La foce del fiume Mazaro costituisce un ottimo riparo naturale utilizzato dall’uomo sin dai tempi più antichi. I primi a sfruttarlo furono i Fenici che ne fecero un punto di riferimento per i loro traffici marittimi nel Mediterraneo.
Intorno al 600 a. C. sopravvennero i Greci di Selinunte che trasformarono il porto canale in ricco “Emporium ” commerciale ospitandovi anche la flotta militare della loro città-stato, e quando nel 409 a.C. i Cartaginesi decisero di assalire Selinunte distruggendola, Mazara divenne testa di ponte con l’Africa.
Sotto i Romani il porto continua le sue funzioni, l’Imperatore Antonio Pio (primo secolo d.C.) lo cita tra i principali porti del mare africano. Nel 1930 nell’effettuare alcuni scavi all’imboccatura del porto, vennero scoperti due moli sommersi che si ritiene risalgano proprio ad epoca romana.
Il porto canale visse un periodo di grande fulgore con l’avvento degli Arabi che sbarcarono a Mazara nell’827, ponendo la città a capo di uno dei tre distretti amministrativi in cui divisero la Sicilia.
Dopo i Musulmani, Mazara restò porto tra i maggiori dell’Isola e tutti i portolani dell’epoca ne parlano. Nella tabella pisana del 1150, al terzo posto dopo Palermo e Messina è citato il porto di Mazara.
Nel medioevo Mazara ospitò commercianti pisani, genovesi, veneziani e catalani, che trafficavano con l’Africa e con la Spagna esportando cotone, grano e cuoio ed importando spezie, sete e panni. A partire dal 1400 il porto ebbe un periodo di decadenza, si risollevò a partire dai primi del 1800, anni in cui si svilupparono i primi traffici vinari via mare.
Poi gradualmente cominciò a formarsi la flotta peschereccia, che oggi è la prima d’Italia, con le sue oltre 4330 unità tra grandi e piccole.
Fino al 1920 si tratta di piccole paranze a vela, poi si passò gradualmente al motore sino a giungere ai modernissimi pescherecci d’altura in ferro di oggi che vanno a gettare le reti financo in lontanissimi mari dell’Africa Occidentale.
Oggi il porto, oltre alla importante flotta peschereccia, ospita un traffico commerciale in costante aumento e per un suo decollo definitivo attende un ulteriore sviluppo turistico-commerciale fondato nella peculiarità di essere il punto di imbarco italiano più vicino al continente africano.
LA FABBRICA DEI TEMPLI: LE CAVE DI CUSA
Allontanandoci da Selinunte col ricordo ancora nitido dei maestosi templi, basterà percorrere un breve tratto di strada verso Castelvetrano per vedere e capire come essi furono costruiti.
Nei pressi di Campobello di Mazara, le Cave di Cusa, la più suggestiva fabbrica naturale di materiali da costruzione d’epoca greca, sono uno spettacolo remoto. In un’area a più dislivelli, aspra e verde, ci si imbatte d’improvviso in un tamburo cilindrico di colonna già tagliato e pronto per essere trasportato al tempio.
Sembra di essere catapultati indietro nel momento fatale, quando il lavoro di preparazione e di trasporto dei tamburi venne bruscamente interrotto dai Selinuntini, forse per l’arrivo delle truppe cartaginesi che avrebbero distrutto la città.
Affiora dal terreno il calcare tufaceo; sulla roccia sono ben visibili i tagli profondi; a distanza fra loro, altri rocchi di gigantesche colonne rimasti in diversi stadi di lavorazione, dalle prime incisioni circolari fino ai rocchi finiti, che attesero invano solo di essere distaccati dal fondo del banco calcareo per diventare templi.
IL SATIRO
Il Satiro venne alla luce tra la primavera inoltrata del 1997 ed il 4 marzo del 1998.
La statua venne rinvenuta in due tempi. Per prima la gamba sinistra nella primavera del 1997; seguì quasi un anno dopo il corpo privo dell’altra gamba e delle braccia. La notizia prestissimo travalicò i limiti ristretti dell’ambiente scientifico, divenendo immediatamente oggetto d’attenzione per le principali testate giornalistiche nazionali ed intenzionali. Al capezzale del Satiro, si precipitarono anche le più alte cariche dello Stato e della Regione nel campo dei beni culturali. La nobiltà del “personaggio” e la sua scoperta non potevano meritare meno come si andò comprendendo con il passare del tempo.
Per il Satiro si scelse subito “l’ospedale” migliore d’Italia al fine di alleviare le pene del tempo e del mare che avevano pesantemente compromesso la sua natura e la sua consistenza. Approdò nella capitale e fu affidato alle amorevoli cure degli ottimi tecnici dell’Istituto Centrale del Restauro che, a loro volta, lo affidarono ad altri, specialisti per integrare le loro conoscenze con quelle derivanti da altri tipi di indagini specialistiche. Al momento è verosimile ipotizzare che la statua facesse parte del carico di una nave naufragata tra la Sicilia e Capo Bon in un periodo di massima diffusione del commercio antiquario nell’antichità. Difficilmente un oggetto del genere poteva appartenere ad un’imbarcazione che trasportava rottami di bronzo da rifondere. Si doveva trattare, pertanto, di oggetti trasportati o depredati in funzione di un ricco commercio di opere d’arte destinate ai fiorenti mercati romani della Sicilia o della penisola.
Al momento in cui fu recuperato si parlò di una figura di Eolo, per via dell’impetuoso movimento e delle orecchie aguzze che conosciamo nella personificazione dei Venti. La qualifica di “Satiro in estasi” nacque dal confronto con le innumerevoli riproduzioni antiche su gemme e rilievi che completano il gesto e gli attributi. Fin dall’epoca arcaica la ceramica ateniese illustra le Baccanti impegnate nella danza circolare, simili figure appaiono sbalzate intorno al 400 su di un cratere in lamina bronzea, dove le donne scuotono la chioma vibrante.