Nelle più apprezzabili feste popolari come il Natale e nella vasta schiera di quelle rionali, dedicate in prevalenza a carattere religioso, le luminarie, “l’airchi” come li chiamano i “fascinescion” Palermitani, hanno un ruolo fondamentale per la loro profusione di luce che emette dalla pluralità dei colori che più delle volte rischiara il passaggio del Santo patrono.

foto e testi © Carlo Di Franco


Oggi questa tipica usanza di vivacizzare un determinato luogo o prodotto non è solo specifico per l’impronta devozionale, ma si è diffusa anche nei rituali civili, per le decorazioni natalizie (all’occasione illuminano particolari vie dove si svolge la frenetica corsa al regalo), Natale, Carnevale, Ferragosto e ogni qual volta abbisogna diffondere un prodotto commerciale.

Palermo, città dalle mille sfaccettature, vanta dal punto di vista tradizionale una celebrata consuetudine artigianale di luminaristi che da sempre li distingue per lo sfolgorio dei decori di luce che esaltano il periodo della festa destando le meraviglie e l’orgoglio degli abitanti del rione che le ha commissionate.

Sono creati dall’ingegno di questi artigiani che applicano la loro manualità alla fantasiosa forma che viene ispirata dalla natura del luogo.

A Palermo questo tipo di tradizione si mantiene già da parecchio tempo, i nonni hanno trasmesso ai figli, i papà alla nuova generazione di conseguenza le aziende si contendono il territorio palermitano creando sempre nuovi accorgimenti.

Tra di essi da tre generazioni e precisamente dal 1940 la ditta Riolo ha saputo mantenere questa costumanza realizzando reali e particolari prodotti artistici “vaporose” utilizzando materiale tradizionale come l’umile legno e aggiornandosi sui nuovi materiali pur sul rispetto delle norme vigenti in materia di elettricità con una magnificenza scenografica tale essere riconosciuta la più importante della Sicilia.

Costituiti essenzialmente da uno scheletro formato da assi di legno “staggietti”, piallati e tutti dalla medesima dimensione, tinteggiati di un colore neutro prevalentemente bianco vengono assemblati per sagomare una figura con pezzi di legno di betulla, avvitati o spillati tra di essi.

In cui sono fissati ad intervalli dei portalampada che successivamente conteranno delle lampade colorate o bianche.

Lo scheletro di legno assume la forma voluta in base ad un disegno che sarà ripetuto per tutta una serie secondo la richiesta.

A “rosone”, motivo circolare raggiante raggruppato attorno ad un cerchio centrale, usato il più delle volte per illuminare il prospetto di una chiesa, accompagnato da semplici segmenti retti che vanno a ricoprire lesene, trabeazioni e colonne.

Inserito alla decorazione della facciata, non manca quasi mai l’inneggio o “l’insegna” rivolto al Santo o alla Vergine o al Crocifisso, realizzato con la formazione delle lettere “W” viva ecc., inserito all’interno di una intelaiatura di legno dalla forma quadrata, rotonda o comunemente rettangolare.

A “fiore” o “ventaglio” curvo e semi-curvo con il supporto e le fronde, magari ripetuto più volte fino a modellare una figura, l’abilità è data dall’inserimento dei portalampade nella struttura circolare, che debbono essere una serie in parallelo di sedici lampade definite.

A “fontanina”, con una base rettangolare a cui s’innalzano quattro assi rette di cui due più bassi, chiudono la figura due semicerchi, illuminazione a volte non è fissa, con una certa intermittenza si crea l’effetto acqua.

Le “losanghe” costituiscono comunemente le parti terminali di una figura o quantomeno assieme ai cerchi vengono inseriti nella configurazione per realizzare la struttura.

A “cartoccio” listelli di legno curvati e semi-curvati creano l’accartocciamento che servirà per le composizioni, lampadari e fanali sono la soluzione a questo tipo di realizzazione.

La composizione allegorica, molto complessa, è composta da una serie di archi e cupole, dove sono presenti diverse colonne e tendine con tappeto come se fosse una scala, diversi lampadari, fontanine intermittenti che danno il movimento come se fuoriuscisse a acqua.

Il tutto, uniti in una sola figura, servono a realizzare grandi strutture che si prestano a comporre “gallerie” per viali o “spalliere per piazze”.

Tutto nasce dall’estrosità e dalla manualità dell’artigiano che da uno schizzo eseguito su carta millimetrata sa trasmettere ad un foglio di legno compensato la propria idea traendo gli assi necessari per realizzarla.

