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a cura di C. Ossequio


Le isole Eolie, Lipari soprattutto, sono sempre state identificate come le isole del dio Eolo, che accolse Ulisse nella sua reggia e gli donò l’otre dei venti perché potesse tornare in patria senza incorrere in altri pericoli. Ma al di là della loro immagine leggendaria, esse hanno avuto un ruolo centrale nella storia del mondo mediterraneo.

Fino alla seconda guerra mondiale dell’archeologia delle isole Eolie non si conosceva molto, né erano stati fatti scavi sistematici, fatta eccezione per gli scavi non documentati eseguiti nel 1800 e l’indagine archeologica condotta da Paolo Orsi nel 1928, in cui era stata scoperta, a Lipari, la necropoli in contrada Diana e al di sotto della quale erano stati individuati gli strati risalenti al Neolitico.

Le prime ricerche sistematiche, condotte da Luigi Bernabò Brea e Madeleine Cavalier, tra il 1946 e il 1950, si realizzarono a Panarea e poi anche a Stromboli e Filicudi.

Lipari fu per anni inavvicinabile, essendo stata lager fascista e poi luogo in cui esiliare gli stranieri indesiderati in Italia, fino a che nel 1950 l’isola non fu più impiegata come luogo di confino e gli archeologi poterono finalmente scavare.

Furono iniziati scavi sistematici che immediatamente mostrarono la ricchezza del sito mostrando una stratigrafia che va dal Neolitico (4000 a.C.) fino all’età moderna.

Da allora le indagini archeologiche furono regolari, seguite da studi e pubblicazioni, i numerosissimi reperti vennero a costituire il Museo Archeologico Eoliano, nella stessa Lipari, oggi dedicato al più grande studioso delle Eolie, Luigi Bernabò Brea.

Le isole Eolie sono state importanti nella storia del Mediterraneo, a partire dall’epoca Neolitica (IV – III millennio a.C.), quando Lipari commerciò dovunque l’ossidiana, un vetro vulcanico di colore nero lucente, molto tagliente, usato per fabbricare lame e raschiatoi.

I siti preistorici di Lipari danno il nome a varie fasi culturali contraddistinti da produzioni ceramiche particolari:

Stile di Serra d’Alto: prodotta intorno alla metà del IV millennio a.C. Si tratta di ceramica molto depurata con una decorazione miniaturistica, con i motivi del meandro e della spirale.

Stile di Diana: prodotta tra la fine del IV e gli inizi del III millennio a.C. Si tratta di ceramica monocroma di colore rosso.

In questo periodo parte da Lipari il popolamento alle isole di Panarea e Filicudi.

In seguito si registrò una crisi nel commercio dell’ossidiana, che fu sostituita dall’uso del metallo (fasi dette di Piano Conte e Piano Quartara).

Tra il 1600 e il 1250 a.C., in piena età del Bronzo, le isole Eolie vissero un nuovo periodo di prosperità, grazie al nuovo ruolo che ebbero a ricoprire come emporio commerciale nel mondo miceneo (Fase detta di Capo Graziano).

Nel XV secolo a.C. le isole furono testimoni di enormi cambiamenti testimoniati dall’uso di nuovi stili ceramici. Queste trasformazioni paiono additabili all’arrivo di nuove genti, riferibili alla facies culturale detta del Milazzese, dal nome di un villaggio posto nell’isola di Panarea, caratterizzato da materiali di questa fase.

Nel XIII secolo a.C. nuove genti invadono le isole, segnando cambiamenti sostanziali nella loro vita. I villaggi delle isole minori vennero distrutti e non saranno più ricostruiti, dagli scavi si individuano, infatti, chiare tracce di incendio e di distruzioni violente.

Solo a Lipari seguirono altre fasi di vita che la legano alla penisola italiana e alla Sicilia, mentre si interrompono i rapporti con le altre isole.

Segue la fase cosiddetta dell’Ausonio (divisa in Ausonio I e II), proveniente dalla penisola (come tramandatoci da Diodoro Siculo, sebbene sotto forma di leggenda), i cui villaggi nacquero sui villaggi della fase precedente, che ebbero modo di distruggere.

