Agata alla Guilla, esistevano fino a qualche secolo fa, i 
			rivenditori di candele che producevano nelle loro botteghe 
			utilizzando il sego, estratto dal grasso di equini, ovini e in 
			specialmodo dai bovini.  
			L’attuale via “Celso”, che prende il nome dalla presenza vegetativa 
			di un albero di gelso, dal latino “celsa” (morus) moro alto, questa 
			antica strada detta del “cancelliere” aveva inizio all’interno del 
			quartiere militare che da sempre è stato racchiuso da mura 
			protettive ed invalicabili.
			La sua successione stradale di conseguenza fu frazionata assumendo 
			diverse denominazioni: via dei Pellegrini, questa attraversava i 
			giardini dell’arcivescovato, discendendo intersecava la via Matteo 
			Bonello passando accanto alla chiesa di S.Cristina La Vetere, 
			oltrepassava una zona ristretta, oggi vicolo De Franco per giungere 
			nella piazzetta Sant’Agata alla Guilla dove è presente l’omonima 
			chiesa e iniziava la via del “Celso”, questa lunga strada portava al 
			monastero del “Gran Cancelliere”, distrutto durante i bombardamenti 
			dell’ultima guerra per raggiungere la via Maqueda.
			Ancora strade di mestieri portano il nome degli antichi lavoranti, e 
			davano la possibilità di essere in quel posto recapitati: via 
			Carrettieri (22), via delle Sedie Volanti (23), via Pirriaturi (24), 
			via Crocifissari(25), vicolo Seggettieri(26), vicolo Busari(27), 
			vicolo Festuca(28), vicolo Travicelli(29).
			Spazi come strade, vicoli e piazze ricordano particolari condizioni: 
			via Trappetaro (30), via San Gregorio (31), via della Giara (32), 
			via della Sfera (33), via San Giuseppe (34), piazza degli Aragonesi. 
			Questa zona verso il 1200 era abitata da cittadini aragonesi, 
			successivamente in questo luogo esisteva un ampio cortile (35) 
			abitato di gente di bassa estrazione sociale, reso celebre per le 
			continue e movimentate risse, il Cortile degli Aragonesi divenne 
			anche il titolo delle più celebri vastasate, forse il filone più 
			importante del teatro popolare palermitano del settecento (36), 
			questo cortile faceva parte di una contrada, ormai scomparsa, detta 
			appunto degli aragonesi.
			La strada di San Giuliano, che conduceva all’omonima chiesa 
			costruita dalla confraternita nel 1346 in onore di questo Santo 
			patrono, successivamente abbattuta per far posto ad un monastero di 
			suore Teatine, rappresentava la via fondamentale di questo rione 
			detto di San Giuliano ad occidente di piazza degli aragonesi, 
			distrutto e trasformato per dare posto alla costruzione del Teatro 
			Massimo.
			Essa iniziava presso la via porta Carini fiancheggiando a sinistra 
			la chiesa e il convento di San Gregorio e scendeva per la strada di 
			San Vito all’interno delle vecchie mura, oltrepassava il seicentesco 
			oratorio di San Vito appartenuto all’omonima confraternita e 
			superato il baluardo delle monache, divenuto giardino pensile, si 
			incontrava la chiesa di Sant’Agata “Li scorruggi” (37), oggi questa 
			via è denominata delle Mura di San Vito e si completa davanti alla 
			Caserma “Carini” immettendosi nella piazza Giuseppe Verdi, questa 
			strada anticamente costituiva il camminamento parallelo delle mura 
			cinquecentesche.
			A pochi metri s’incontrava la chiesa di San Giuliano con l’annesso 
			monastero e scendendo ancora il monastero di San Francesco delle 
			Stimmate detto la badia delle Nobili o delle Dame, il prospetto 
			della chiesa mostrava la sua bella facciata in pietra da taglio 
			nella via Maqueda, anche questo monastero venne demolito e la sua 
			area venne in parte occupata dal teatro, dove una leggenda popolare 
			racconta di un’apparizione di una parvenza.  
			Di questo quartiere oggi resta soltanto un toponimo che si riferisce 
			ad un cortile di San Giuliano che è ubicato nella odierna via 
			Scarlatti, il nuovo assetto urbanistico cambio anche i nomi alle vie 
			prediligendo quelli di musicisti per via del vicino teatro.
			I luoghi e le consuetudini dei suoi abitanti poco sono cambiati 
			rispetto al periodo in cui si sono trattati, in tempi recenti, le 
			circostanze che hanno mutato la topografia di questo mandamento, 
			sono da riscontrare nei tre pseudo risanamenti effettuati con la 
			demolizione del rione degli aragonesi per creare il nuovo mercato 
			recintato, quello del rione “Concezione” per dare luogo alla 
			costruzione del palazzo di Giustizia e quello del rione “San 
			Giuliano” per attuare il progetto che permise la costruzione del 
			Teatro “Massimo”, oggi si assiste ad un nuovo rinnovamento 
			urbanistico che sta riportando gli attempati splendori 
			architettonici.   
			La maggior parte degli abitanti ha abbandonato questi rioni, ben 
			volentieri ritorna sui luoghi in cui è nata per ritrovare le vecchie 
			consuetudini, i pochi artigiani presenti continuano alcuni mestieri 
			ormai scomparsi del tutto, il mercato continua la sua millenaria 
			attività che lega il presente con il passato.
			