Originariamente, all’inizio del XX secolo, questo tipo di luce che è riferibile all’avvento della corrente elettrica era semplicemente costituito da un asse di legno rettilineo o semicircolare colorato con una sfumatura opaca dove venivano applicate dei portalampade di metallo brunito e le lampade avevano un solo colore: il neutro, sostenuti da una fune che era allacciata agli angoli di questo archetipo e di conseguenza sostenuta dalla ringhiera dei due balconi, uno di fronte all’altro  da qui la denominazione “airchi”, posizionati al centro della strada ed a una determinata altezza assumeva la posizione di un arco sotto cui passa la sfilata processionale.

Le lampade per dare una tonalità diversa a volte venivano dipinte con la vernice in tempi più moderni o con un colorante ad acqua o gli veniva applicata della carta colorata.

Antica usanza tramandata dagli “addobbatori”, essi comprendevano una serie di artigiani in cui erano partecipi anche i futuri “luminaristi”, come ci riferisce il Villabianca nei suoi diari palermitani che nel 1752 in occasione dei festeggiamenti inerenti al Festino si costruivano delle strutture baroccheggianti tutte dipinti con fregi e puttini chiamate “piramidette” dove venivano collocate delle lanterne alimentate ad olio o semplicemente dalla umile cera che aveva solo il svantaggio di spegnersi rapidamente.

Queste strutture dovevano meravigliare e impressionare i cittadini tanto da occupare la mente degli organizzatori a cercare nuove proposte, ed il caso della festa del SS.Crocifisso del 1780 che preoccupò i programmatori Don Domenico e Don Alberto nobili monrealesi che stipularono un contratto con maestri artigiani (Mariano Militano di Palermo) presso il notaio Giuseppe Campisi-Cremona di Monreale affinché preparassero la macchina dei “forgarelli d’aria”.

Con l’avvento del gas intorno alla metà del ottocento anche le luminarie subirono questa nuova ideazione, un tubo di ferro conteneva diversi beccucci dove erano applicate delle “retine” che accendendosi procuravano una luce biancastra e viva, il tutto avveniva all’interno di un “lampionello” o di una boccia di vetro veneziano, questo sistema durò alcuni decenni e venne soppiantato dall’arrivo dell’energia elettrica nei primi anni del novecento.

Secondo l’ambiente urbanistico, in presenza di una piazza, dove probabilmente si svolgeranno i festeggiamenti si organizza un “capuarcu” o “capustrata”.

Risultante di serie elementi come spalliere formate da ventagli, staffe e brindole o “calature”, al centro capeggia l’insegna con il glorifico al Santo dove tradizionalmente viene inserita l’immagine di quest’ultimo, alla fine si viene a creare una grande scenografia luminosa, perché è lei la grande protagonista, la luce con i suoi splendidi colori.

Questa che già da tempo ha assunto la magnificenza di una vera arte è da collocarsi ad una costumanza concernente il sud d’Italia dove ha trovato la sua profusione ricollegandosi a quelle manifestazioni tipiche del barocco dove l’esuberanza decorativa e la ricerca dell’effetto sorpresa e volontà di stupire, in Sicilia e a Palermo in particolare rivela la sua maggiore manifestazione.

Spettacolare è la messa in opera delle luminarie, seguendo criteri e direttive che nascono dall’esperienza sul campo e avvalendosi di tiranti in ferro, funi e pali vengono montate le varie figure che assemblate daranno vita alla scenografica struttura.

Uomini che, arrampicati e sospesi nell’area  solo con l’ausilio di scale, lavorano in sicurezza agganciati ad un appiglio volante, si muovono con molta disinvoltura, oggi con mezzi moderni, in passato le scale erano attaccate ad un carrettino. Una volta ad effettuare questa attività era deputata una maestranza, il quale aveva necessità di avere il fuoco a portata di mano, un carro che oltre a possedere la scala necessaria per raggiungere le luminarie con i lampionelli (queste sospese in alto sempre da funi), era presente un contenitore a fiamma dove si poteva attingere per accenderli.

Questa maestranza aveva una propria congregazione che ne garantiva e tutelava il faticoso lavoro, essi avevano bottega nel vicolo omonimo ancora oggi esistente.

In tempi moderni questa spettacolare arte a fatto nascere un nuovo connubio: luminaristi e architetti hanno creato nuovi designer attuando temi insoliti pur mantenendosi nel rispetto della tradizione.

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