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a cura di C. Ossequio


Parco archeologico di Selinunte

La città greca di Selinunte fu fondata da coloni provenienti dalle città di Megara Iblea (in Sicilia, altra colonia greca) e di Megara Nisea (in Grecia).

La data di fondazione di Selinunte, dopo recenti studi e indagini archeologiche, viene indicata con quella tramandataci dallo storico greco Diodoro Siculo al 651-650 a.C., in contrasto con la versione di Tucidide che ne fissa la nascita della colonia al 629-628 a.C.

Il nome della città deriva o dal fiume che la delimitava a ovest, il Selinos, o dal nome corrispondente al greco appio selvatico (prezzemolo) le cui foglie sono riprodotte sulle monete antiche della città.

Dopo la battaglia di Imera fu fedele a Siracusa e una sua flotta partecipò alla Guerra del Peloponneso.

Nel 580 a.C. venne in conflitto con la città elima di Segesta per il possesso dei territori confinanti; presso Capo Lilibeo ci fu una battaglia che si risolse con la vittoria di Segesta. I conflitti di Segesta, che chiamò in soccorso i cartaginesi,  contro Selinunte e Siracusa, ricominciarono nel 416.

Selinunte venne distrutta dai vecchi alleati punici, nel 409 a.C.

La colonia di Selinunte sorse su una piana estremamente fertile, a picco sul mare, delimitata dalle foci di due fiumi: il Modione (antico Selinos) e il Cotone; l’acropoli era su una punta arroccata, in posizione dominante e facilmente difendibile, prospiciente ai due porti fluviali.

A nord si trovava la collina detta di Manuzza, occupata dalle abitazioni; sull’alto del colle era l’acropoli tagliata in quattro settori da due strade ortogonali; qui sorgevano i templi “A”, “C”, “D”, “O” e il piccolo tempio “B”.

Al di là del fiume Selinos – Modione era l’area sacra della dea Malophoros (Demetra).

Ad est della città sulla collina di Marinella vi è la seconda area sacra extraurbana, in cui sono sorti i templi “E”, “F”, “G”, ed “H”.

Sui fianchi dei colli Galera e Bagliazzo sono state trovate due necropoli a inumazione, con reperti protocorinzi e corinzi. Altre necropoli, a incinerazione, sono a nord–ovest del santuario di Demetra, in cui sono state trovate ceramiche del V secolo a.C.

Nell’architettura della Magna Grecia e della Sicilia si fusero elementi greci con elementi indigeni, che diedero all’architettura caratteristiche particolari; questo è estremamente evidente a Selinunte, poiché la colonia si trovava in una zona meno fortemente grecizzata, in cui il “canone” dorico venne usato con una certa liberalità interpretativa.

Imponenti mura e opere di terrazzamento circondavano la città, tra cui le fortificazioni di Ermocrate, con fossato e torre semicircolare, esse rappresentano un notevole esempio di architettura ellenistica militare. Di queste sono visibili solo modestissime vestigia, mentre le mura che circondavano l’acropoli sono quasi interamente conservate, sia nel tratto est, sia nel tratto volto a nord, dov’era la porta principale della città. Il complesso è ricco di passaggi sotterranei. Rifacimenti furono compiuti al tempo di Agatocle di Siracusa.

I TEMPLI SULL’ACROPOLI

E’ il punto nevralgico della colonia, qui erano i templi più importanti, l’agorà (mercato), il megaron e l’altare, il cosiddetto tempietto delle piccole metope, la stoà (portico colonnato, simile a un lungo corridoio) e il propylon (porta monumentale) del tempio “A”.

Dei templi “A” ed “O” si conosce poco. Si tratta di due piccoli edifici sacri di cui abbiamo pochi resti. Sono entrambi in stile dorico, orientati (cioè rivolti a est) risalenti alla prima metà del V secolo a.C.

Il tempio “O” pare che fosse dedicato a Poseidone, mentre quello “A” era dedicato ai Dioscuri, oppure ad una divinità femminile identificabile con Artemide o Latona (Kerényi).

