La strada più arcaica di Palermo è l’antica via detta “Cassaro” che oggi si chiama corso Vittorio Emanuele II, subito dopo il 1860, ma per molti cittadini palermitani, magari avanti con l’età, continua a indicarla con il suo remoto nome: “U Cassaru”.

Il “Cassaro” così chiamato dagli arabi (al-qasr che significa: il castello) subito dopo la conquista di Palermo nel 803, era in pratica il nucleo primitivo della città e, in linea retta, rappresentava la strada di collegamento tra il palazzo dei sovrani che era posto nella parte più alta e il mare. Da ovest ad est interseca a spina di pesce altre vie secondarie: inizialmente era più corta, finì con l’allungarsi nella seconda metà del cinquecento.

Oggi lunga poco più di un chilometro e mezzo, in essa ci si trova in mezzo ad un concentrato di architettura urbana: palazzi aristocratici, chiese, monasteri e conventi, alberghi, piazze e logge.

Cuore di questa arteria, resta dal 1600 è la piazza Vigliena detta comunemente “i quattro canti”: posta nel centro esatto di quella che era all’epoca la città dentro le mura, intersecandosi con la barocca via Maqueda che fu aperta proprio in quell’anno.

Nel pomposo linguaggio secentesco, quest’apparato era definito “Teatro del sole” poiché in ogni ora della giornata il sole lo colpisce sempre in uno dei quattro cantoni.

Questa importante arteria della città da sempre fu molto frequentata per il continuo schieramento di botteghe che vi si trovavano (gli arabi la chiamavano “as-simat” la fila) ed era anche la più elegante: nel medioevo fu la prima strada ad essere lastricata da una pavimentazione di pietra “balate”, tanto che il popolo la nominò via Marmorea.

Fu indicata con diversi nomi, “cassarello” il tratto che andava dalla cattedrale alla biblioteca regionale, via Toledo dal viceré che la prolungò nel 1568 fino alla chiesa di Porto Salvo, ma per tutti era sempre il “Cassaro”.

Dal punto di vista organizzativo vi alloggia il potere politico con la presenza del castello (palazzo Reale) e del palazzo Pretorio (Municipio) e quello religioso (Palazzo Arcivescovile e Cattedrale) che da antica data vi staziona.

Da sempre centro di attenzione pubblica, fu la prima strada ad essere dotata di illuminazione ad olio nel 1745, successivamente a gas, nel 1802 il governo borbonico effettuo la numerazione delle insule e degli edifici civili e religiosi.

Prestigio sociale era per le famiglie aristocratiche avere il palazzo in questa strada, ma erano soprattutto gli ordini religiosi che facevano a gara con quest’ultimi.

Rilevante era in passato la consistenza dei luoghi religiosi all’interno della città tra conventi, monasteri e chiese incluso il Duomo, tanto che alla fine del XIX secolo si riuscivano a numerare tredici parrocchie, ventiquattro conventi, ventitré monasteri e conservatori e circa duecento chiese, estensione abbastanza notevole rispetto alla totale superficie del compatto tessuto urbano.

Nel nostro tempo questa consistenza di edifici religiosi si è notevolmente ridotta, parecchie strutture dopo il 1866 con la soppressione degli ordini, hanno cambiato connotazione, altri sono stati demoliti per far posto a nuove costruzioni, altri ancora sono stati distrutti dagli eventi bellici dell’ultima guerra.

In passato, in un periodo compreso tra la fine del XVII e il XVIII secolo, su questa strada si affacciavano diverse “vedute o vista”, privilegio questo che era riservato ai monasteri, gli architetti comunemente le chiamavano “logge“, dalle strutture molto semplici, aperte su uno o più lati con pilastri o colonne e balaustre o chiuse con grandi finestre dove non dovevano mancare le inferriate, ed erano di solito posizionate al di sopra dei tetti di palazzi privati o complessi di elementi religiosi.

A farsi costruire le “logge” o “vedute” erano i monasteri di suore di clausura e servivano comunemente ad avere un rapporto riflesso con il mondo esterno senza essere notati.

