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a cura di C. Ossequio


La tipica immagine dei Templi di Agrigento presente in molti depliant turistici

Le prime tracce di vita nell’area di Agrigento risalgono all’epoca preistorica (presso il sito di Serraferlicchio sono stati rinvenuti reperti riferibili all’Eneolitico). 

La colonia greca fu fondata nel 581 a.C. da coloni rodiesi di Gela, che la chiamarono Akragas, granchio, dal nome del fiume omonimo che scorreva nei dintorni. 

La scelta del luogo fu determinata proprio dalle condizioni ambientali: la presenza di due fiumi (l’Akragas e l’Hypsas) e un costone roccioso, naturalmente fortificato.

Secondo una leggenda la città sarebbe sorta per volere di Acragante, figlio di Zeus e di una ninfa, secondo un’altra per volere di Dedalo che si innamorò di questo posto mentre lo sorvolava in volo, grazie alle ali che si era creato per sfuggire al labirinto di Minosse.

La città, subcolonia di Gela, ebbe in un primo momento i suoi stessi ordinamenti giuridici. Il primo tiranno della città, Falaride, fu l’artefice della potenza di Akragas e cominciò ad estendere il dominio della città sui territori limitrofi, ma il culmine della potenza agrigentina fu raggiunto sotto Terone, in seguito alla vittoria riportata sui Cartaginesi a Imera nel 480 a.C.

La città fu fortificata e riorganizzata la struttura interna urbana: si costruirono strade e opere di canalizzazione, si innalzarono le mura, rafforzate nei punti deboli da torri quadrate.

Proprio grazie a questa vittoria, alla ricchezza che ne seguì, fu realizzato quell’insieme maestoso che costituisce la Valle dei Templi, nella quale, in una decina d’anni, furono costruiti ben nove templi, di cui quello di Giove Olimpio è il terzo per grandezza dell’antichità. 

Anche la cultura di quel periodo era al suo apogeo: ad Agrigento visse in quegli anni il filosofo e matematico Empedocle, ma anche altri pensatori, poeti e artisti dell’antichità operarono nella città in quegli anni, si pensi a Pindaro, Mirone, Zeusi, Pitagora. 

Seguì un periodo di alterne vicende. La città restò neutrale nella guerra tra Atene e Siracusa e, nel 406 a.C., subì l’attacco dei Cartaginesi, che l’espugnarono e l’incendiarono, perdette così i suoi territori e diminuì la sua importanza.

In seguito, al tempo di Timoleonte, che vinse i Cartaginesi nel 340 a.C., riacquistò importanza e estese nuovamente i suoi domini (a questo periodo sono riferibili i resti del quartiere ellenistico-romano).

Durante le guerre puniche si alleò alternativamente con i Cartaginesi e con i Romani finché, nel 210 a.C., cadde definitivamente sotto i Romani che la chiamarono Agrigentum.

Sotto i Romani la città visse un periodo di prosperità economica (fu centro commerciale e agricolo insieme) e di ulteriore espansione urbanistica.

Nel periodo imperiale iniziò la sua decadenza e, a seguito delle invasioni barbariche subì, numerosi saccheggi. In seguito, fece parte del dominio bizantino e poi di quello arabo (sotto i quali si chiamò Girgenti). Solo nel 1927 acquistò il nome latino Agrigento. 

Fu dopo la Seconda Guerra Mondiale che cominciò ad Agrigento un’intensa campagna di scavi archeologici, che portò alla luce le vestigia della città antica.

Il tempio di Zeus Olimpio fu edificato per ringraziare il padre degli dei in occasione della vittoria del 480 a.C. degli agrigentini (alleati ai siracusani) sui Cartaginesi ad Himera. Era uno dei più maestosi dell’antichità, dopo quello l’Artemision di Efeso e di Apollonion di Selinunte (lungo 113 x 56,30 m.), con una trabeazione sostenuta da colonne alte più di 20 m. alle quali erano alternati i cosiddetti “Telamoni”, delle gigantesche statue con fattezze umane (alt. 7,5 m. circa), delle quali una si trova presso il Museo Archeologico Regionale. Molti dei blocchi tufacei presentano le caratteristiche incisioni ad U, entro le quali venivano fatte scorrere le corde che, collegate ad una sorta di gru, permettevano di sollevare e impilare i vari elementi.

Il tempio appare oggi completamente raso al suolo, e si suppone che non sia mai stato terminato. Esso non era circondato dal classico colonnato aperto, ma da un paramento continuo che chiudeva gli spazi tra le colonne che, all'interno, erano sostituiti da pilastri squadrati. 