La necropoli riferita a questa fase è stata scoperta nel 1953 in Piazza Monfalcone e consiste in tombe a cremazione, le cui ceneri erano raccolte entro situle, a loro volta inseriti in grossi pithoi in cui erano conservati scheletri rannicchiati.

Come si può comprendere, i villaggi, dato il clima estremamente pericoloso, sorsero per lo più in posti naturalmente fortificati, nel caso di Lipari, sul Castello, uno sperone roccioso a picco sul mare.

Anche questa fase venne distrutta nel IX secolo a.C.,

Seguì un periodo di estrema povertà e disfacimento, in cui l’isola di Lipari rimase deserta, fatta eccezione, forse, per qualche piccolo nucleo sparso per l’altipiano. Infatti, narra Diodoro Siculo, che quando nel 580 a.C. i Cnidi giunsero nell’isola di Lipari per colonizzarla vi trovarono solo pochi abitanti, che si definivano discendenti del re Eolo.

I Greci furono bene accolti dagli indigeni che vivevano nel timore delle incursioni degli Etruschi, e stabilirono un governo collettivistico, in cui alcuni coltivano la terra e altri la difendono. Solo in un secondo momento, di relativa calma, le terre vennero divise e vennero colonizzate le altre isole. I Liparoti riportarono anche molte vittorie sui loro vecchi e temuti nemici, gli Etruschi, e nel IV secolo a.C. è all’apogeo della sua potenza. Nonostante tutto nel 304 subiscono un saccheggio da parte di Agatocle, tiranno di Siracusa.

Con la decima parte del bottino conquistato nelle loro vittorie sugli Etruschi fu eretto un ex-voto nel santuario di Apollo a Delfi, in Grecia, di cui restano ancora testimonianze sul terreno.

Durante la prima guerra punica Lipari si schiera a favore dei Cartaginesi e divenne una loro base strategica, per questa ragione subì continue incursioni da parte dei Romani, finché fu distrutta da questi nel 251 a.C.

Da questo momento Lipari non conobbe più un periodo glorioso e florido. Riacquistò importanza durante il conflitto tra Sesto Pompeo e Ottaviano, quando venne fortificata e poi ancora, visse una relativa prosperità sotto Augusto, con l’invio di nuovi coloni.

Poco si sa dell’isola nell’era cristiana, solo che fu sede vescovile almeno fino al III secolo d.C.

 

LIPARI

L’antico nome dell’isola pare che fosse Meligunis, in seguito si chiamò Lipàra, ma è ricordata nell’Odissea col nome di isola Eolia.

L’insediamento più antico della città greca di Lipari sorse sulla rocca del Castello, o Cittade, secondo i locali, ma dopo poco tempo per l’aumento della popolazione l’abitato si allarga alla piana sottostante, e viene racchiuso in una cinta muraria costruita con blocchi poligonali di pietra lavica, di cui un tratto è visibile in piazza Monfalcone. Nel V secolo fu costruita una nuova cinta in blocchi squadrati.

Le mura che oggi circondano lo sperone roccioso sono quelle costruite dagli Spagnoli nel XVI secolo, ma sono visibili ampi tratti delle mura del XIII secolo, in cui sono stati reimpiegata blocchi della cinta muraria greca.

La torre in filari regolari di blocchi squadrati, decrescente verso l’alto, è, invece, del IV secolo a.C.

Sul promontorio del Castello sono state messe in luce vestigia delle città romana, greca e dei villaggi preistorici e protostorici che le hanno precedute.

Tra la Cattedrale e la Chiesa di Santa Caterina si incentrarono gli scavi, di cui gli strati più recenti misero in luce un quartiere di abitazioni di epoca ellenistico-romana, del II secolo a.C., a pianta regolare, a scacchiera, di cui si individua il reticolato stradale, composto da decumani e cardines.

Dallo scavo sono stati messi in luce parte del Decumano massimo, che coincide quasi perfettamente con la strada attuale, passante per l’acropoli (l’area del Castello), e due cardines.

Delle case che occupavano le insulae si sono conservate scerse tracce, limitate soltanto ad alcuni muri perimetrali.

