La leggenda del cacciatore ha tenuto viva, nel quartiere dove visse e svolgeva la sua attività di saponaio, una fervida attenzione che con il passare dei secoli si è trasformata in una vera e propria festa in seno al tradizionale “Festino”.

Era il 12 febbraio 1625: Vincenzo Bonelli, la cui moglie quindicenne e i figli erano morti di peste pochi giorni prima, si era recato con i suoi cani sul Monte Pellegrino per trovare distensione al suo dolore ma, assalito dallo sconforto, aveva deciso di gettarsi da una rupe quando gli si mostrò una bellissima fanciulla che con voce dolcissima e in dialetto palermitano, gli disse: “non temere, Vincenzo, vieni con me, ti mostrerò dove è seppellito il mio corpo” e gli raccomandò di avvertire il Cardinale di Palermo che in una caverna, dove ella era vissuta da eremita, vi erano le sue ossa. Inoltre gli predisse che sarebbe morto di peste.

Il cacciatore, terrorizzato, ritornò in città alle sue occupazioni routinarie e, da lì a poco si ammalò: Solo in punto di morte raccontò ciò che gli era avvenuto.

Il saponaro abitava in Via Panneria al Monte di Pietà, nel rione del Capo. Dopo la sua morte, ravvisato il culto della “Santuzza”, gli abitanti del luogo, in riconoscimento all’apparizione occorsa al cacciatore che permise di ritrovare le sacre vestigia, edificarono nella parete esterna della casa in cui abitava una “cappelluzza” (edicola votiva) con l’immagine di S.Rosalia.

Una lastra d’ardesia dipinta a tempera, in cui la Santa è raffigurata riversa per terra, all’interno della spelonca dove due angeli cherubini la infondono verso il cielo.

Contenuta da una cornice d’argento cesellato a sbalzo, gli angeli e il profilo della santa sono dotati di vestito d’argento inciso a rilievo, il capo è cinto da una corona regale in argento dorato filigranato, in mano reca un crocifisso anch’esso d’argento.

Tutti gli ex-voto, che nei secoli si raccolsero per grazia ricevuta, permisero di realizzare questa copertura argentea che si mantenne fino al 1946, quando il conflitto bellico fece perdere questi preziosi oggetti che successivamente furono rifatti ed esposti nelle feste più importanti.

Quest’edicola, è la più antica dei quattro mandamenti (1625);lo attestano alcuni documenti inerenti alla sua edificazione.

Originariamente si trovava impressa nella parete di casa Bonelli, fino al 9 maggio 1943 giorno in cui la città di Palermo subì il più grosso bombardamento da parte degli alleati, che rase al suolo una gran fetta del centro abitato. Anche l’abitazione del cacciatore di Via Panneria fu colpita ma, prodigiosamente, l’immagine ne restò integra.

Nei giorni successivi un gruppo di fedeli, capeggiati dal tappezziere signor Micale, scelsero un luogo nella Piazza del Monte di Pietà e la inserirono nella parete di un palazzetto di fronte all’istituto dei pegni dove ancor oggi si può guardare con ammirazione e devozione.

Da allora la devozione e l’ammirazione da parte degli abitanti hanno fatto nascere un comitato che da sempre, tassandosi direttamente o raccogliendo i fondi porta a porta o questuando per la strada, organizza il tradizionale “festinello”, che si svolge durante i festeggiamenti del festino per onorare la “Santuzza” e la figura del leggendario cacciatore.

Difatti si suole affermare che non c’è festa a Palermo se non si fa il festino a Monte di Pietà, “a Santuzza du Munti”.

Il comitato è composto da cinque persone, al signor Micale é succeduto il figlio che continua l’operato del padre.

Da sempre, a proprie spese, costruisce un infinitesimo Monte Pellegrino, in cima al quale c’è un antica testa di S.Rosalia, la grotta e la statua del cacciatore. In quei giorni l’edicola votiva viene “apparata” con grandi festoni, illuminata da parecchie luci e adornata da una gran quantità di fiori offerti dai devoti che riconoscenti continuano ad offrire ex-voto per grazia ricevuta.

Ai piedi della cappella è sistemato un gran tabernacolo di vetro che contiene una copia della statua della Santa a grandezza naturale e nella classica posizione sdraiata, commissionata dal sig. Miccichè ed eseguita dal professor Sammartano nel 1975 in materiale gessoso.

L’abito rivestito di lamine dorate, la rende tale e quale a quella che è esposta nel santuario di Monte Pellegrino. I giuochi, le canzoni e i cantanti napoletani, le luminarie pluricolorate, animano questo fervido culto che per tradizione è ascritto nella cultura palermitana.

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