“A San Martino ogni mustu è vinu”

Foto e Testi © Carlo Di Franco

L’antico proverbio agricolo ricorda che per il giorno di San Martino, l’11 di novembre, il mosto ha finito di fermentare e può quindi essere “spillato”.

Nella iconografia siciliana l’illirico soldato romano è rappresentato in groppa ad un baio bianco, vestito da centurione, con il gladio in mano, dopo aver tagliato la sua clamide in due parti ed averne concessa la metà ad un poverello seminudo ed intirizzito dal freddo.

La storia vuole che Martino dovette arruolarsi nella cavalleria, in obbedienza ad un’ordinanza imperiale in quanto figlio di un ufficiale dell’esercito romano.

Prodigiosamente, al generoso gesto di Martino, il freddo e la neve si attenuarono, il sole comparve a riscaldare le giornate: fu quella la prima estate di San Martino.

Per i palermitani, invece, quel giorno finisce l’inesauribile estate, che spesso si prolunga fino a primi giorni di novembre, e per l’occasione si gusta il vino novello che l’industria vinicola fa degustare aprendo le porte alle varie cantine disseminate nel triangolo vinicolo della provincia.

Martino fu definito il patrono degli ubriaconi, che affollavano le varie “taverne” della città festeggiando solenni banchetti a base di verdure cotte: “cardoni”, “vruocculi” e uova sode, accompagnati da abbondanti libagioni.

Chi aveva modeste possibilità, quel giorno si limitava ad accompagnare il suo modesto pasto con del vino “novello”. Per i più benestanti tutte le scuse erano buone per imbandire la tavola e quel giorno oltre a brindare con il vino novello, si mangiava abbondantemente e sulle ricche tavole era presente il tradizionale tacchino ruspante o, in alternativa, la carne di maiale la faceva da leone.

Per il San Martino dei non ricchi, bisognava aspettare la prima domenica dopo l’undici novembre per concludere il frugale pasto domenicale con “u viscottu i San Martino abbagnatu nn’o muscatu”, (il biscotto di San Martino intriso nel vino moscato).

Il moscato, vino liquoroso, veniva in genere offerto in dono dall’abituale fornitore di vino.

Della tradizione palermitana di onorare il santo fa parte la preparazione di biscotti speciali che prendono appunto il nome di “biscotti di San Martino”.

Sono confezionati con fior di farina impastata con il latte e fortemente lievitata, hanno la forma di una pagnottella rotondeggiante della grossezza di un’arancia e l’aggiunta nell’impasto di semi d’anice conferisce loro un sapore e un profumo particolare.

Cotti a fuoco lento, si presentano molto croccanti e friabilissimi ed in questa occasione vengono largamente consumati “abbagnati” (inzuppati) nel vino liquoroso “Moscato di Pantelleria” ricavato da uve inzolia o inzuppati nel vino appena spillato.

I pasticcieri della città, cui non è mancato l’estro, nel riprendere usi barocchi, impreziosiscono i tradizionali biscotti rivestendoli con una velata di zucchero fuso e decorandoli con cioccolatini fondenti, confettini, addobbi floreali di pasta reale, ripieni di crema o marmellata, facendone insomma una leccornia gradevolissima anche nell’aspetto.

In altra versione, il biscotto comune, svuotato, viene anch’esso ripieno di crema di ricotta con canditi e scaglie di cioccolato e inzuppato in liquore di rum.

A Palazzo Adriano, in provincia di Palermo, la festa di San Martino è l’occasione per rispolverare una antica tradizione d’origine balcanica, un tempo molto diffusa presso tutti i paesi di origine albanese.

Secondo questo costume, parenti e amici si fanno carico della costituzione della casa dei giovani che si sono sposati nell’anno corrente.

In mattinata i bambini sfilano per le strade portando cesti e vassoi, adorni con tovaglie riccamente ricamate, contenenti i tradizionali “panuzzi di San Martino” ed altri dolciumi.

I genitori dello sposo regalano “u quadaruni” [grossa pentola di rame], quelli della sposa “a brascera” (braciere di rame per riscaldare la casa nei mesi freddi), la comunità e gli amministratori del comune sfilano per il paese accompagnati dal suono della banda locale e la sera, a conclusione della giornata dedicata al Santo, visitano i “S.Martini” dei novelli sposi e fanno loro un dono come augurio per la nascita della nuova famiglia.


 

Giosuè Carducci – San Martino

La nebbia agli irti colli
Piovigginando sale,
E sotto il maestrale
urla e biancheggia il mare;
Ma per le vie del borgo
Dal ribollir dè tini
Va l’aspro odor de i vini
L’anime a rallegrar.
Gira sù ceppi accesi
Lo spiedo scoppiettando:
Sta il cacciator fischiando
Su l’uscio a rimirar
Tra le rossastre nubi
Stormi d’uccelli neri,
Com’esuli pensieri,
Nel vespero migrar.

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