Termini Imerese ha accarezzato a lungo l’idea di uno sviluppo industriale diffuso, capace di dare lavoro e benessere alla gente di un intero comprensorio.
Nacque così l’agglomerato industriale, nei pressi dell’autostrada Palermo-Catania, che tante speranze alimentò negli anni 70, in larga parte deluse da una politica industriale capace soltanto di creare «cattedrali nel deserto» o «cittadelle-fantasma».
Ma adesso i termitani hanno cambiato strada, affidandosi ad un progetto che mira a valorizzare globalmente il territorio non rinunciando all’industria ma guardando anche alla «risorsa-mare» alla «risorsa-cultura», alla «risorsa-ambiente».
Oggi Termini Imerese guarda con interesse principalmente al «polmone verde» delle Madonie che ha alle spalle, e alle zone interne della valle del Torto del Corleonese il contesto ambientale in cui sorge la città è davvero originale e affascinante si trova adagiata, infatti ad anfiteatro ai piedi di monte San Calogero che degrada lentamente verso il mare.
L’area in cui sorge è stata popolata fin dalla preistoria (come dimostrano i reperti archeologici conservati nel museo civico) tanto che si tramanda la leggenda di un Ercole, stanco per le mitiche «fatiche» che trovò riposo nelle carezze delle abbondanti acque termali. Non a caso il nome di «Thermae Imerenses» dato a questa città, dopo la distruzione della celebre Himera, avvenuta nel 409 ad opera dei Cartaginesi. Himera venne fondata nel 648 a.C. dai Greci, fu luogo di cruente battaglie in occasione della prima e della seconda guerra punica, ma anche luogo di civiltà, come testimoniano i resti archeologici del tempio della Vittoria, l’area sacra con altri quattro templi, la sua necropoli. Termini Imerese, conquistata dai Romani nel 252 a.C., divenne città decumana ed ebbe il privilegio della zecca.
Girando per la città si possono ancora ammirare i resti dell’anfiteatro romano, i cui ruderi si trovano nel giardino dell’ex monastero delle Clarisse. Doveva avere 14 ordini di posti e poteva contenere circa 4.000 spettatori. In piazza Duomo si trova il palazzo municipale, edificato nel 1610, la cui sala del consiglio è stata affrescata dal pittore Vincenzo La Barbera. E’ possibile vedere anche i resti dell’antico castello, distrutto nel 1860. Visitare il Museo civico è «obbligatorio»: è diviso in sezioni e custodisce preziose opere d’arte.
Il Duomo di Termini venne edificato nel XV secolo, ricostruito nel XVII per essere infine completato nel 1912. Ha una pianta a croce latina con transetto e vi si trovano cinque altorilievi di Ignazio Marabitti e di Federico Siracusa, la Vergine del Ponte del Marabitti, la statua della Madonna della Mazza di Giorgio da Milano, una statua del ‘500 dell’Immacolata, un crocifisso in legno di Giacomo Di Leo, una croce dipinta di Pietro Ruzzolone e una portantina settecentesca. Il «gioiello», però, è rappresentato dall’antica cappella del Beato Agostino Novello, patrono di Termini.
Belle le pitture murali, risalenti alla seconda metà del XVII secolo, che raffigurano due significativi momenti della vita del Beato: quella di sinistra rappresenta il momento in cui il Beato Agostino Novello riceve dal Papa Nicolo IV il mandato di penitenziere pontificio con la consegna della chiave; quella di destra rappresenta, invece, il Beato che consegna la veste religiosa ad un guerriero tra i nobili ed ecclesiastici presenti.
Oltre al duomo, da visitare anche la chiesa di San Francesco, quella di Santa Caterina, la chiesa e il Convento di San Marco, la chiesa di santa Maria della Misericordia e della Consolazione.
La ricchezza culturale di Termini si può misurare anche con la presenza dì numerose accademie, la Ereina, sorta nel 1767, la Euracea, fondata nel 1774 dal filosofo Antonio Comella Fileti; Giuseppe Cipri, invece, ha fondato la Biblioteca Liciniana che oggi annovera circa centomila volumi fra cui preziosi incunamboli e cinquecentine.
IL CARNEVALE TERMITANO
Una tradizione di cui i termitani vanno orgogliosi è quella del Carnevale, che si perpetua da oltre 100 anni. Ogni termitano, intatti «sente» il Carnevale con la stessa intensità di una festa religiosa e rivendica la maggiore anzianità del proprio Carnevale rispetto ad analoghe manifestazioni siciliane.
Una lapide del 1902, posta nel vecchio Ospizio di Mendicità, ricorda che il Comitato per il Carnevale aveva finanziato la ristrutturazione dell’ospizio stesso.
Da allora, anno dopo anno, il «nanno» e la «nanna», tipiche maschere termitane, hanno sfilato per le strade cittadine, insieme ai carri allegorici, ai cortei «appiedati», ai gruppi folcloristici, alle bande musicali.
L’ultimo giorno dì Carnevale, infine, non manca mai la lettura del «testamento» del «nonno», che rappresenta l’occasione per ironizzare sui difetti dei «potenti» della città. I pupazzi, quindi, vengono bruciati, a simboleggiare una sorta di catarsi della parte cattiva dell’animo umano, che dopo i bagordi della festa si dispone col capo chino alla penitenza del mercoledì delle Ceneri.
testo di Dino Paternostro tratto dall’opuscolo turistico della Provincia di Palermo