Erice e il tempio della dea dell’amore, Venere !
Furono il culto della fertilità e dell’amore a rendere Erice celebre nell’antichità per il suo santuario in cima alla montagna alla quale si rivolgevano i naviganti che transitavano nel prospiciente Mar Tirreno.
Fu l’Astarte per i Cartaginesi, l’Afrodite per i Greci, la Venere Ericina per i Romani.
Come un faro in tutto il Mediterraneo, il tempio della dea venne probabilmente fondato da Enea. O da Dedalo, o magari dal re locale Eryx, figlio di Afrodite, che sfidò Eracle di passaggio da quei luoghi e da lui ucciso. Dunque la città rimase sacra ad Eracle.
Di questo tempio non v’è più traccia. Secondo Diodoro, sorgeva sull’antica acropoli ove nel XIII secolo fu costruito il castello normanno.
Vi si giunge attraverso i Giardini del Balio, strepitosa panoramica a strapiombo sul mare, da dove ci si abbandona ad un orizzonte che spazia dalle Egadi a Monte Cofano.
Si passeggia sulla spianata della magnifica fortezza, spesso battuta da onde nebbiose che si ispessiscono e si diradano dolcemente quanto improvvisamente. Si cerca qualcosa che possa far pensare ad un altare all’aperto, come un “falso pozzo di Afrodite”. E si resta, invece, storditi da un luogo che mito, vestigia e natura rendono turbinoso e di misteriosa sensualità.
Città elima e poi sotto l’influenza dei Cartaginesi, contesa dai Greci, Erice fu talmente ricca che, nel 415 a.C., Segesta volle in prestito le sue coppe d’oro e d’argento per far colpo sugli inviati ateniesi ai quali chiedeva difesa contro Siracusa.
Sono all’incirca di questo periodo le mura di cinta che ancora scorrono in declivio, ben conservate, sul lato occidentale dell’abitato, da porta Trapani a porta Spada, per circa 800 metri.
Nella parte inferiore le mura sono in grandi blocchi di pietra. Hanno torri a pianta quadrata e in esse si aprono alcune postierle ad architrave monolitico.
Distrutta durante la prima guerra punica dai Cartaginesi, gli stessi trasferirono gli abitanti nella sottostante Drepanon, l’odierna Trapani.
Ad Erice nel 248 a. C. arrivarono i romani. Forse allora era un ammasso di rovine, ma il tempio di Venere rinacque a nuovo splendore grazie ai nuovi vincitori.
Scrive Svetonio: “Claudio fece restaurare il tempio di Venere Ericina in Sicilia, che era caduto in rovina per invecchiamento, a spese dell’erario del popolo romano”.
E aggiunge Diodoro: “Essi [i Romani] superarono tutti i popoli che li avevano preceduti per le onoranze che rendevano alla dea”.
Erice rimane una favola reale ove la mente e il corpo naviga nel tempo rinnovando la grandezza e la struggente bellezza dell’ambiente e della natura che la circonda. Erice con il suo tempio di Venere rimane e rimarrà per sempre la città dell’amore.
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