Quella di Pizzo Cane e Pizzo Trigna è fra le più estese aree protette della ex provincia di Palermo ed una delle più complete sotto l’aspetto naturalistico.

Di questo complesso montuoso che, col massiccio calcareo di Monte San Calogero, rappresenta il raccordo naturale trai Monti di Palermo e la catena delle Madonie, risaltano subito le pareti rocciose strapiombanti e le creste aguzze di natura carbonatica scolpite dall’erosione.

Diverse sommità, in alcuni casi ricoperte da una vegetazione arborea naturale, superano i 1.000 m di quota. Su tutte svetta Pizzo Trigna con i suoi 1.257 m di altezza.

L’attributo di agro-silvo-pastorale qualifica appropriatamente il territorio di questa riserva. Infatti l’attività agricola e soprattutto quella zootecnica sono praticate nella vallata sottostante i «Pizzi», determinando un paesaggio vivo e parecchio interessante.

L’escursionismo rivolto esclusivamente alla visita delle montagne risulta molto impegnativo e difficile.

L’attraversamento della valle, costeggiando il Torrente Corvo, su strada sterrata, è invece molto gradevole, soprattutto in primavera. La riserva può risultare particolarmente interessante anche ai visitatori in cerca di aziende agrituristiche.

Le vie d’accesso alla riserva sono diverse. Una delle più suggestive è rappresentata dalla pista che serpeggia sul versante nord-orientale di Monte Sant’Onofrio, costeggiando le vecchie mura in pietra, estese diversi chilometri, che delimitavano un antico feudo.

La pista, segnata da piante sparse di Carrubo, sale repentinamente di quota e permette di dominare la sottostante pianura costiera, il Mar Tirreno, la vicina riserva di Monte San Calogero ed il massiccio carbonatico delle Madonie.

In quest’area, il millenario esercizio delle attività agro-silvo-pastorali ha comportato una notevole riduzione dell’originaria copertura forestale a vantaggio di secondarie formazioni vegetali di macchia-gariga e di praterie steppiche.

I boschi naturali, di notevole interesse paesaggistico e ambientale, sopravvivono soltanto su aree di modesta estensione e sono costituiti per la maggior parte da lembi relittuali di antichi lecceti che discontinuamente si riscontrano ancora oggi sulle pendici di Monte Sant’Onofrio, a Bosco Vecchio, Bosco Artale, Pizzo della Trigna e in diverse altre contrade.

Oltre al Leccio è frequente la presenza della Sughera e di alcune querce caducifoglie che danno luogo a piccole formazioni mono specifiche o, più spesso, si associano tra loro, con rapporti diversi in funzione della natura del terreno, della giacitura e dell’esposizione dei versanti.

Frammiste a queste specie si trovano esemplari di Orniello, Acero campestre e sporadicamente di Acero trilobo.

Il sottobosco, in relazione al grado di copertura degli alberi, è più o meno ricco di specie.

Vi si rinvengono diversi arbusti come il Biancospino comune, il Pero mandorlino, la Rosa sempreverde, il Pungitopo, l’Erica arborea, il Citiso trifloro e, nei tratti più aperti, la Ginestra spinosa ed alcune specie di Cisto con grandi fiori bianchi e purpurei. Un elemento di rilievo è rappresentato dal Ligustro, oleacea inesistente negli altri boschi siciliani e frequente invece a Sant’Onofrio.

Tra le erbe spiccano l’endemico Pigamo di Calabria (Thalictrum calabricum), il Ciclamino primaverile con foglie screziate di chiaro e fiori purpurei e la Rosa peonia dai meravigliosi fiori rosati o bianchi venati di rosso porporino.

Dalla degradazione dei boschi naturali hanno avuto origine alcune formazioni discontinue, intermedie tra la gariga e la macchia bassa, nelle quali gli elementi caratterizzanti sono la Ginestra comune e lo Sparzio villoso che in primavera si ricoprono di moltissimi fiori odorosi giallo-dorati.