			NOTE  
			1 - Il Cassaro rappresenta l’odierno corso 
			Vittorio Emanuele, per quanto riguarda le “logge” vedi articolo su
			 Panormus  
			  
			2 - Questo incrocio che venne abbellito nei 
			quattro cantoni, unico in tutto il mondo, detta 
			abitualmente piazza del “sole” perché durante il giorno viene 
			illuminato dai suoi raggi.   
			3 - Il Pretore rappresentava l’odierno Sindaco, 
			la sua giunta rappresentata da sei senatori.   
			4 - In quella occasione si facevano giostre, 
			pali della cuccagna e macchine per i*giochi d’artificio, 
			durante la festa era solito organizzare la “beneficiata”, una specie 
			di lotteria.   
			5 - Si utilizzava per le celebrazioni dei 
			processi del S.Uffizio, chiamati “atti di fede”, in questo
			luogo se ne svolsero cinque dal 1607 fino al 1724. 
			Il loro palazzo era ubicato nella piazza Marina “lo Steri” e 
			comunemente le sentenze si 
			svolgevano in questa piazza con l’istallazione di roghi.  
			 
			6-7- Il Seralcadio, già citato in un documento 
			del 1366 è definita la parte superiore “capite 
			superiore”, successivamente chiamata “Caput Seralcadi”, da cui è 
			rimasto il solo nome di 
			“Capo”.*   
			8 - Questo giardino chiamato “Cuncuma” era 
			molto rinomato per la bontà dei suoi frutti, ivi
			Era un’osteria dove, come è attestato da un manoscritto del XVII 
			secolo si riunivano li
			“guappi e taglia cantuni di Palermo”, da cui sarebbe derivato il 
			detto “essiri di la cuncuma”.   
			9 - Detto anche della “Pannaria”, venne 
			fabbricato nel 1550, in seguito a monte dei pegni nel
			1591, l’orologio che ancora si vede nel 1684.   
			10 – Questa porta, che da il nome anche alla 
			via, fu voluta dal principe di Carini La Grua, da
			essa, si poteva attraverso la campagna raggiungere Carini, dalla 
			strada per il Cassaro il
			palazzo dei La Grua.   
			11- La porta intitolata al vicerè Pietro Giron, 
			duca di Ossuna fu aperta nel 1615, faceva parte
			delle mura cinquecentesche e, consentì agli abitanti del luogo di 
			collegare la campagna
			verso il convento della Nunziata alla “Zisa”.   
			12 – La strada è quella principale che 
			attraversava tutto il mandamento dalla montagna al mare,
			definita tale per la presenza del convento degli Agostiniani giunti 
			a Palermo nel 1275.   
			13 – L’odierna via Matteo Bonello era 
			anticamente chiamata via dell’Angelo Custode, in questa 
			strada ancora oggi sorge la chiesa appartenente al “ceto” degli 
			“Staffieri”, era anche detta
			“discesa della Cattedrale”.   
			14 – Dedicata al Sindaco di Palermo che la 
			governo dal 1868 al 1873, la zona prima che il fiume
			Papireto fosse interrato era paludosa, da moltissimi anni vi ha sede 
			il popolare “mercato delle
			pulci”.   
			15 - Questa piazza deve il suo nome alla 
			presenza della chiesa a questo Santo eremita a cui è 
			dedicata, detto “ù pilusu” è protettore dei parrucchieri e dei 
			tessitori.   
			16 - La Bocceria della carne o Bocceria nuova 
			fu chiamato così per distinguerlo dal più antico
			Mercato della Bocceria della foglia, l’attuale Vucciria.  
			17 – In questa via abitavano coloro i quali confezionavano i 
			sanguinacci.   