Pochissimi sono i resti della città greca venuti alla luce. Il primo insediamento era sicuramente sull’acropoli, l’area del Castello, circondata da poderose mura.

Delle abitazioni della città greca non si sono conservate tracce, né si trovò nulla di altri resti edilizi, fatta eccezione per alcune cisterne e alcune fosse votive, relative a qualche edificio sacro, sull’acropoli. Tra queste fosse votive va sicuramente messo in evidenza il cosiddetto bothros (pozzo votivo) di Eolo, dalle dimensioni considerevoli (m. 6.40 di profondità per m. 3.15 di larghezza). La parte inferiore è tagliata nella roccia, la bocca era invece chiusa con un coperchio in pietra lavica su cui è scolpito un leone accovacciato (attualmente conservato nella Sala X del Museo Archeologico).

Nel bothros, scoperto nel 1964, furono scoperti numerosi vasi in frammenti (rotti volutamente in senso rituale) e altri oggetti interpretabili come ex-voto databili tra la metà del VI e la fine del V secolo a.C. Grazie all’iscrizione AIO[LOU (Trad.: di Eolo) graffita su un’olpe si è identificata la divinità, a cui il pozzo votivo era dedicato, con Eolo.

Molti sono i rinvenimenti ceramici di epoca greca e romana, provenienti soprattutto dalle tombe della necropoli greco-romana in contrada Diana, ma anche dalla discarica ai piedi del muro in opera poligonale di Piazza Monfalcone. Si tratta di ceramiche corinzie, attiche, rodie, laconiche, ioniche, dei secoli VI – V a.C.

Un pezzo notevole è costituito dalla testa di un acrolito, in marmo, pertinente, con molta probabilità, a una statua cultuale.

Sempre sull’acropoli del Castello, sotto le case del periodo ellenistico-romane si sviluppano gli strati delle fasi preistoriche, di cui sono state trovate i focolari, le capanne, individuabili in recinti circolari e ovali di pietre, che costituivano lo zoccolo delle stesse, purtroppo mal conservate. Presso il lato nord sono i resti di una grande capanna (m. 15x7.50), dell’Ausonio II, preceduta da un portico e con la parete di fondo absidato.

Queste capanne erano semi infossate, avevano lo zoccolo in pietrame unito a secco, l’alzato in gran parte in legname e il tetto, sorretto da pali lignei, in stoppie  forse rivestite con impasto di argilla e paglia.

Si sono scoperti cospicui resti di un villaggio del Milazzese, costituito da capanne ovali che circondano una capanna maggiore, sempre ovale, chiusa entro un recinto quadrangolare, su cui è posta una capanna dell’Ausonio II.

Seguono in sezione altre capanne dell’età del Bronzo, e affiorano gli strati neolitici in cui sono stati raccolti molti reperti ceramici, conservati nelle sale I e II del Museo. Al di sotto degli strati neolitici è uno strato sterile e poi la roccia.

Subito fuori dalle mura, nella contrada Diana si estese la necropoli, nei pressi della quale sorse l’area sacra a Demetra e Kore, le divinità ctonie.

In epoca romana sorsero divenne colonia augustea e vi furono costruite delle ricche domus, con mosaici pavimentali e un’arena, costituita da un recinto di forma ovale, circondato da un muro, e con sedili lignei, ritrovata presso il “Cinema Eolo”.

Al di sotto dell’arena sono state rinvenute tracce di un altare di V-IV sec. a.C., con molta probabilità pertinente a un santuario di Demetra e Kore (Persefone), di cui sono state scoperte anche numerosi pozzi votivi (bothroi), contenenti terrecotte di IV-III sec. a.C., tra cui busti delle dee recanti un porcellino (uno dei loro attributi). Nell’area di questo santuario sono stati scoperti anche numerosi pinakes rappresentanti divinità femminili, in cui sono identificabili Cibale, Kore, Hera (?), o sacerdotesse che compiono riti sacri, danzatrici e suonatrici.

