Mostra: La città aurea – Albergo delle Povere, Corso Calatafimi 217 Palermo, Fino al 25 gennaio 2023

Orari: 
Lunedì Chiuso
Martedì 09:00 – 18:00
Mercoledì 09:00 – 18:00
Giovedì 09:00 – 18:00
Venerdì 09:00 – 18:00
Sabato 09:00 – 18:00
Domenica 09:00 – 13:00

“Urbanistica e Architettura in Sicilia negli Anni Trenta” è la tappa finale di una serie di mostre che, dalla fine del 2019, si sono susseguite nei capoluoghi siciliani, realizzate dalle Soprintendenze territoriali sotto il coordinamento della direzione del Dipartimento dei beni culturali e dell’identità siciliana e dedicate alla stagione dell’architettura siciliana del periodo fra le due guerre con particolare riferimento alle significative trasformazioni attuate nell’assetto urbano e rurale.

La mostra si prefigge, attraverso l’esposizione di una ricca selezione di pannelli informativi sugli edifici più significativi e sulle principali aree urbanistiche e rurali delle province siciliane, di mettere in luce la mole di opere pubbliche che include numerosi edifici scolastici diffusi in tutte le aree urbane, sia nei quartieri che nelle borgate, gli istituti universitari, gli stadi, le infrastrutture e le strutture di assistenza e quelle sociosanitarie. Molti dei protagonisti della cultura architettonica siciliana sono professionisti ed accademici appartenenti alla “scuola palermitana” di Ernesto Basile quali Salvatore Caronia Roberti, Luigi Epifanio, Salvatore Cardella, Giuseppe Spatrisano, Antonio Zanca e Giuseppe Vittorio Ugo.

Da questi si differenziano nell’approccio progettuale gli architetti catanesi Francesco Fichera e Giuseppe Marletta di formazione romana.
Ai nomi siciliani va aggiunto il bolognese Angiolo Mazzoni, architetto del Ministero delle Comunicazioni, autore del Palazzo delle Poste e Telegrafi di Agrigento e di quello di Palermo e che tanto ha influenzato lo stile architettonico degli altri edifici realizzati successivamente nell’Isola.

Il titolo della esposizione fa riferimento alla sezione aurea o rapporto aureo, quella particolare proporzione geometrica tra gli elementi, applicata nell’architettura classica e ripresa da molti degli architetti italiani degli anni ’20 e ’30 del Novecento per esprimere i dettami del De architectura di Vitruvio: la firmitas (solidità costruttiva), l’utilitas (funzione e destinazione d’uso) e la venustas (bellezza) degli edifici attraverso il rispetto della simmetria e della armonia tra le lunghezze, le superfici e i volumi.

Al contempo, in ambito urbano, il recupero della tradizione classica diventa occasione per alcuni architetti per comunicare, con un riferimento al Neoclassicismo e con un linguaggio semplificato ed austero dalle volumetrie geometriche, una tendenza al “ritorno all’ordine”, con il rifiuto delle avanguardie del primo Novecento, in assonanza con la pittura metafisica di De Chirico. Il recupero della tradizione classica diventa anche mezzo per propagandare l’idea di grandezza dello Stato attraverso l’esaltazione dei volumi in chiave monumentale e scenografica.

Il mito dell’antica Roma fondatrice di colonie e portatrice di civiltà si ritrova parallelamente in ambito agrario, dove vengono portate avanti importanti riforme di bonifica integrale e di colonizzazione del latifondo, che in Sicilia si concretizzano attraverso la pianificazione del territorio e dei suoi complessi sistemi rurali. Rievocando i piccoli insediamenti agresti del Centro Italia, i borghi siciliani presentano una composizione architettonica dello spazio comprendente una serie di strutture edilizie urbane: la chiesa, la canonica, la casa del fascio, la caserma, la casa sanitaria, locali per artigiani, la trattoria, la farmacia, l’ufficio dell’Ente di colonizzazione e una fontana pubblica.

Ingenti finanziamenti statali sostengono, inoltre, il programma costruttivo dell’INCIS (Istituto nazionale per le case degli impiegati statali) e di quello dello IACP (Istituto autonomo case popolari) preposti, con i rispettivi uffici tecnici, alla realizzazione di edilizia abitativa pubblica sia destinata ai ceti medi che a quelli meno abbienti.
La maggior parte degli edifici sia pubblici che privati di quest’epoca presenta una decorazione pittorica, scultorea o musiva, che attinge i suoi contenuti dal repertorio storico, con l’esplicito intento di attivare il dialogo tra i temi scelti e lo spazio in cui si devono armonicamente sviluppare, in nome della ricerca della unità delle arti che ha precedenti significativi già nell’art nouveau.

A livello esemplificativo è stato scelto di allestire alcuni interni di Casa Savona e della sede centrale del Palazzo delle Poste di Palermo.
L’appartamento palermitano, di proprietà degli imprenditori tessili Savona è stato ristrutturato negli anni Trenta dall’ingegnere Arici e da Eugenio (Gino) Morici, che ne disegna gli arredi lignei fissi e mobili in stile decò dall’andamento fluido ed elegante e realizza le pitture scenografiche alle pareti e ai soffitti di ogni stanza, con l’intento riuscito di creare un unicum dove la spazialità degli ambienti viene messa in risalto dalla originalità dei decori e viceversa.

Il Palazzo delle Poste di Palermo mostra a grande scala questo vincolo indissolubile tra architettura e design in tutti gli ambienti dove la decorazione artistica ha il segno sofisticato di Paolo Bevilacqua e quello futurista di Benedetta Cappa Marinetti.
Sebbene rappresenti un imponente “fuori scala” nel contesto urbano in cui è inserito, il Palazzo delle Poste di Palermo esprime una forte sensibilità progettuale: dell’adozione di elementi architettonici classici in chiave dechirichiana, all’uso nei decori e degli arredi decò, della policromia e della “polimateria” (marmo, legno, acciaio, rame, leghe, vetro, tessuti).

L’allestimento della mostra si conclude con l’esposizione di alcuni abiti e accessori della collezione di proprietà del professore Raffaello Piraino in quanto sintesi di linguaggi artistici diversi come l’oreficeria, la tessitura e il ricamo tipica degli anni Trenta.

Anche l’abito diviene in questi anni espressione di una progettazione generale unitaria delle arti che dall’architettura si estende all’arredo e alle suppellettili, testimonianza materiale avente valore di civiltà, legata alla cultura di una società che si fonda e si sostanzia su ciò che essa stessa produce. A Torino, nel 1933, si è svolta la Prima mostra nazionale della moda, che ha avuto il valore di istituzionalizzare il sistema produttivo che ruotava intorno alla moda e di gettare le fondamenta per il suo lancio internazionale. Lo stretto rapporto tra abiti alla moda, tessuti, architetture nuove e interni moderni si manifesta in molte maniere, a partire dalle riviste femminili di cui si sono riprodotti una serie di figurini sulle pareti delle sale.

La ricchezza dei tessuti e dei ricami, i pregiati merletti e le etichette delle più rinomate sartorie italiane ed estere confermano la stretta aderenza alla moda in vigore a Parigi, Londra e Vienna.

Tra questi compaiono capi firmati Poiret, Fortuny, Worth junior, Schiaparelli, Doucet. A tali nomi seguono altre case italiane come La Ville de Lyon Florence, Serafina Barberis-Tourin, Angelici & Figli – Napoli.

Una parte significativa della collezione Piraino, per la sua ricchezza e la varietà tipologica, è stata dichiarata di interesse culturale dalla Soprintendenza dei Beni Culturali di Palermo nel 2015.

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