Il tempio “O” è peggio conservato, e sono visibili solo le fondazioni del crepidoma (basamento gradinato del tempio) e la parte centrale della cella. La sua planimetria è simile a quella del tempio “A”. La cella è circondata da 6 colonne sui lati brevi e 14 sui lati lunghi.

L’interno è diviso in un pronao (vestibolo antistante la cella) in antis con doppia fila di colonne, una cella, una stanza intermedia e un opistodomo (parte posteriore del tempio) in antis con doppia fila di colonne.

La stanza intermedia è divisa dalla cella da un muro con una porta. Vicino a questo muro erano stati trovati dei tagli rettangolari nel pavimento, che sono stati interpretati come tracce del basamento della statua di culto. Dal pronao due scale a chiocciola conducevano al tetto, uso riscontrato in più templi selinuntini.

Il tempio “B” è posto oltre la strada che divide in due il temenos (recinto sacro), nella parte superiore. Era un piccolo tempio, dedicato ad Asclepio, il dio greco della medicina, molto popolare presso i  cartaginesi, presso cui era venerato con il nome di Eshmun. Il tempio è in stile misto: dorico e ionico.

Il tempio “C” è imponente e maestoso, eretto soli 70 anni dopo la fondazione della colonia (risale quindi alla metà del VI sec. a.C.), quindi, stando alle attuali conoscenze, dovrebbe essere il tempio più antico di Selinunte. Del tempio abbiamo solo poche rovine.

E’ in ordine dorico, orientato a est, esastilo, cioè con 6 colonne sui lati brevi e 17 sui lati lunghi. Era dedicato ad Apollo, come testimoniato da un’iscrizione trovata nell’acropoli.

Si sa che è stato rialzato lungo il lato nord circa un secolo fa. Esso poggia su un crepidoma di 4 gradini e sulla fronte presenta un’ampia scalinata a 8 gradini adducente al vestibolo che, inconsuetamente profondo, è sostenuto da 4 colonne. La cella, molto allungata, è stretta e termina con una ambiente chiuso, l’adyton (luogo “impenetrabile” a cui potevano accedere solo i sacerdoti e gli iniziati, spesso conteneva anche il tesoro del tempio). Mancano il pronao e l’opistodomo. La posizione dell’altare, nel mezzo della cella, induce a supporre che essa fosse ipetrale (senza tetto). Nella cella erano custoditi due altari ed era divisa in tre vani.

Le colonne del lato orientale sono monolitiche, non sappiamo se per aderenza alla tradizione corinzia o se per esigenze tecniche, quelle dei lati lunghi sono più sottili e composte da rocchi di altezze diverse.

Tutte queste particolarità sono dovute a uno stile architettonico proprio dell’area coloniale, che ricerca una maggiore libertà rispetto allo stile più rigido proprio della madrepatria greca, nonostante ciò nel capitello dorico si nota un rigido arcaismo.

Il fregio e il gocciolatoio sono modellati con energia, il forte aggetto dei triglifi contrasta con il piano delle metope, le quali sulla facciata sono scolpite al alto rilievo e fanno risaltare i personaggi raffigurati. Si distinguono la quadriga (carro a 4 cavalli) di Apollo, Perseo e la Gorgone che sembrano uscire dall’ombra, Eracle e i due folletti Cércopi, che sembrano sfilare.

Le metope e i triglifi sono conservate nel Museo Archeologico di Palermo.

La cornice del tetto aveva un ricco rivestimento di terrecotte dipinte, com’era in uso nei tempi delle colonie di Magna Grecia e Sicilia.

Di questa ricca decorazione un ruolo preminente occupa il Gorgoneion (maschera frontale dal volto mostruoso che aveva funzione apotropaica), a volte enorme, che occupava lo spazio del timpano, esso mostra caratteristiche arcaiche, che lo riconduce allo stile tardo Dedalico.

Proprio per questa arcaicità il  tempio è ritenuto il più antico della colonia greca.

Durante gli scavi realizzati tra il 1876 e il 1883 venne scoperto un piccolo deposito dei cretule, ossia piccole masse argillose con impronte di sigilli destinati a chiudere documenti ufficiali. Sui sigilli erano raffigurati Eracle e il toro, uno degli emblemi della città, questo lascia intendere che nel tempio, oltre alle normali funzioni religiose, si svolgevano attività amministrative.