Oltre a ciò, scarse sono le tracce della città romana, più ricche invece quelle della sua necropoli, impiantata su quella greca, in contrada Diana, di cui spesso riutilizza le sepolture. Le tombe sono riunite in raggruppamenti interni, tutte rivolte con la testa a sud, in filari pressoché regolari.

Il rituale greco presenta, per la maggioranza, tombe a inumazione, ma ci sono anche sepolture a cremazione. Molte le inumazioni in sarcofago (a lastroni di pietra, soprattutto; ma anche a bauletto; in terracotta, cotti in un solo pezzo;) o in mattoni crudi, coperti da una lastra di pietra. Le inumazioni dei bambini sono in skaphe (culla) a forma di vasca, in terracotta.

Sono attestate delle tombe alla cappuccina, che presentano dei corredi più poveri. I corredi sono sempre esterni, racchiusi entro vasi di una certa grandezza di varie forme (anfore, pithoi, stamnoi, crateri, ecc.). Altre volte in questi vasi sono contenuti i resti delle cremazioni.

Altre tombe, comprese tra il IV e il III secolo a.C. (precedenti all’occupazione della città da parte dei romani) hanno restituito tombe a inumazione entro sarcofagi litici, più curati dei precedenti, dipinti o stuccati all’interno.

Talvolta le tombe più ricche presentano due corredi, uno interno e uno esterno. In queste tombe sono stati rinvenuti i vasi figurati, oggi conservati al Museo di Lipari.

Le tombe successive alla conquista romana dell’isola (comprese tra il III e il I sec. a.C.) sono caratterizzate da corredi molto poveri e sono quasi tutte “alla cappuccina”. In corredo si riduce a pochi vasi di argilla grezza. Più frequenti i rinvenimenti di piccoli oggetti di oreficeria.

In età augustea si diffonde l’uso di riusare i sarcofagi greci per contenere nuove inumazioni, ma anche quello di costruire tombe monumentali (entro recinti, a camera ipogea) appartenenti a persone della stessa famiglia.

Altri gruppi di tombe sono stati rinvenuti nelle contrade di Pertinenti  e Sant’Anna. Inoltre, presso la collina di San Nicola sono stati ritrovate tombe familiari ipogee, con nicchie e loculi per contenere urne e sarcofagi.

Delle necropoli di epoca cristiana abbiamo delle tombe polisomi (per più corpi).

La coroplastica di Lipari ci ha lasciato centinaia di terrecotte figurate di argomento teatrale, ma si tratta, anche in questo caso, di offerte funerarie (si trovano, infatti, in tombe del IV secolo a.C.), essendo un simbolo del culto di Dioniso, il cui culto a Lipari doveva essere ampiamente diffuso. Si tratta di maschere della tragedia e della commedia greca, cui si aggiungono maschere a carattere satiresco.

Dai numerosi scavi subacquei presso le isole Eolie sono stati rinvenuti molto reperti provenienti da relitti naufragati in varie epoche nei punti più insidiosi dell’arcipelago. Le navi non si sono conservate, ma resta il carico, composto soprattutto da anfore, ma anche ceramiche e parti della nave in materiale non deperibile, come le anfore.

Fra i relitti rinvenuti nei pressi di Lipari è da ricordare quello scoperto presso la Secca di Capistello contenente anfore greco-italiche e ceramica a vernice nera.

 

STROMBOLI

In quest’isola è da ricordare un insediamento preistorico in località Ginostra, che ha restituito frammenti ceramici dello stile di Capo Graziano. Nella stessa area sono stati rinvenuti frammenti ceramici di epoca ellenistico-romana, mentre insediamenti di età classica sono nei pressi della chiesa di San Vincenzo e a Labronzo. In località Scari è stata scoperta una necropoli con tombe del IV-III secolo a.C.

 

PANAREA

L’isola di Panarea è stata abitata sin dal Neolitico. Sono state rinvenute ceramiche dello stile di Serra d’Alto e dello stile di Diana, e, riferiti alla stessa fase, numerosi frammenti di selce, alcuni adoperati come cuspidi di frecce, raccolti sul punto più alto dell’isola, a Timpone del Corvo, pertinenti a un luogo di culto.