Questa costruzione era del tutto innovativa: si tratta, infatti, di uno pseudo-periptero, in cui le colonne non circondano completamente il tempio, ma da un lato del muro esso sono sostituite da semicolonne. Lo stesso utilizzo dei Telamoni costituisce un unicum nell’architettura greca coloniale. Ma la funzione dei Telamoni non è solo decorativa e innovativa, essa è soprattutto statica, avendo come fine principale quello di accrescere la stabilità del colossale edificio. La cella era tripartita. Le decorazioni del tempio sono andate perdute completamente, ma dalle fonti storiche sappiamo che su un frontone era scolpita la lotta di Giove con i Giganti (Gigantomachia) e sull'altro scene della guerra di Troia.

Il tempio di Castore e Polluce o dei Dioscuri fu eretto nel V secolo a.C. Esso rappresenta il simbolo della città, ma di esso si conservano solo quattro colonne angolari, una parte della trabeazione e l’angolo del frontone. Costruito nel V sec. a.C. ma subì poco dopo l’attacco rovinoso dei Cartaginesi. Pare che fosse periptero (cella circondata su tutti i lati da colonne) ed esastilo (sei colonne sulla facciata). Ci restano anche un bel rosone e ai lati del tetto, grondaie a forma di testa di leone. Esso e' chiamato anche “tempio delle tre colonne”, poiché a causa di un'illusione ottica da vari punti di osservazione una colonna viene coperta dalle altre, facendo in modo che ne restino visibili solo tre delle quattro superstiti.

Santuario dedicato alle divinità ctonie. Si tratta di un complesso di costruzioni in prossimità della V Porta della città. Si tratta di edifici religiosi di varia grandezza, sacelli (bothroi) e altari   sorti tra il VII e il VI secolo a.C. dedicati alle dee ctonie (infernali), Kore (Persefone), regina degli Inferi, e la madre Demetra, dea della fertilità. Alcuni di questi edifici sembrerebbero precedenti alla nascita della città, per cui sarebbero legati a culti locali. Si distinguono due temenoi  (recinti sacri) di epoca arcaica, un altare quadrato, destinato probabilmente all'offerta sacrificale di porcellini, e un altro di forma circolare, con al centro un pozzetto sacro, esso era costruito a gradoni formati da massi squadrati e posti a cerchi concentrici di dimensioni sempre minori. Qui veniva verosimilmente compiuto il rito delle Tesmoforie, festa in onore di Demetra celebrata dalle donne sposate. Si aggiunsero a queste costruzioni dei templi, di piccole dimensioni, comunque con pronao e cella per il dio. Il complesso archeologico è stato scavato da Pirro Marconi nel primo ventennio del 1900. 

In lontananza, ultimo sulla linea immaginaria che collega tutti i templi della valle, si scorge il tempio di Efesto (il dio Vulcano dei Romani). Ne rimangono pochi resti. La leggenda racconta che il dio del fuoco avesse un'officina sotto l'Etna dove fabbricava i fulmini di Zeus aiutato dai ciclopi.  

Il tempio di Eracle (l’Ercole dei Romani) è il più antico del sito e sono visibili otto colonne rastremate (assottigliate verso l’alto per sembrare più alte). In stile dorico arcaico. Le vestigia ci permettono di indovinare l'eleganza di questo tempio, che oggi presenta in posizione eretta un allineamento su uno dei due lati lunghi di 8 colonne, rastremate, rialzate nella prima metà del '900. Era periptero ed esastilo. 

Sulla destra si oltrepassa la Villa Aurea, residenza di Sir Alexander Hardcastle, mecenate appassionato di archeologia che finanziò il risollevamento delle colonne del tempio di Eracle. Il tempio fu eretto nel VI sec. a.C., era simbolo della forza di Ercole e di Agrigento. Vi era custodita la statua in bronzo di Eracle, secondo la tradizione, mirabile opera di Mirone, il cui ginocchio era consumato dai baci dei fedeli. Di questa statua parlarono Cicerone, Tito Livio informandoci che essa era oggetto di un antichissimo culto.


La cosiddetta Tomba di Terone, grandioso monumento in pietra tufacea di forma troncopiramidale, il cui nome deriva dall’errata credenza che fosse il sepolcro del tiranno, risale in realtà all'epoca della dominazione romana e sarebbe un heroon (edificio atto a celebrare gli eroi caduti, che venivano così glorificati e resi pari agli dei) eretto in onore dei soldati caduti durante la seconda guerra punica. 

Era probabilmente coronato da un tetto a cuspide, il basamento quadrangolare, molto alto, è in blocchi squadrati di marmo, esso è coronato da una cornice e sostiene un secondo ordine ornato da porte cieche e, agli spigoli, da semicolonne ioniche. 

