In Sicilia c’è caldo e, principalmente a Palermo, per la sua posizione geografica, giacché la città è circondata da una cerchia di monti, la vaporizzazione del mare fa sì che ristagni all’interno della conca pianeggiante cagionando l’aumento dell’umidità relativa e di conseguenza si viene a creare afa.

Questo da sempre ha fatto si che le nostre piazze principali, “vivano” tutto l’anno e che costruzioni come gazebo, padiglioni o chioschi, vengano a caratterizzare le passeggiate urbane e, a Palermo tra la metà dell’ottocento e il novecento inoltrato, si assiste ad una moltiplicazione di chioschi (in questo periodo se ne contavano una trentina sparsi per il centro e per la periferia).

Noti come punti di ritrovo, magari per la vendita di tabacchi ad integrazione di un prodotto che è la mescita di bevande dissetanti, proteggendo gli avventori dalla canicola, senza rinchiuderli tra quattro mura.

Queste specifiche “botteghe” vendevano unicamente bevande ristoratrici sfuse come le bibite di sciroppi naturali, le limonate e le spremute di agrumi (arance e limoni), granatine, cedro-menta, orzate, i beveroni di erbe, in alcuni casi il caffè e qualche liquore, non dimenticando i sorbetti e i gelati in genere, immancabilmente non doveva mancare il frutto del cocco, che tagliato in precedenza, veniva immerso in un recipiente di alluminio con tanto di acqua corrente affinché lo rendesse umido e fresco.

Con l’avvento dell’industrializzazione e di conseguenza il loro imbottigliamento, nacquero le bibite imbottigliate tra loro la più famosa era la “gassosa” (azzusa).

Il prodotto principale era l’acqua fresca e, più delle volte aromatizzata, con l’introduzione di una nuvoletta biancastra alcolica ricavata dalla macerazione da semi di anice, debitamente fatta scaturire da una bottiglietta che conteneva un preparato particolare, che con parsimonia affondava in un bel traboccante bicchiere d’acqua “annivata” conosciuta da molti anni dai palermitani con il nome di “acqua e zammù”.

Quest’ultimo successivamente venne prodotto dal 1813 dalla ditta fratelli Tutone di Palermo che crearono industrialmente il famoso “anice unico”.

“L’acquavitaru” era il gestore del chiosco stabile, i suoi predecessori non avevano dimora fissa, giravano per tutte le vie della città portandosi appresso caratteristici affardellamenti e stoviglie, con panchette istoriati, con le interpretazioni museali del carretto siciliano e addobbato con gli identici pendagli e nastri.

La consuetudine di consumare bevande durante le passeggiate contribuirono parecchio alla proliferazione di queste costruzioni, stabili in posizioni strategici di strade e piazze dell’assolata città urbana e periferica, che in primo tempo fu posticcia, successivamente in muratura, chi poteva si rivolgeva ad architetti famosi di quel periodo.

Di chiosco “Ribaudo” non ce n’è uno solo, questo multicolore situato in Piazza Ruggero Settimo, di fronte al teatro Politeama, vanta una sua copia, costruito in precedenza a piazza Verdi, proprio di fronte al teatro Massimo, entrambi disegnati dall’architetto Ernesto Basile fu edificato nel 1894 e, oltre a vendere bibite refrigeranti, fungeva da biglietteria e da edicola, ora vende tabacchi e valori bollati.

La sua particolare struttura, assembla la muratura con quella che è il complesso di elementi metallici in ferro battuto di produzione industriale prodotti dalla nascente “Fonderia Oretea” per i rivestimenti esterni che da la possibilità a decori fantasiosi, abbinando il grigio naturale metallico al rosso cupo delle fodrine tenute con imbullonature e profilature.

La planimetria cruciforme del basamento, inserisce due elementi, il marmo di Billiemi per il perimetro esterno e la cupoletta ottagonale tipica delle torri brasiliane che diventerà prerogativa specifica nelle costruzioni del Basile.

Nello stesso marciapiede, un altro, dall’aria molto misteriosa gli fa compagnia, il chiosco “Vicari” dello stesso Basile costruito nel 1897, questo vuole essere un omaggio a quella che è l’arte islamica e, in particolare, alla creatività Andalusa, con spunti d’architettura coloniale vittoriana.

La struttura con pianta cruciforme, alla cui base viene ancora una volta utilizzato il marmo di Billiemi, è percorsa nella sua compagine da un elaborato intarsio in legno, abbinando degli elementi in ferro battuto, nel profilo strutturale e nella guglia.

Basile, nel chiosco “Vicari” continuò a sperimentare i motivi neoislamici, che volle richiamare nello stand Florio a Romagnolo, attinti nella tradizione locale.