Era questa una delle tante curiosità della vita monastica che oltre a impegnarsi alla riflessione divina, le suore scandivano il tempo con diverse occupazioni tra cui la preparazione di manicaretti che il tempo a tramandato all’esterno fino alluso contemporaneo.

Spostandosi dietro le fitte grate della loro “veduta” potevano assistere al “Festino“, guardare il passaggio del carro di Santa Rosalia, apprezzare le corse dei berberi e le carrozzate del carnevale, la processione del “Corpus domini” e quella relativa al cammino dell’urna della Santa patrona di Palermo che attraversando quasi tutto il “Cassaro” raggiungeva i propri fedeli e le rassegne militari con tanto di cavalieri a cavallo.

Nei giorni comuni, era il fasto delle carrozze della nobiltà che li attirava, per scrutare quella figura conoscente che la propria volontà aveva privato per ubbidire ad una triste realtà sociale.

Ad usufruire di questo permesso rilasciato esclusivamente dalla madre badessa, erano le suore più anziane e confesse che cercavano di attenuare le vessazioni all’osservanza delle “regole” che i canoni religiosi imponevano. Mentre alle novizie era comunemente vietato affacciarsi, solo in casi eccezionali e per motivi familiari.

Non tutti i monasteri si affacciavano direttamente sul “Cassaro“, e non sempre le monache, che avevano conquistato questo privilegio che gli veniva dalla copiosa dote elargita dalla famiglia al monastero, a rinunciare alla loro “veduta” su questa nobile e mondana strada.

Per quei complessi monastici che erano poco distanti, venivano realizzati dei passaggi volanti, “camminamenti” che attraversavano i tetti degli edifici limitrofi, aree che venivano acquistate dalle suore con le loro sostanze economiche, con questi congegni gli permetteva la costruzione di queste apposite “logge“.

Avevano da scrutare le suore che del potente monastero dei Settangeli, ubicati sul lato orientale del piano della cattedrale, guardavano la strada maestra, di questa badia, oggi rimane un istituto scolastico in parte ricostruito nel 1913 su strutture che furono distrutte durante i bombardamenti borbonici del 1860.

Il monastero con l’annessa chiesa di San Giovanni dell’Origlione attraverso un lungo camminamento che si sviluppava nei sotto-tetti dei palazzi limitrofi raggiungeva il palazzo Papè Valdina, una delle residenze più prestigiose del Cassaro, dove vi era un belvedere per le suore.

Discendendo per il “Cassaro” verso il mare, sulla destra si incontra la chiesa ed il monastero del SS. Salvatore, l’antica badia basiliana fu la prima ad essere costruita nel periodo normanno da Ruggero, ampliato più volte tra il XVI ed il XVIII secolo, fino al XV secolo si praticava il rito greco, la grande cupola che sovrasta la chiesa a permesso di costruire un’ampia loggia che permetteva le sorelle di proporsi direttamente sulla strada.

Sul lato opposto a settentrione del Cassaro fu edificato il Collegio Massimo dei Gesuiti, oggi biblioteca regionale, in via Montevergine si trova l’omonimo monastero organizzato da due complessi architettonici allacciati da un cavalcavia, le cui monache godevano di due logge sul Cassaro, fabbricate sui i tetti di palazzo Geraci e di palazzo Frangipane.

Sul fronte di piazza Bologni, aperta nel 1567, dietro palazzo Belmonte-Riso, in una vasta area, completamente abbandonata, in tempi recenti venne costruito un moderno edificio scolastico, dove esisteva il monastero benedettino del Gran Cancelliere distrutto dagli eventi bellici dell’ultima guerra, le monache, a cui non mancavano consistenti entrate, acquistarono i palazzi e le case limitrofe fino al Cassaro, dove nel settecento fecero costruire la propria loggia.

Il vasto complesso di Santa Chiara dei Francescani conventuali aveva la sua loggia che perveniva sul Cassaro tramite un tortuoso camminamento sopra le case vicine.