A queste specie si associano altri arbusti come la Fillirea dal fitto fogliame sempreverde, il Leccio, l’Alaterno, l’Euforbia cespugliosa dalle grandi infiorescenze ombrelliformi, la Cornetta dondolina dai caratteristici legumi sottili, penduli ed incurvati, l’Asparago bianco e il Lentisco dal fogliame coriaceo ed aromatico, molto resistente al pascolo, alla siccità e agli incendi che, specialmente nelle zone più basse e sui ghiaioni calcarei, forma grandi cuscini sferici facilmente distinguibili anche da lontano.

Questa vegetazione è spesso compenetrata da una ricca componente erbacea che nei tratti assolati e rocciosi dà luogo a veri e propri aspetti steppici, fisionomizzati dall’Ampelodesma, graminacea perenne dalle foglie aspre, tenaci e taglienti, provvista di un apparato radicale molto sviluppato che le consente di svolgere un’efficace azione di protezione dei ripidi versanti.

Il versante nord-orientale della riserva, dalle falde di Cozzo Piraino alle adiacenze di Pizzo dell’Inferno, è interessato da popolamenti e formazioni forestali ottenuti mediante l’impianto di specie esotiche come pini, eucalipti e cipressi.

Gli inconfondibili arbusti emisferici dell’Euforbia arborescente, che tra la fine dell’inverno e la primavera si ricoprono di numerosissime piccole infiorescenze gialle, caratterizzano le zone semirupestri. Ad essa si associano altre specie resistenti all’aridità, al pascolo ed agli incendi come l’Olivastro ed il Lentisco.

Nei tratti più acclivi sono evidenti anche i piccoli pulvini della Vedovina delle scogliere, soprattutto nel periodo primaverile-estivo, allorquando sono sormontati da tanti capolini di fiori azzurro-violetti. In alcune zone (Cozzo Buonriposo e Pendici di Monte Sant’Onofrio) questi particolari aspetti di macchia entrano in contatto con la gariga a Palma nana, piccola palma indigena del Mediterraneo che espande a raggiera le grandi foglie aperte a ventaglio. Questa specie, tradizionalmente utilizzata per la produzione di cordami, stuoie e scope, si spinge in alto e penetra anche all’interno dei nuclei di Sughera.

Le rupi calcaree verticali o quasi, dagli abbaglianti riflessi ora rosei ora bianchi, sono ambienti eminentemente conservativi che ospitano un gran numero di specie endemiche o a distribuzione più o meno ristretta e specializzata, che con «eroici adattamenti» ravvivano e rendono molto suggestivi questi difficili habitat.

Negli anfratti della nuda roccia, infatti, oltre ad una componente di alti arbusti, dominata dall’Euforbia arborescente, dall’Olivastro e dal Leccio, si riscontrano il Cavolo rupestre dalle vistose fioriture gialle primaverili, l’Iberide rifiorente, che forma densi cespuglietti emisferici portanti corimbi di fiori bianchi da ottobre a maggio, la Silene fruticosa, la Finocchiella di Boccone, la Perlina di Boccone, piccolo suffrutice con foglie lineari e fiori gialli, il Ciombolino siciliano con fiori a corolla liliacina, la Bocca di leone siciliana, il Garofano rupestre a fiori rosso-porporini, l’Atamanta siciliana, ombrellifera con foglie divise in caratteristiche lacinie, la Conyza rupestre, i Perpetuini delle scogliere dai caratteristici capolini emisferici giallo-paglierino, la Camomilla delle Madonie, la Violaciocca minore, crucifera grigiotomentosa a fiori rosa-violetti e l’Euforbia di Bivona-Bernardi, evidente anche nei pressi della Grotta Mazzamuto.

La riserva è attraversata da una fitta rete di corsi d’acqua che confluiscono nel fiume principale: il San Michele. Uno di questi prende il nome di Torrente Corvo. Ed è al limite di tutte queste zone umide che si possono incontrare discontinui tratti di vegetazione igrofila costituita dall’Oleandro e da specie appartenenti ai generi Populus e Salix.

In quest’area protetta la fauna è molto varia proprio per la diversità degli habitat che vi si ritrovano.

