Per raccontare le imprese memorabili dei Paladini di Francia, antiche gesta cavalleresche, si muovono in un artificioso teatrino i “pupi” di legno, lamiera e stoffa adornati e lucidati, a realizzarli dandone anima e corpo è il “puparu”, un antico mestiere, oggi sicuramente difficile, perché questo meticoloso lavoro, vanto di una grossa tradizione, quasi al bivio tra l’antico e il moderno che tende a scomparire per la nuova tecnologia.
Ed è proprio per questo motivo che continua incessante la tradizione, da un’artificiosa modernità, il “pupo” o marionetta in Italiano, la parola deriva dal latino “pupus”, bimbetto, questo tipo di burattino nasce appunto per descrivere in forma teatrale l’opera dei pupi, diffusa nel meridione d’Italia durante la lunga dominazione spagnola, originari della Castiglia dove hanno nome “Titeros”, tra il settecento e i primi anni dell’ottocento, diventa popolare a Napoli, dove furono importati nel 1646 dal Viceré Rodrigo Ponce de Leon, Duca d’Arcos, ma soprattutto in Sicilia dove con il passare degli anni e la dinamicità di diversi pupari, assumerà connotati tutti propri fino a costituire la base stessa del teatro popolare siciliano.
Oggetto di richiamo turistico, come tutte le attività artigianali, anche quella del puparo si è ristretta a pochi elementi che tramandosi da padre in figlio continuano incessantemente la loro attività nei vicoli popolari di quella città cosmopolita che è Palermo.
Macchinoso nel riservato laboratorio, sulle pareti della piccola bottega, brandelli di teatro, parti di pupi appesi, pronti per essere animati, teste, emblemi, foto che ritraggono vecchi momenti di gloria e preziose testimonianze d’arte, è qui che lavora incessantemente con le proprie mani Enzo Mancuso, figlio d’arte di un’antica dinastia di pupari, che ha afferrato questa corrente artistica dal padre Nino, continuatore e stimatore genitore che era suo padre Antonino Mancuso, allievo del puparo Pernice, impiantò nel lontano 1928 il proprio teatro-laboratorio in pianta stabile a Palermo nel noto quartiere del Borgo vecchio, in via del Medico.
Per dare una certa continuità alla sua attività, spesso si trasferiva in altri quartieri popolari della città dove stazionava per un certo periodo affinché la sua fama era ben conosciuta, a tale proposito si spinse anche in diversi paesi dell’entroterra palermitano con un ingegno di portare il proprio teatro fisso e girovago sopra un autocarro attrezzato di tutto punto per portare l’opera dei pupi e, far conoscere la sua opera innovatrice sia nella fattura dei pupi che nelle loro armature con l’applicazione di elmi alla greca e alla romana.
Durante i periodi estivi, la sua attività era accompagnata, oltre al teatro popolare a quella del cinema, gestendo in contemporanee, un paio di sale di piazza in diversi paesi.
Trasferitosi in pianta stabile a Palermo in piazza don Luigi Sturzo, dove rimase attivo fino alla sua morte, nel 1988, per le rappresentazioni teatrali si avvalse dell’aiuto dei figli, Nino, il maggiore, Pino e Stefano; fu nominato Cavaliere e, si presentò da esperto sulla storia dei paladini di Francia nella trasmissione televisiva “Lascia o raddoppia”.
Suo figlio Nino, palermitano di nascita (1934), collaborò con il padre fino alla sua scomparsa, ben presto all’età di quattordici anni con trecentosessanta serate mette in scena nel paese di Misilmeri, il suo primo ciclo della storia dei paladini di Francia con un proprio “copione” tratto dall’opera scritta dal Giusto Lo Dico.
Abilissimo puparo ed esperto costruttore, cosa che continua tutto oggi, è accreditato come continuatore preparato di questa tradizione, che ha trasmesso a suo figlio Enzo.
Giovanissimo, è nato nel 1974, è l’attuale proprietario della compagnia e ne segue le orme, fin da bambino si accostò al padre per apprendere i più elementari trucchi del mestiere, a tredici anni si esordisce nello spettacolo “Morte di Agricane”, con gli insegnamenti acquisiti dal padre e dallo zio si dedica con passione alla costruzione dei pupi, utilizzando antiche tecniche dei vecchi maestri, ha ereditato dal nonno dei vecchi pupi che ha restaurato e rimesso in scena e costruendone dei nuovi, ampliando la propria consistenza a duecento pezzi.
Principalmente erano costruiti con materiali poveri: legno di avanzo e, per l’armatura si usava “lanna di buatta” (lamierino), passando a materiali più nobili come alpacca e l’ottone.
L’ossatura, fondamentale per il pupo, viene utilizzato legno di faggio o di abete, dove si preparano nove pezzi: due piedi, due gambe, due cosce, un busto, mano e pugno a doppie mani.
Il legno scelto viene segato, smorzato e rifinito con “raspe” e lime, affinché si possa creare “la formina” in varie parti.