Il tempio “D” presenta uno schema compositive simile a quello del tempio “C”, con adyton e ampio peristilio. Questo tempio presenta una rampa a 5 gradini di accesso al tempio e le 4 colonne davanti alla cella. Il tempio è esastilo e ha 13 colonne sui lati lunghi, è in ordine dorico e presenta un enorme altare appena fuori dall’ingresso orientale. Il pronao non è chiuso e non c’è nemmeno una porta che lo divida dalla cella. Delle protomi leonine sono usate come doccioni.

Questo tempio è stato eretto poco dopo la metà del Vi secolo ed era con molta probabilità dedicato alla dea Atena e all’interno della cella sono state trovate tracce del basamento della statua di culto.

Secondo il Cavallari era dedicato a Zeus Agoraios, come riferito da un passo di Erodoto.

 

L’AREA SACRA DELLA MARINELLA

A est dell’acropoli, oltre il fiume Cotone, è la collina di Marinella, dov’è la seconda zona sacra della colonia, con i templi “E”, “F” e “G”.

Tutti i templi dell’area sacra sono orientati e occupavano larga parte del temenos, in cui però non sono stati trovati altari.

Partendo da sud, incontriamo il tempio “E”, in stile dorico, periptero (cella completamente circondata sui quattro lati da una fila di colonne), con 6 colonne sui lati brevi e 15 sui lati lunghi. Risale al 460-450 a.C., ma l’inizio della sua costruzione risale almeno al 480. E’ realizzato in calcare tenero di color giallo chiaro.

Presenta una gradinata libera che conduce alla cella, che ha doppie ante, il pronao e l’opistodomo.

Questo tempio è molto simile a quelli della madrepatria, e anche all’interno le metope presentano uno schema simile a quelle del tempio di Zeus ad Olimpia.

Della decorazione architettonica ci restano solo quattro metope conservate nella sala di Selinunte del Museo Archeologico di Palermo. Queste metope erano realizzate con una sofisticata tecnica, detta “acrolitica”, che prevedeva l’aggiunta di inserti in marmo bianco nelle parti nude delle figure.

Sono raffigurati Atena e il gigante Encelado, Artemide di fronte ad Atteone sbranato dai cani, Apollo e Dafne, Eracle e Ippolita, la regina delle Amazzoni e le nozze sacre di Zeus. 

Circa la divinità titolare del tempio, non si sa con certezza, solitamente è considerato un Heranion, ma secondo alcuni studiosi esso era dedicato ad Afrodite.

Che sia un Heranion pare confermato da un’iscrizione trovata nella stanza interna  e dall’iconografia delle metope.

Il tempio fu oggetto di un procedimento detto “anastilosi”, che consiste nel innalzamento e nella ricomposizione con pezzi originali delle parti cadute, processo che oggi non ottiene più molti consensi.

Il tempio “F”, allineato al precedente, fu eretto intorno al 550-540 a.C. e conserva caratteri arcaici. Esso presenta una doppia fila di colonne sulla fronte e 14 sui lati lunghi, è senza opistodomo. Una particolarità colpisce la vista, cioè la presenza di un alto muro che corre fra le colonne esterne, che è un unicum nell’architettura greca.

Forse questo tempio era chiuso da questo muro per dei particolari rituali che vi si svolgevano, o forse, il muro aveva solo la funzione di proteggere e custodire gli ex-voto preziosi.

Anche qui troviamo la decorazione a metope.

Lo scavo avvenne ad opera di Angell ed Harris nel 1822-23 e le sue rovine sono limitate alle sole fondazioni. I quattro gradini del crepidoma supportano il primo colonnato di 6 x 14 colonne e un secondo colonnato, limitando lo spazio davanti al pronao. L’interno comprende il pronao, la cella e una stanza interna.

La cella è quella tipica dei templi delle colonie di Magna Grecia e Sicilia, lunga e stretta.