Il cosiddetto tempio della Concordia è uno dei templi meglio conservati dell'antichità e questo permette di apprezzare appieno la sua eleganza e l’armoniosa misura dello stile dorico. Dei templi di Agrigento è il solo giunto fino a noi nella sua quasi totale integrità. Esso fu edificato nel 430 a.C. e nel 597 d.C. fu trasformato in chiesa, dedicata ai Santi Pietro e Polo, di cui sono ancora testimoni le arcate inserite nelle mura della cella centrale, che venne così modificata, tuttavia, ciò ha permesso che il tempio giungesse integro fino a noi. In esso sono presenti imponenti colonne rastremate e la parte del fregio risulta decorata da triglifi e metope. E' stato costruito, si suppone, intorno all'anno 430 a.C., ma non si sa con certezza a chi fosse dedicato, il nome “Concordia” che gli è stato attribuito è dovuto a un'iscrizione latina trovata nelle vicinanze. Il tempio mostra il tipico procedimento di "correzione ottica": le colonne sono rastremate (si assottigliano cioè verso l'alto in modo da sembrare più alte) e presentano l'entasi (un piccolo rigonfiamento a circa 2/3 dell'altezza che elimina l'effetto ottico di assottigliamento), ma sono anche leggermente inclinate verso il centro del lato frontale. Tutto questo permette all'osservatore che si trovi ad una certa distanza dal tempio di cogliere un'immagine perfettamente diritta dell’insieme. Il fregio presenta la tipica alternanza di triglifi e metope, non ornate da bassorilievi. Originariamente aveva una decorazione a stucchi che simulava un rivestimento in marmo. Nemmeno il frontone era decorato. E' in stile dorico, presenta 6 colonne sui lati brevi e 13 sui lati lunghi. All'interno vi era la cella in cui veniva venerata la statua della divinità, preceduta da un pronao. Si notano due scale a chiocciola che permettevano di accedere al piano superiore. Il tempio e' volto come d’uso ad oriente perché Greci e Romani ritenevano che l'immagine della divinità dovesse guardare il sole che nasce. 

Il tempio di Hera Lacinia, che venne edificato intorno al V secolo a.C. e incendiato dai Cartaginesi nel 406 a.C., si possono ancora notare delle tracce di bruciato sulle pareti della cella). Ha mantenuto inalterato nel tempo parte del colonnato (parzialmente risollevato nel '900). Uscendo dal tempio verso est si trova ancora l'altare del tempio. L'appellativo “Lacinia” deriva da un'associazione impropria con il santuario che sorge nei pressi di Crotone, sul Promontorio Lacinio. All'interno si distinguono le colonne del pronao e dell'opistodomo ed il perimetro della cella. Ad oriente si conserva l'altare del tempio, mentre alle spalle dell'edificio è ancora visibile una cisterna.

Tempio di Asclepio. I resti di questo tempio del V sec. a.C. sorgono in mezzo alla campagna, essi furono riportati alla luce nel 1926. Era dedicato ad Asclepio (Esculapio per i Romani) dio della medicina figlio di Apollo del quale sembra vi fosse custodita una bellissima statua, opera di Mirone. Era un piccolo tempio in antis, con pseudoportico. 

Lungo una dorsale, impropriamente chiamata valle, e nella zona più a sud di questa, vennero eretti nell'arco di un secolo (il V sec. a.C.) i numerosi templi sopra descritti a dimostrazione della ricchezza della città. Gli edifici, incendiati dai Cartaginesi nel 406 a.C., vennero in seguito restaurati dai Romani (I sec. a.C.) che rispettarono l'originale stile dorico. Furono, forse, gli eventi sismici, e insieme la furia distruttrice dei cristiani contro le opere pagane, sostenuti da un editto dell'imperatore Teodosio (IV sec. d.C.), a determinare la definitiva rovina dei templi, infatti, l’unico rimasto quasi intatto è il cosiddetto tempio della Concordia, proprio per esser stato trasformato in chiesa, nel VI sec. Nel Medioevo l’area archeologica subì nuove demolizioni, i materiali di costruzione vennero predati e poi riutilizzati per innalzare nuovi edifici. In particolare il tempio di Zeus Olimpio fu rovinosamente spogliato, tanto da essere familiarmente chiamato “Cava dei Giganti” e fornì materiale costruttivo per la vicina Chiesa di S. Nicola e per il braccio del molo di Porto Empedocle costruito nel 1700. Tutti gli edifici sono orientati, per rispettare il criterio tipico di età classica, affinché la cella che ospitava la statua del dio fosse illuminata dal sole nascente. I templi sono, inoltre, tutti in stile dorico ed esastili, fatta eccezione per l’Olimpeion che presentava sette semicolonne incassate in un muro che chiudeva tutto l'edificio. I templi, costruiti in tufo calcareo, regalano allo spettatore una visione particolarmente coinvolgente all'alba e al tramonto, quando assumono una colorazione dorata. 

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