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Monte Adranone
Segesta
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Ustica

a cura di Pietro Giordano


Il sito di Monte Adranone si trova a nord dell’abitato di Sambuca di Sicilia ed occupa un monte (ca. 1.000 s.l.m.) che domina un’importante strada antica, nella valle del fiume Belice.

Il centro che vi ebbe vita si presenta molto interessante in quanto posto sulla via di penetrazione selinuntina e al tempo stesso lungo la fascia di contatto fra l’area sicana e quella elimo-punica; si trovò quindi, per la posizione geografica, a subire le influenze di diverse culture. Controversa è la questione dell’identificazione del sito antico che ebbe sede sul monte Adranone.

E. De Miro ritiene che tale sito si debba identificare con l’Adranon menzionata da Diodoro in relazione alla prima guerra punica e conquistata dai romani nel 263 a.C. Il nome è naturalmente da collegare all’omonima divinità sicula venerata in più luoghi della Sicilia.

Secondo De Miro è verosimile che il centro sia stato spostato in età ellenistico-romana in c/da Serrone, a ca. 2 km. di distanza. In passato, tuttavia, Cluverius (1619) riteneva che Adranon diodorea dovesse trovarsi ad Ad ragna; Spata a Driagnu, presso Palazzo Adriano; Di Giovanni (1869) a Pozzo Morione. L’ipotesi di De Miro è oggi generalmente accolta, ma contro di essa si è pronunciato Giustolisi (1985) per il quale a Monte Adranone andrebbe collocata l’antica Nakone, mentre Adranon dovrebbe essere situata a Castellaccio di Sagana (Montelepre) lungo la via Macella (Monte d’Oro di Montelepre) – Adranon (Castellaccio di Sagana) – Paropo (Monte Porcara, presso Bagheria).

L’antica città sorgeva su un terrazzo di forma grosso modo triangolare culminante a NE nella rocca dell’acropoli, protetta alle spalle dal costone roccioso e degradante in terrazzamenti verso SO.

Nel 1885 venne casualmente scoperta la c. d. Tomba della Regina con il relativo corredo. Si tratta di una tomba a camera ipogeica di VI-V sec. a.C., fra le più interessanti della Sicilia.

Vere e proprie esplorazioni archeologiche sul sito furono avviate dalla Soprintendenza di Agrigento a partire dal 1967-1968, condotte da E. De Miro e G. Fiorentini. Tali scavi sono continuati in campagne annuali sistematiche e hanno portato in luce la necropoli, la massiccia  cinta muraria di fortificazione e vasti settori della città e dell’area extra-urbana.

Sulle pendici S del monte, ai margini dell’area della necropoli, ha sede un piccolo antiquarium dove è conservata una raccolta di materiali d’uso e votico degli scavi; vi sono custoditi anche notevoli pezzi architettonici ed un sarcofago fittile con coperchio a doppio spiovente, realizzato con pezzi ad incastro, proveniente dalla necropoli greca. Gran parte del materiale venuto in luce a Monte Adranone è conservato presso il Museo Archeologico Regionale di Agrigento.

Sulle pendici S del monte si estende l’area della necropoli nella quale si distinguono diversi tipi di sepolture riferibili a diverse fasi cronologiche: tombe a camera ipogeica (VI_V sec. a.C.) fra cui la c.d. Tomba della Regina; tombe a cassa con pareti di blocchetti di marna (IV sec. a.C.); sepolture terragne (IV-III sec. a.C.) per lo più sovrapposte a quelle più antiche. Lungo il margine S i rinvenimenti di ceramica a stralucido rosso del tipo Pantalica Nord permettono di ipotizzare l’esistenza di un villaggio del tardo Bronzo che continuò a vivere durante la prima età del Ferro, comeaatestato dalla grande quantità di ceramica indigena incisa ed impressa e di quella dipinta rinvenuta e i resti di capanne semicircolari con vestibolo, visibili in quest’area e immediatamente oltre la cinta muraria.

Nella seconda metà del VI sec. a.C.al villaggio capannicolo si sovrappone un centro greco fortificato fondato, assai verosimilmente, da Selinunte. E’ con questo centro greco che si dovrebbe identificare l’Adranon diodorea. La città subì una pesante distruzione verso la fine del V sec. a.C., forse in connessione alla caduta di Selinunte.