La «regina» qui è sicuramente l’Aquila reale che con la sua apertura alare di quasi tre metri controlla questa vasta area sempre alla ricerca delle sue prede principali e cioè il Coniglio selvatico e la Lepre appenninica, presente qui con una discreta popolazione.

Fino a pochi anni fa vi nidificava con sicurezza il Capovaccaio, il più piccolo avvoltoio europeo. Oggi la sua popolazione è talmente ridotta tanto da farlo ritenere in via di estinzione in tutta la Sicilia. Inoltre sono presenti il Nibbio reale ed il Nibbio bruno che ormai si osservano sempre più occasionalmente.

Fra i rapaci legati soprattutto alle pareti rocciose, oltre all’Aquila reale ed il piccolo Gheppio, si osserva il Falco pellegrino che cattura le sue prede, quasi esclusivamente uccelli, con picchiate che superano i 250 km orari.

L’Allocco è invece il «re» della notte. Si trova in questa riserva con diverse coppie, i cui richiami possono essere ascoltati nelle tranquille notti primaverili. La sua presenza, insieme a quella del Barbagianni, inquilino soprattutto di edifici rurali e piccole pareti rocciose, indica una ricchezza anche di piccoli mammiferi, loro prede abituali, come il Topo selvatico ed il Topo domestico, difficili da distinguere all’occhio inesperto, il Ratto nero e l’Arvicola del Savi, questa invece facilmente riconoscibile per via delle piccole orecchie e della corta coda che la rendono simile ad un piccolo Criceto, specie sicuramente più nota.

Ricca e varia è l’avifauna che frequenta e si divide le innumerevoli risorse del folto bosco. Fra le specie granivore più comuni, e legate ai nuovi rimboschimenti di conifere, sono alcuni fringillidi come il Verzellino ed il Verdone, entrambi di colore verde e giallo, il Fringuello ed il Cardellino, ma anche il Colombaccio, la Taccola e la Tortora.

Fra le specie sempre alla ricerca di insetti, sono da segnalare lo Scricciolo, che vive soprattutto tra la vegetazione arbustiva del sottobosco dei querceti ed il cui forte canto non farebbe certo pensare ad un uccello di appena sette grammi, la Cinciallegra e la Cinciarella, assidui divoratori di larve e bruchi, il Picchio rosso maggiore, il Picchio muratore ed il Rampichino.

Frequentatori del bosco sono anche alcuni mammiferi come la Martora, la cui popolazione può essere valutata solamente con sofisticate tecniche di censimento per le sue abitudini elusive, tra l’altro prevalentemente notturne o crepuscolari, ed il Gatto selvatico. Legati anche alle aperte vallate sono l’Istrice, la cui presenza è facilmente intuibile dagli aculei che spesso si incontrano lungo i sentieri che solitamente si percorrono durante le escursioni all’interno della riserva, la Volpe e la Donnola.

Fra i rettili, oltre alla Lucertola campestre e alla Lucertola siciliana, troviamo anche il Ramarro ed il Colubro liscio, il Biacco e la Vipera, la cui presenza non deve suscitare inutili paure in considerazione delle abitudini molto elusive di questo serpente.

All’interno della riserva si riscontrano numerose cavità originate da fenomeni carsici.

Le più importanti sono sicuramente la Grotta Mazzamuto, dove sono stati rinvenuti importanti reperti preistorici, la Grotta Brigghi (o Briin o dei Birilli), nota per la ricchezza e la bellezza delle incrostazioni che ornano le sale e i cunicoli, e la Grotta del Leone, dove tra l’altro è segnalata l’unica stazione siciliana dell’Iberidella minore, specie erbacea endemica appartenente alla famiglia delle crucifere, caratteristica delle grotte utilizzate come ricovero per il bestiame.

Interessanti e molto suggestivi sono gli spaccati naturali o artificiali visibili entro le stradelle che attraversano la riserva in cui affiorano i cosiddetti «scisti silicei», sottili straterelli di roccia variamente colorati, con tonalità dal grigio-verde al rosso-vinaccia fino al più raro giallastro, nei quali sono ben osservabili a scala macroscopica le pieghe e le fratture prodotte dai movimenti tettonici.

Testi tratti da una pubblicazione della ex provincia regionale di Palermo