All’angolo con Via Ruggero Settimo si erge il piccolo gioiello tardo-floreale del liberty palermitano, eretto da Ernesto Basile nel 1916, con la continuità di allineare sullo stesso lato la sequenza delle due piazze con il corridoio di via Ruggero Settimo, i tre esempi più qualificati di questa tipologia che a Palermo vide nascere l’Art Nouveau.

La piccola costruzione, realizzata in cemento armato, è costituita da una cruciforme planimetria con quattro aperture che slanciano il corpo strutturale ricoperto da una tettoia fortemente aggettante, che viene caratterizzata nel solaio esterno da una composizione a nervature curvilinee creando degli steccati in cui s’intravede il vuoto, agli angoli di queste quattro sfere evidenziano all’esterno, con la sua compagine quadrangolare, la forma interna del vano.

L’esterno dove viene centrato tutto il rigore della nuova arte floreale è costituito dalla fascia basamentale in pietra di Billiemi da dove si dipartono delle membrature sia in orizzontale che verticale che intrecciandosi vertono verso l’alto formando dei ghirigori floreali, qui si esaltano tutte le forme sinuose del mondo vegetale.

Anticamente ubicato al margine della piazzetta Milazzo risultava al centro della strada e libero per gli avventori che avevano la possibilità di farsi lucidare le scarpe dai numerosi “lustrascarpe” che occupavano il marciapiede laterale.

Altri architetti come Antonino Lo Bianco, che progetto il chiosco Tutone che non venne mai realizzato a piazza della Rivoluzione e il chiosco della famiglia Giunta, o l’architetto Armò che realizzo il padiglione a piazza due Palme e piazza Marina, si dedicarono a questo tipo di costruzione più funzionale e tradizionale.

In città e in periferia sussistevano fino agli anni cinquanta del secolo scorso diversi chioschi di cui rimangono tracce o quantomeno si sono trasformati in lussuosi locali, altri sono stati distrutti completamente come è il caso del chiosco delle due palme nella piazza omonima, realizzato intorno al 1912, che per la sua grandezza si poteva considerare un padiglione, sostituito con un chioschetto più recente, di quest’ultimo resta solo la struttura a guardia della piazzetta, o quello di piazza Marina del 1910 scomparso completamente, o quello della piazza Giovanni Amendola costruito in muratura nei primi anni del novecento funzionò fino a qualche tempo fa, il proprietario acquavitaro di tradizione fece il salto di qualità, negli anni cinquanta apri il famigerato “Al Pinguino” un antesignano bar in Via Ruggero Settimo, le sue specialità erano le spremute d’agrumi, le limonate e le bibite coloratissime e ghiacciate che ebbero un enorme successo, ma la bevanda che era molto rinomata era “l’autista” una bibita digestiva, a base di limone e di bicarbonato con selz frizzante che venne ideata da un’autista di taxi che aveva problemi di digestione.

Quelli di cui si è parlato, con gli anni hanno perso la loro funzione originale e, fanno parte integrante delle strutture monumentali che offre la città.

Verso la fine dell’ottocento in memore di una valenza anglosassone nascono chioschi all’interno dei giardini pubblici come quello di villa Garibaldi a Piazza Marina o al giardino Inglese nel viale della Libertà, piccoli padiglioni che successivamente perdono la sua funzione e vengono destinati ad altro uso.

Nelle piazze sistemate a villetta con tanto d’alberatura e aiuole fiorite, con possibilità di potersi godere il verde si collocavano in un angolo, chioschi in muratura simili ad un piccolo padiglione in stile liberty come quello di Piazza Principe di Camporeale, quanto quello di piazza Alberico Gentile, entrambi oggi sono divenuti eleganti punti di riferimento per gustare un ottimo gelato, o quanto quelli scomparsi a piazza Ucciardone e di piazza Castelnuovo.

Gli altri, minori, comunemente considerati popolari, ancora oggi assolvono il loro compito come quello ubicato nella piazzetta alla fine del Corso Scinà, punto di riferimento dei sonnambuli delle calde estati palermitane, o quello di fronte alla cattedrale che incessantemente da sollazzo alle numerose comitive di turisti accaldati che visitano la vecchia città e la basilica.

Questi chioschi sono sempre addobbati come una volta, incorniciati da limoni ed arance appaiate dalle loro foglie sempreverdi; in uno spazio riservato permane il lavabo dove scorre dell’acqua gelata, nel cui fondo giacciono i limoni: il tutto attorniato da giganteschi bicchieri e dalla presenza del contenitore del bicarbonato per osteggiare l’acidità di stomaco conosciuta in palermitano come “ù sdegnu”.

In questi posti sanno ancora spremere gli agrumi, a mano, con un marchingegno di metallo, che alcuni si tramandano di generazione in generazione, la peculiarità consiste nel distribuire la pressione per evitare di raggiungere la buccia e creare della schiuma con la fuori uscita degli oli essenziali che rendono amara la spremuta.