Nel IV sec. a.C. il centro fu riedificato, caratterizzato da una notevole impronta punica, probabilmente in conseguenza del rafforzarsi del predominio cartaginese in tutta la Sicilia dalla caduta di Selinunte alla morte di Dionisio I. Questa influenza punica perdura dal IV al III sec. a.C.

Nelle mura di fortificazione, che si snodano per una lunghezza complessiva di ca. 5 km., si possono distinguere tre fasi edilizie: la prima di VI-V sec. a.C.; la seconda di IV sec. a.C. e l’ultima di III sec. a.C. Tali mura sono spesse da m. 2 a m.2,80 ed in alcuni punti si conservano sino a 6 m. di altezza.

Attraverso la monumentale Porta S fiancheggiata da torrette si accede ad un complesso extra-urbano, già parzialmente saggiato. L’area era precedentemente occupata dalle capanne a pianta semicircolare del villaggio protostorico; nel V sec. a.C. si sovrappose un quartiere abitativo extra-urbano che si accrebbe nei primi anni del IV sec. a.C. con la costruzione di un sacello e di una serie di vani di servizio ad esso pertinenti. Verso la metà del IV sec. a.C. in tale area, sovrapposta ai resti dell’abitato, ma rispettando l’area occupata dal santuario, venne costruita la c. d. Fattoria, una notevole struttura a pianta rettangolare (m. 57,50 x 38,50) con cortile interno, intorno al quale si dispongono ca. 30 ambienti principali, molti dei quali ulteriormente suddivisi all’interno; in questa struttura è da vedere probabilmente una caserma destinata ad ospitare una guarnigione punica.

Il santuario punico è costituito da un temenos, un recinto sacro, di forma grosso modo trapezoidale, il cui ingresso S introduce in un’area lastricata che mostra al centro il sacello in conci di marna e tufo arenario, a pianta rettangolare ed ingresso sul lato S. Una parete trasversale suddivide in due vani l’interno del sacello delimitando un piccolo adyton. All’interno si trovano una piattaforma circolare, un altare rotondo posto al centro dell’ambiente ed una panchina in pietrame a secco che corre lungo tutte le pareti. Un’analoga panchina si trova all’esterno del sacello nella parete frontale. Esternamente vi è anche un bothros di forma quadrangolare con un foro che lo rende comunicante con l’interno del sacello. Davanti alla parete frontale vi è un ulteriore altare quadrangolare di pietra.

Fra l’abbondantissimo materiale vascolare e le terrecotte votive venute in luce in quest’area spiccano una notevole testa di Demetra con polos in pietra tenera di produzione locale, ma che mescola elementi greci e punico-ellenistici, nonché busti di divinità con volto di Persefone. Verosimilmente il santuario dovette essere dedicato al duplice culto di Demetra e Persefone.

Risalendo il monte, attraverso la turrita e monumentale Porta N, si accede ad un terrazzo pianeggiante posto ai piedi dell’acropoli, dove, in posizione topograficamente significativa nella città antica, è collocato un complesso monumentale sacro.

L’area è caratterizzata da un edificio principale, un santuario definito punico, a pianta rettangolare, di ca. m. 21 x 8, orientato con gli angoli da NE a SO. Tale edificio è formato da due vani, uno dei quali è caratterizzato dalla presenza di tre vaschette in pietra arenaria addossate alla parete NE, mentre altre vaschette potrebbero trovarsi sotto il crollo del muro divisorio fra i due ambienti. Il secondo vano è, invece, un temenos, un recinto sacro senza copertura, la cui destinazione cultuale è testimoniata dalla presenza di due betili a piastrino, su base quadrangolare in arenaria, addossati alla parete di fondo, davanti ad uno dei quali è un’area rettangolare in pietra parzialmente combusta. Al momento dello scavo il pavimento di questo edificio si presentava coperto da uno strato piuttosto spesso d’uso, con bruciato e resti di animali, in particolare astragali. Da questo strato provengono più di 200 monete, per lo più dei tipi siculo-punici.

Nel banco marnoso, alle spalle dell’edificio vi è una grandiosa cisterna rettangolare fornita di due vaschette circolari di decantazione, usata sia per i riti del santuario che come riserva idrica dell’abitato.

Nei pressi delle mura, verso SE, sono visibili, i resti di un’ulteriore struttura rettangolare e bipartita, forse un’edicola gemina o un torrione.