Il convento dei padri Teatini ha sul “Cassaro”, all’angolo con i Quattro Canti, l’ingresso principale della chiesa dedicata a San Giuseppe, costruita tra il 1612 ed il 1645.

L’affaccio su l’attico di palazzo Guggino- Bordonaro, che si raggiungeva per mezzo di una scala a chiocciola che si dipartiva da un lungo tunnel sotterraneo, apparteneva al monastero benedettino della “Martorana” che spese ingenti somme di denaro per scavare sotto via Maqueda e raggiungere la loggia della residenza signorile ai quattro canti, scomparso del tutto dopo l’abbassamento del sito stradale subito dopo il periodo borbonico nel 1865.

Le suore erano note per la preparazione dei dolci di “pasta reale” o frutti di “Martorana” dal nome della badessa Eloisa Martorana che ebbe il privilegio di averli escogitati.

Il monastero costruito nel XII secolo fu trasformato tra il XVII e XVIII secolo assumendo un gran sviluppo, tanto che alla fine del XIX secolo fu modificato e adibito a scuola Superiore di Ingegneria, lasciando poco della vetusta origine.

L’unica loggia ancora attiva è quella dell’esteso monastero di Santa Caterina che si propone proprio sul Cassaro all’altezza della chiesa di San Matteo che apparteneva alla confraternita dei Miseremini e durante l’assestamento della facciata della chiesa nel terzo ordine si fece istallare centralmente in una loggia con affaccio, le campane.

Nel 1645 le suore domenicane acquisirono l’adiacente immobile sul quale fu edificato il dormitorio e al di sopra la loggia con delle aperture ad arco centrico chiuse da serrate grate.

Proseguendo verso il mare il Cassaro all’altezza di piazza Marina ed in vicinanza del vecchio porto si concludeva, alla fine del 1581 fu prolungato, è chiamato dal popolo “Cassaro morto” perché poco frequentato, fino alla fascia costiera con la costruzione di Porta Felice che chiudeva il fronte a mare, dove qualche anno prima era stata sistemata la passeggiata della marina.

In questo ultimo tratto in ambedue i lati non si affacciano monasteri, tranne il convento dei padri Teatini che realizzarono nel 1602, ben presto nel 1612 fu abbandonato e trasformato ad altri usi fino al 1844 che divenne sede dell’Archivio di stato, ma non fu mai realizzata una “veduta” visto che il suo prospetto ricade sul Cassaro.

L’ospedale di San Bartolomeo ubicato sull’ultimo tratto del fronte settentrionale del Cassaro, distrutto durante i bombardamenti dell’ultima guerra, al suo posto venne edificato un edificio scolastico e, il loggiato che veniva utilizzato per scopi terapeutici, l’unica parte rimasta, è ubicata sul fianco orientale che guarda il mare.

Altre due chiese si affacciano sul Cassaro, la chiesa di San Giovanni dei Napoletani, della Nazione dei Napoletani, nel prospetto si costruì una loggetta coperta chiusa da imposte e la chiesa di Santa Maria di Porto Salvo, sul prospetto che fu invertito a seguito dei prolungamenti della strada, la loggia fu chiusa e i locali adibiti ad appartamenti per la canonica.

Anche i palazzi nobiliari ambivano ad una loggia d’affaccio, ma non a tutti fu concesso di poterla costruire, anche perché le amministrazioni cittadine emanavano precise regole per mantenere il decoro delle facciate degli edifici che si affacciavano sul Cassaro, che dovevano adottare particolari caratteristiche architettoniche.

Le poche presenti appartengono ai palazzi: Cutò costruito nel 1600 ed è ubicato di fronte il piano della cattedrale, la sua loggia fu costruita in sopraelevazione subito dopo il retto cornicione, subito dopo in linea è palazzo Castrone S. Ninfa ad avere all’ultimo piano una loggia centrale cinquecentesca a serliana che fu inglobata nei successive trasformazioni.

Sul “Cassaro morto” confinante con la chiesa della Catena si affaccia palazzo Vassallo edificato nel XVIII secolo, sul tetto una loggia d’affaccio guarda il Cassaro e la Cala, l’antico porto di Palermo.

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