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a cura di C. Ossequio


Le prime testimonianze umane su queste isole risalgono a 14000 anni fa, mentre le prime colonizzazioni di epoca storica risalgono all’VIII secolo a.C. quando giunsero nelle Egadi i Fenici, del cui arrivo sono state trovate testimonianze a Favignana; seguirono poi i Greci delle colonie di Sicilia, quindi i Punici che abitavano la Sicilia occidentale e infine le isole caddero sotto il dominio dei Romani.

Furono al centro di cruente battaglie durante la I Guerra Punica (254 a.C.), fino a quando nel 241 a.C. Amilcare Barca firmò la resa ai Romani proprio a Favignana; dalle Egadi partirono le flotte romane per l’Africa, durante la II e la III Guerra Punica (nel 204 e nel 149 a.C.).

In seguito alle Guerre contro Cartagine, le isole cadute definitivamente sotto il potere di Roma, vissero un periodo di relativa calma, interrotta solo più tardi, nel 440 a.C. dall’arrivo dei Vandali di Genserico che le saccheggiarono e ne deportarono gli abitanti.

FAVIGNANA

L’isola più importante delle Egadi fu chiamata dai Fenici Katria, dai Greci Aegusa, e dai Romani Capraia e Favoniana, in riferimento al vento Favonio, da cui deriva il nome attuale.

Nell’isola sono state rinvenute tracce di insediamenti del Paleolitico Superiore e del Mesolitico, di cui è di grande importanza la necropoli con tombe a grotticella, nei pressi del cimitero, nelle zone di Monte Faraglione, Giunta e presso la roccia Minguddu e Canalozzo.

Soprattutto a Monte Faraglione sono visibili le importanti grotte d’Oriente e d’Ucciria, con resti del Mesolitico. 

Nelle tombe presso le località Mulino a Vento e Cala Monaci sono stati portati alla luce reperti attribuibili alla cultura di Castelluccio e insediamenti dell’Età del Bronzo con ritrovamenti databili al periodo compreso tra il 1750 e il 1400 a.C.

A Cala San Nicola si sono rinvenuti i resti dei cosiddetti “Bagni delle donne”, di epoca romana. Nella Grotta della Stele su un pilastro sono visibili delle lettere incise e un simbolo eucaristico risalenti al XII-XIII secolo a.C.

LEVANZO

L’isola si chiamò sotto i Greci Phorbantia e Bucinna sotto i Romani, successivamente gli Arabi la chiamarono Gazirat al ya bisah (l’Arida), mentre l’attuale nome Levanzo risale al Rinascimento.
Nella cosiddetta Grotta del Genovese, sulla costa occidentale dell’isola e a 30 m. slm., scoperta dalla pittrice Francesca Minellono negli anni ‘50, ma che era già stata segnalata nell’800, sono state trovate pitture e graffiti rupestri, risalenti al Paleolitico Superiore, quando ancora l’isola era unita alla terraferma.
Nella grotta, che è di proprietà privata e si raggiunge solo via mare, sono state ritrovate testimonianze delle varie culture che si sono susseguite sull’isola. E’ divisa in due ambienti, di cui il primo con funzione di vestibolo e un ambiente posteriore, buio e riparato, cui si accede attraverso un cunicolo e che si conclude con una cavità. In questo ambiente sono visibili graffite e dipinte sulla parete delle scene di vita preistorica.
Le incisioni qui rinvenute in base alle analisi al Carbonio 14 sono state datate al 10000 a.C. e raffigurano 29 animali -tra cui sono identificabili esemplari di Bos primigenius, Cervus elephus, Equus asinus hydruntinus- e figure antropomorfe; tutta la rappresentazione farebbe pensare a una specie di danza, forse avente funzione di propiziare la battuta di caccia.
Le pitture nella grotta, invece, pare che possano risalire a 6000 anni dopo, sono un centinaio e raffigurano uomini, pesci, animali e vari idoli.
Le immagini sono scarsamente naturalistiche e molto schematiche, senza occhi o bocca, ma nonostante tutto, esprimono potenza e vigore. Gli animali sono molto stilizzati, un cerbiatto è realizzato in un unico tratto graffito, il movimento dei tori esprime bene la forza della loro carica, di contrasto al quieto brucare degli asini; le figure umane sono invece rappresentate con il volto coperto da una maschera, tozze, con le gambe corte e sottili, ma con dei movimenti che tradiscono l’agilità di una danza.
In altre raffigurazioni più tarde, dell’Età del Rame, si notano linee rosse dipinte che farebbero pensare a un conteggio; a quell’epoca le pitture sostituirono completamente i graffiti.
E’ in quel periodo che Levanzo si staccò dalla terraferma e divenne un’isola. La Grotta del Genovese divenne un santuario, gli animali, dipinti in nero, non sono più rappresentati come una forza da sottomettere, ma hanno un aspetto più tranquillo e domestico, come testimonia particolarmente l’immagine di un cane che tiene il muso alzato verso il padrone; compaiono i pesci, tra cui il tonno; come si è detto, le figure antropomorfe sono molto stilizzate: l’uomo ha le braccia e le gambe allargate e termina in una punta allungata che lo distingue dalla figura femminile che invece ha la testa piccola, gli arti corti e la forma del corpo è estremamente tondeggiante. Tra le figure ne spicca una rossa, più antica rispetto a quelle nere, che potrebbe rappresentare lo sciamano della tribù o colui che faceva dei riti nella grotta con funzione di santuario.
Per visitarla bisogna chiedere l’autorizzazione alla delegazione comunale o alla Soprintendenza ai Beni Culturali di Palermo.

MARETTIMO

L’isola si chiamò Hiera, cioè “sacra”, sotto i Greci e i Romani, mentre il nome attuale si riferisce alla pianta del timo che vi cresce.

L’uomo vi giunse solo dopo aver abitato le altre due isole.

Resti archeologici di un certo rilievo si trovano a Monte Capraio, e sono costituiti da vestigia di case romane con i muri in opus reticulatum.

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