Da questo terrazzo è possibile accedere ad un ulteriore terrazzamento, anch’esso posto ai piedi dell’acropoli, dove si trova un grande edificio a pianta rettangolare, orientato NE-SO, sovrapposto a più antiche strutture. L’edificio (m. 18,20 x 10,50 ca.) è preceduto da un portico colonnato di ca. m. 3 di profondità, del quale permangono due basi di colonne inglobate nel posteriore muro di tamponatura dell’intercolumnio. Nei pressi di questo edificio si trova un monumento a pianta circolare, definito tholos, costruito precedentemente all’edificio e circoscritto da muretti. L’ubicazione di questo edificio vicino alla tholos, le sue connotazioni architettoniche, nonché il materiale votivo venuto in luce negli ambienti dove si trovano delle basi circolari, indicano che questa struttura dovesse avere un uso pubblico; il ritrovamento di cereali sui pavimenti degli ambienti a NE potrebbe avvalorare questa ipotesi secondo l’uso greco di conservare derrate alimentari in luoghi pubblici, o indurre a pensare ad un riutilizzo posteriore dell’edificio, come magazzino o deposito, durante l’ultima fase di vita della città.           

Dal piazzale nel quale è posta la tholos si imbocca la via che conduce all’acropoli. Lungo tutta la strada sono visibili i resti di quelle che furono abitazioni private e costruzioni di uso pubblico, fra le quali spiccano una grande cisterna cilindrica, un edificio con colonnato da cui proviene materiale pertinente al culto, ed un sacello preceduto da un porticato, con resti di un altare circolare nella cella.

Nell’ultimo tratto di strada è possibile individuare un imponente complesso a pianta quadrata suddiviso in più ambienti che si aprono su di un angusto cortile centrale in mezzo al quale scorre una cabaletta di scarico. Tale edificio, che doveva avere un ulteriore piano, ingloba i resti di strutture più antiche ed è caratterizzato dalla presenza di botteghe e magazzini.

Attraversando una porta fiancheggiata da torrette si giunge al “luogo alto” sulla cui area culminale ha sede il grandioso tempio punico.

Si tratta di un edificio a pianta rettangolare, orientato con gli angoli in senso E-O; esso è composto, nella pianta originale, da tre vani successivi, non comunicanti tra loro. L’accesso è a S, con tre soglie che immettevano nei tre vani, dei quali il principale era quello mediano. Questo vano centrale era un recinto a cielo aperto, che tuttora presenta tracce di appoggio di piastrini rituali o conici. Intorno al recinto vi erano gli altri ambienti coperti: a NO un vano bipartito, a SE l’altro, a cella unica caratterizzato da particolari elementi architettonici, crollati in situ, greci e punici.

Sembra ritenersi in relazione a questa fase originaria del tempio una grande cisterna a vasca rettangolare, realizzata in conci di arenaria, intonacata esternamente, presumibilmente con copertura retta da due piastrini ancora visibili sul fondo, posta a ca. m. 8 dall’edificio.

Successivamente, probabilmente sempre durante il IV sec. a.C., la pianta originaria venne modificata ed ampliata, verosimilmente in relazione a più complesse esigenze rituali collegate forse, secondo la Fiorentini, al culto della divina coppia di Baal-Ammon e Tanit, predominante a Cartagine dal V sec. a.C.

La struttura sacra fu, quindi, ampliata con l’annessione a NO di un ulteriore ambiente bipartito; con un lungo porticato su tutta la lunghezza del lato SO, con ante a “L” e fila di colonne lignee, delle quali si conservano in situ solo cinque basi in lastre di arenaria; con una piattaforma sopraelevata, probabilmente una sorta di altare appoggiato all’estremo del lato SE.

In connessione con le funzioni rituali dell’edificio venne realizzato un complesso sistema di cabalette atte a convogliare nella grande cisterna le acque piovane. Altri piccoli vani quadrangolari furono costruiti fra il tempio, la grande cisterna e le mura di fortificazione.

La grande cisterna, durante la prima guerra punica, venne riempita e riutilizzata come trincea difensiva nella resistenza ai Romani; infatti, sui piani di calpestio sono venuti in luce proiettili litici per catapulte e punte di freccia.

La distruzione definitiva e l’abbandono del sito è da porre intorno alla metà del III sec. a.C. proprio in relazione alla prima guerra punica.
 

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