Queste varie parti vengono montate tra loro con un filo di ferro, successivamente mani e piedi vengono dipinte e ricoperte con del tessuto, in questa maniera anche il busto si fodera con della stoffa (articolazioni) che servono agli usi di scena, queste articolazioni, coperte con il vestitino, sono a loro volta ricoperte dall’armatura.
Il piede destro (importante per la stabilità) viene accartocciato di mezzo centimetro per facilitare il primo passo.
Le teste scolpite in legno di faggio o di cipresso perché più duttile, nella fase successiva vengono dipinte dal puparo iniziando dagli occhi, fino ad alcuni anni fa erano artigiani specialisti a dilettarsi in questo arduo compito, oggi sono gli stessi pupari che intagliano e dipingono le teste secondo le esigenze del copione, in esse trasmettono la vitalità espressiva.
La lavorazione più impegnativa è certamente l’armatura, che deve essere sbalzata utilizzando diversi arnesi particolari inventati dal puparo e, tramandati dagli antenati o inventati in tempi recenti per creare qualche particolare.
La lastra prescelta su cui vengono ritagliate le parti dell’armatura è spessa almeno cinque millimetri, si disegnano le parti e si rifilano con un grosso forbicione, si ricavano lo scudo, le ginocchiere, i bracciali, l’elmo ed i tappi degli spallacci e vengono modellate e “bombati” con dei “martelli a palla” sopra dei tronchi di legno già sagomati.
Tutti i pezzi sagomati vengono sbalzati lungo il bordo con la “pinna di martello” e il “rotino” per poi poter fare gli ornamenti con dei “punzoni” modellati, alla fine gli arabeschi di rame rosso vengono applicate con la saldatura a stagno, queste servono a fissare le insegne per identificare i personaggi: Orlando porta sulla corazza e sullo scudo una croce latina e l’aquila sull’elmo.
Intervengono alla fabbricazione, il trapano per realizzare i buchi dove passerà il filo di ferro, le pinze per arrotolarlo.
La lavorazione artigianale del pupo è rimasta immutata nel tempo, grazie al supporto di una fantasia sfrenata del suo costruttore, per completarla vengono applicati i costumi: i pantaloni alla “zuova” per gli infedeli e la “faraoncina” (gonnella corta) per i paladini che secondo il colore si potrà distinguere: Orlando avrà il costume color verde e Rinaldo color rossa, con l’ausilio delle donne del puparo che sapientemente usano la macchina da cucire e il ferro da stiro.
Alla fine, dopo la lucidatura e l’inserimento delle due bacchette di ferro con quale reggere il peso del pupo e con dei fili invisibili si legano la corazza, lo scudo, la spada e l’elmo, serviranno al puparo, quando egli prende tra le mani il pupo che è di legno, stoffa, rame e ha gli occhi e il volto immobili, il pupo si anima diventa leggero, espressivo, convincente.
Un pupo da scena palermitano che rispetto a quello catanese è snodabile, ha regolarmente un’altezza media di novanta centimetri e per costruirlo occorrono dai quaranta ai quarantacinque giorni riferisce Enzo Mancuso, e il suo prezzo e poco indifferente.
Oggi Enzo Mancuso è considerato uno dei più solidi pupari palermitani, non si è fermato solo nell’apprendimento tecnico per la costruzione del pupo e nella sua manovra, ma ha perfezionato la metodologia recitativa, ricercando e studiando vecchi “canovacci “ di rappresentazione; sua è la rielaborazione della Storia di Santa Rosalia che mette in scena in particolari periodi dell’anno, in modo speciale, in occasione del “Festino”.
Queste qualità, sono state messe in mostra nel 1998 in alcune tra le più importanti rassegne del teatro di figura come il “Festival di Morgana” e “La notte delle marionette”, importante rassegna organizzata dal Museo Internazionale delle Marionette “A. Pasqualino”, dove dal settembre 2003 inizia la partecipazione con la struttura logistica del museo, proponendo un cartellone annuale di spettacoli che vengono rappresentati nella sala Teatro.
Partecipa alle manifestazioni “La macchina dei Sogni” e “Palermo di Scena”, uno spazio scenico ha avuto nel 1999 nel Teatro popolare “Zappalà” costituendo un nuovo spettacolo sperimentale dal titolo “Opra Folle” pupi, cuntu e farse, dove Enzo Mancuso ritorna alle origini recuperando un aspetto particolare del teatro popolare siciliano: ù Cuntu.
Per sua iniziativa è nata la Compagnia dell’opera dei pupi “Carlo Magno”, con essa ha portato in giro per diverse città italiane ed estere (Dallas in America, in Africa, Spagna Francia, Scozia, Lettonia) adoperandosi a far conoscere lo strumento innovativo e tradizionale dell’opera dei pupi.
Ogni Paladino di Enzo ha una sua tradizione, uno stretto legame con il passato, in esso c’è l’osservanza di una scrupolosa fabbricazione che oggi sono titoli di merito dell’ultima generazione di quella che vede l’artista-artigiano vero fulcro dell’opera dei pupi.