			18 – Era la strada da dove obbligatamente far 
			passare le capre dirette al macello.   
			19 – Da questa discesa venivano spinte le 
			bestie per la macellazione.   
			20 – In questo vicolo si apprestavano i grossi 
			ceppi dove veniva appoggiata la carne per essere
			macellata.   
			21 – Il vicolo ricorda i piedi dell’agnello o 
			del capretto, che una volta spelati e bolliti venivano
			venduti.   
			22 – Vi abitavano ed avevano bottega i 
			fabbricanti di carri.   
			23 – Qui avevano le officine i costruttori di 
			portantine che portate a spalla, erano dette “volanti”, 
			perché stavano sollevate e, quindi in alto.   
			24 – I Pirriaturi erano i tagliapietre che 
			cavavano la pietra dalle “pirrere”.   
			25 – Erano questi artigiani specializzati nella 
			fabbricazione di crocifissi in osso.   
			26 – Era questo il vicolo in cui abitavano i 
			portatori di sedie e lettighe.   
			27 – In questo vicolo c’erano donne che 
			lavoravano calzette con dei ferri chiamati busari.   
			28 – Qui i lavoranti del pistacchio “fastucara” 
			spaccavano il nocciolo di questo frutto.   
			29 – I carpentieri, in questo luogo preparavano 
			le travi per puntellare le fabbriche murarie.   
			30 – Vi era presente un frantoio per la macina 
			delle olive per ricavarne olio.   
			31 – Questa via è dedicata a San Gregorio Magno 
			a cui è intitolata la limitrofa chiesa appartenente
			agli Agostiniani Scalzi.   
			32 – La presenza di un serbatoio dell’acqua la 
			indicava.   
			33 – Nelle frequenti processioni che si 
			svolgevano in questa contrada, si era soliti erigere degli
			altarini dove si poneva l’ostensorio, detto in siciliano “sfera”.
			
			
			
			34 – Questo nome si riferisce alla presenza del 
			palazzo della famiglia Barlotta, principi di San
			Giuseppe.   
			35 - Questo esisteva fino alla metà del XX 
			secolo, al suo posto si costruì l’odierna piazza nel
			cui centro si eresse un mercato coperto, successivamente trasformato 
			in uffici della polizia
			comunale e quello d’igiene.   
			36 - E a causa di questa celebre farsa che 
			quando il palermitano vuole offendere una donna
			pettegola e schiamazzante la chiama “curtigghiara” cioè donna di 
			cortile.   
			37 - Corruzione della parola “scorruje” che 
			vuole dire scodella, che veniva usata per bere una
			acqua miracolosa di un pozzo che si trovava nell’interno della 
			chiesa.   
			
					
			
					
					
					
					
					
			
			
			BIBLIOGRAFIA
			- M. Di Liberto - Nuovissimo stradario storico 
			della città di Palermo Ed. Grifo 1995.
			- M. Mimmo Gambino – Dietro le quinte del Teatro del Sole – Ed. 
			Brotto 1988.
			- R. La Duca - I mercati di Palermo – Ed. Sellerio 1994.
			- A. Chirco - Palermo, la città ritrovata – Ed. Epos 1997.
			- V. Di Giovanni - Palermo restaurato – rist. an. – Ed. Sellerio 
			1989.
			- C. Piola - Una corsa per Palermo – rist. an. – Ed. Il Vespro 1977.
			- C. Di Franco - I quattro mandamenti di Palermo rivisitati – Ed. 
			E.D.R.I.S.I. 1992. 
			- G. Mantovani
			-
			F. Montemaggiore
			-
			C. Ferrara - Arte e Folklore nei mercati di Palermo – Ed. E.L.S. 
			1993.
			- Panormus – usi e costumi della città di 
			Palermo e dintorni.