Dello stesso periodo è il giacimento di ceramiche, selci e ossidiana rinvenuto in località Calcara, un a conca sulla costa di N/E aperta verso il mare, di non facile accesso. Nella zona di Piano Quartara sono state rinvenute tracce di uno stanziamento della fase che proprio da questo sito prende  il nome (2000 a.C.).

Resti riferibili alla cultura di Capo Graziano (secoli XVIII – XVII fino al 1400 a.C.) sono stati trovati sulla Punta di Peppa Maria e il località Calcara, in cui sono stati messi in luce dei pozzetti circolari, resi con grossi ciottoli uniti da fango vulcanico. Probabilmente questi pozzetti erano destinati alla conservazione di cereali e altre derrate alimentari.

Sopra questi era uno strato di epoca greca e romana ricco di ceramica a vernice nera (dal IV al I secolo a.C.) e ceramica romana (del I-II secolo d.C.).

Sempre su quest’isola è un altro insediamento noto come Punta del Milazzese che da il nome alla facies omonima. Il villaggio è posto su un promontorio a SW/E dell’isola, con pareti verticali, perciò naturalmente fortificato. In questa zona sono state messe in luce alcune capanne ovali, tranne una rettangolare, alcune delle quali chiuse entro un recinto, forse utilizzato come deposito delle provviste. Alcune di queste capanne mostrarono un piano lastricato all’interno e delle banchine lungo le pareti, e vi furono rinvenuti mortai, macine, lastroni in pietra che ne costituivano l’arredamento.

Il villaggio è stato sottoposto a una distruzione brutale e improvvisa, come dimostra il fatto di aver ritrovato i vasi all’interno delle capanne. Le ceramiche ivi rinvenute sono quelle che caratterizzano la facies, si tratta quindi di tazze su alto piede tubolare, bottiglie ovoidali, frammenti di grandi orci a nervature, piccoli pithoi a sei anse, orci ovoidali e biconici, fruttiere su piede conico, grandi teglie. Inoltre, piccoli vasetti, corni-amuleti, fuseruole, uncini, alari. Sono, infine, da ricordare alcune ceramiche di importazione dalla penisola italiana, attribuibili alla civiltà appenninica, e ceramiche micenee.

Non sono stati, finora, ritrovati siti riferibili alla tarda età del Bronzo e alla prima età del Ferro, segno che dopo la distruzione del villaggio del Milazzese l’isola è rimasta pressoché disabitata.

In località Castello del Salvamento sono stati rinvenuti frammenti ceramici di età greca (V secolo a.C.). In vari punti dell’isola sono stati trovati frammenti ceramici a vernice nera di epoca ellenistica e romana, mentre sulla Punta di Peppa Maria sono stati individuati resti di modeste case romane.

Presso le spiagge di San Pietro e Drauto sono state scoperte numerose tombe riferibili all’età romana (I secolo d.C.).

Nell’isolotto di Lisca Bianca sono stati rinvenuti frammenti di ceramica di epoca ellenistico-romana. Nell’isolotto di Basiluzzo sono stati trovati anche frammenti ceramici di impasto preistorico, frammenti di epoca ellenistico-romana e una stele funeraria del IV secolo a.C. e resti di una villa romana con mosaici pavimentali e un piccolo approdo (darsena) in calcestruzzo, oggi sommerso dal mare.

 

VULCANO

Anticamente era denominata Hierà, sacra, ma anche Hierà Ephaistou (sacra ad Efesto, il fabbro degli dei, che pare che avesse la sua officina sotto un vulcano), però sull'isola non sono state rintracciate testimonianze di culto offerte a questa divinità, né, allo stato delle attuali conoscenze, sappiamo di abitati di epoca antica sull’isola.

Presso Punta Crapazza, fra Lipari e Vulcano, è stato scoperto un relitto di età imperiale romana che ha restituito un carico di lingotti di stagno di probabile provenienza spagnola.

 

SALINA

Il suo nome antico era Didyme, che significa “gemelli”, deve questo nome dei due vulcani dell’isola, ormai spenti: Fossa delle Felci e Monte dei Porri. Il nome attuale deriva da un laghetto dal quale si estraeva il sale.