A Piazza San Cosimo, all’angolo tra le due piazze, con quella Beati Paoli, esisteva una tavola d’acqua in muratura, molto antica gestita dalla dinastia del Sig. Giuseppe Di Pasquale, la struttura semplice in muratura rivestita di marmo si appoggiava ad uno dei pilastri della chiesa di San Cosimo e Damiano, ed utilizzava il piedritto per sostenere delle mensole per la vista delle bibite “Partanna”, al centro era posto il lavello con due rubinetti, uno per l’acqua ghiacciata, che era prodotta da una serpentina di piombo all’interno di un contenitore posto sotto la tavola all’interno della nicchia e, raffreddata dal ghiaccio a blocchi prodotto industrialmente da una ditta locale e, il secondo per sciacquare i bicchieri che venivano riposti nella ringhiera d’ottone che delimitava il perimetro della tavola.

Il Di Pasquale offriva agli avventori, oltre alla semplice acqua addizionata col “zammù”, le famose “Partannine” di vetro consistente, la gassosa al limone o al caffè, bibite sciroppate addizionate con acqua potabile ed anidride carbonica (selz) estratta dal “sifuni”, una specie di bottiglia molto resistente atta a contenere acqua gassata con un tappo speciale in piombo che era predisposto da un beccuccio e una manovella, la cui fuori uscita si otteneva premendo la levetta.

La sera, “la tavola d’acqua” dopo aver servito le famiglie di boccali d’acqua ghiacciata, si serrava recintandola da una carcassa di legno.

Negli anni sessanta, l’evoluzione industriale apportò un notevole progresso, la “tavola d’acqua” fu trasformata in un piccolo chiosco in acciaio con tanto di bancone frigorifero, prodotto dalla ditta Zerilli di Palermo, che permetteva di vendere anche il gelato.

Dopo anni di oblio, la sistemazione delle due piazze a permesso al suo centro l’ubicazione di un nuovo chiosco in ghisa dalla fattura ottocentesca, dedicato al piccolo chioschetto che fu del Signor Di Pasquale, oggi gestito dal nipote Marrone che continua la tradizione dei vecchi acquavitari, rivolgendolo con un occhio ad una vecchia leggenda popolare che è nata proprio sul luogo dove è ubicato “ i Beati Paoli”.

Sulla Via Roma, nei pressi del Teatro Biondo ad angolo con la via Venezia esisteva fino a qualche tempo fa un chiosco che funzionava soprattutto per gli ospiti del teatro, durante gli intervalli, proprio di fronte a lui, adiacente alla scalinata che porta a Piazza Caracciolo (vucciria) il chioschetto, negli anni cinquanta, assorbiva alle varie esigenze degli avventori che si appropinquavano al banco “dù purparu”.

All’angolo della discesa Maccarronai, attaccato al palazzo comunale, funzionava un piccolo deschetto di legno ancora esistente propria di fronte a Lucchese il gelataio.

In periferia, parte integrante della città vecchia, oggi, a Sant’Erasmo l’antico chiosco dove dava sollievo ai vicini pescatori, è divenuto un evoluto bar con tanto di pasticceria.

A Piazza Indipendenza, dove anticamente si andava a passeggiare, negli anni cinquanta un eclettico signore dal cognome Santoro, offriva a tutti i passanti e i viaggiatori che dovevano recarsi in autobus a lavoro, la possibilità di una bevanda calda, specialmente nelle ore mattutine, accattivante il suo caffè che serviva, oggi al centro della villetta il piccolo deschetto che aveva impiantato si è trasformato in un autorevole posto di ristoro dove si possono degustare dolci di ogni genere, gelati di cui è molto rinomato, rosticceria e tante altre leccornie.

Un secondo, più antico, è posizionato all’angolo del crocicchio con la Via Cappuccini.

Al Papireto, nella piazzetta Filippine, il vecchio chiosco, ubicato al lato della piccola villetta, è diventato stagionale, offre soltanto gelato e bibite in periodo estivo.

L’altro collocato alla biforcazione tra Via Papireto e la Piazza Porta Guccia, lavora tutto l’anno, oltre a bibite d’ogni genere e al gelato, anche durante la notte si possono gustare cornetti caldi e caffè.

Il vecchio chiosco del corso dei Mille, che a cambiato impiego, in qualsiasi periodo dell’anno e in qualunque ora, ai suoi avventori dà la possibilità di gustare un bel panino con la milza.

Oggi, scomparsi quasi del tutto, anno perso la loro funzione sociale, il breve ristoro refrigerante in mezzo ad un capannello di persone era l’occasione per scambiare qualche chiacchiera e rompere con il ritmo della vita quotidiana.

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