In località Malfa è stata scoperta una tomba risalente all’età dei metalli (seconda metà del III millennio a.C.), che ha restituito alcuni vasetti decorati con punti impressi e frammenti di ossidiana.

In località Serro dei Cianfi sono state evidenziate tracce di un insediamento delle fasi di Capo Graziano e del Milazzese, di cui è stato rinvenuto soltanto un accumulo di terreno ricco di reperti ceramici, fra cui, oltre quelle delle fasi in esame, molte ceramiche di importazione.

In località La Portella è stato trovato un abitato immediatamente seguente a quello di Serro di Cianfi, non più adatto alla difesa della popolazione. La nuova sistemazione offriva una condizione più favorevole, essendo naturalmente difeso, posto tra due canali dovuti all’erosione. Le capanne, ivi ritrovate, sono circolari, seminterrate, erose dal lato volto verso il mare. Esse presentano forti segni di distruzione violenta. Sono stati scoperti molti pithoi, orci, teglie, fruttiere tipiche del periodo, coppe su alto piede tubolare, olle, bottiglie, fuseruole, piccoli vasetti, macine, mulinelli, pestelli, mortai; le ceramiche d’importazione sono sia “appenniniche” che micenee. Di importazione micenea è una lunga collana di pietra dura, pasta vitrea e pastiglie bianche, azzurre e verdi.

Sul dosso detto Serro d’Acqua sono stati rinvenute ceramiche del VI – V secolo a.C. che sarebbero riferibili alle prime tracce greche sull’isola.

Nella zona di Santa Marina sono stati portati alla luce resti che vanno dal IV sec. a.C. all’epoca romana imperiale, con resti di abitazioni sulla riva del mare (oggi coperte dalla strada costiera) e alcune tombe.

Varie tracce riferibili a piccoli nuclei abitativi a carattere agricolo del periodo romano sono stati portati alla luce in vari punti dell’isola, di cui restano tombe a cappuccina e frammenti ceramici; altrove sono stati trovate iscrizioni funerarie di età ellenistica tarda.

 

FILICUDI

L’antico nome di Filicudi era Phoenicusa (cioè, “ricca di felci”).

Sull’isola sono state trovate ceramiche neolitiche dello stile di Diana (3000 a.C.), trovati presso il villaggio della Montagnola di Capo Graziano. Ai secoli XVIII e XVII a.C. è riferibile il villaggio di capanne ovali posto in località Piana del Porto. Le capanne sono state costruite rozzamente, con grossi ciottoli, e hanno subito numerose ricostruzioni. In questo villaggio sono state rinvenute ceramiche della fase di Capo Graziano.

Immediatamente successivo a questo abitato, è quello sulla Montagnola di Capo Graziano che dà il nome alla facies. Lo spostamento su questa zona, naturalmente fortificata, fu sicuramente necessario a causa di attacchi nemici provenienti dal mare.

Dagli scavi sono venute alla luce delle capanne ovali, parzialmente infossate, che recano tracce di rifacimenti successivi; esse sono strutturalmente più curate di quelle della fase precedente di Piana del Porto. Le ceramiche rinvenute in questo villaggio sono, ovviamente, della fase di Capo Graziano, con alcuni ritrovamenti minori della fase del Milazzese. Come ceramiche d’importazione ci sono quelle egee (Miceneo I e II).

Anfratti naturali sono stati adoperati da queste genti per le sepolture per più individui, del tipo entro grotticelle artificiali, riferibili alla fase abitativa più antica.

All’età greca e romana sono riferibili scarse tracce di abitati testimoniati da ceramiche a vernice nera e di terra sigillata rinvenute in località Seccagni e Zuzzo Grande.

In località Piano del Porto è stata scoperta una cisterna romana.

ALICUDI

L'antico nome Ericusa è dovuto alla ricca vegetazione di erica dell’isola.

Qui è stato scoperto un abitato della fase di Capo Graziano, presso la zona del Porto e in contrada Pantalucci e contrada Fucile, e in altre zone piane dell’isola corrispondenti ad antichi crateri.

Lungo tutta la costa est dell’isola sono state rinvenute ceramiche di epoca romana.


 

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