Pare che fosse dedicato ad Athena per le scene della Gigantomachia delle metope e per le matrici di ex-voto in terracotta rivolti alla dea, rinvenuti nell’area del tempio.

Il tempio “G” è un edificio colossale, per questa ragione è molto distante come tipologia da quelli della Grecia continentale. Mostra una gradinata libera sulla fronte, limitata alla larghezza della cella, che è molto ampia, tanto da far pensare che fosse ipetrale. L’interno comprende un pronao, il naos (cella) e l’opistodomo. Presenta 8 colonne sui lati brevi e 17 sui lati lunghi, la galleria tra cella e colonnato ha l’aspetto di una vera e propria navata essendo larga quasi 12 m. Il pronao è circondato su tre lati da colonne.

L’edificio pare che sia stato cominciato nel secolo VI a.C. e terminato, ma forse non completamente, come si vede dalla mancata scanalatura di tutte le colonne, solo un secolo dopo.

Questo tempio era dedicato ad Apollo o a Zeus Olimpio, e per la sua ricchezza e maestosità rappresenta una delle più grandi manifestazioni dell’ordine dorico della Magna Grecia e della Sicilia. Se fosse un Apollonion sarebbe il secondo tempio dedicato al dio a Selinunte (l’altro è il tempio “C”), sebbene il dio avesse un’importanza fondamentale in una colonia, possedendo anche l’epiteto di “Fondatore”.

Pare che la sua costruzione fu decisa dal tiranno Pithagoras, che presiedette anche all’apertura del cantiere verso il 520 a.C.

Esso, abbiamo già detto, ha dimensioni enormi (m. 110, 12 x 50, 07) ed è regolato da un fitto ammasso di colonne, è carico di sculture, cui fanno da contrasto vasti spazi liberi.

I resti delle fondazioni pavimentali mostrano che c’era una progressione di livelli verso l’alto dal pronao alla cella. Vicino al muro posteriore della stanza intermedia c’è la base per la statua di culto e intorno ad essa sono visibili i tagli pavimentali per i sostegni del baldacchino.

Nell’area del tempio è stata rinvenuta una testa femminile, che indossa un polos, forse appartenente alla statua di culto.

In questa stessa area sacra si trova anche un tempio minore, noto come tempio “H”, posto più a sud degli altri. Presenta linee ed equilibri più classici. E’ il solo ad essere stato completamente restaurato in epoca moderna.

 

IL SANTUARIO DI DEMETRA MALOPHOROS

E’ un’area sacra a ovest della città, oltre il fiume Modione ed è stata identificata come uno dei più antichi  luoghi di culto della colonia.

Gli scavi furono condotti da F. S. Cavallai nel 1874 e continuati da Patricolo e Salinas nel tardo XIX secolo e completati da Gabrici nel 1925.

Le funzioni religiose ruotavano intorno all’area aperta dell’altare, costruito nel posto dove i primi coloni avrebbero fatto i loro sacrifici non appena arrivati nell’area dove sarebbe sorta la città; ma si sarebbero stabiliti sull’acropoli, più facilmente difendibile.

Nel tardo VII secolo fu costruito il primo megaron a ovest dell’altare. Le sue fondazioni erano in frammenti calcarei uniti col fango, una tecnica costruttiva paragonabile a quella del tempio “A” di Imera.

Nella prima metà del VI secolo fu costruito un secondo megaron sui resti del primo e l’altare venne ampliato.

Nel V secolo un doppio muro fu realizzato per circondare il temenos, nel quale furono costruiti altri due santuari dedicati ad Hecate Triformis e a Zeus Meilichios.

L’attività cultuale di questi santuari si ridusse molto, dopo il 409 a.C. quando Selinunte fu distrutta. Nel III secolo a.C. radicali trasformazioni furono fatte nella fabbrica del secondo megaron, quando esso sembra sia stato usato per riti punici.

Questo megaron è il primo esempio di tempio ampliato con una stanza intermedia. Un primitivo restauro è stato possibile grazie all’eccellente buono stato in cui si sono conservati i resti.

Il megaron non era periptero, ed era diviso in tre camere: un pronao chiuso, una cella e una stanza intermedia.

Il vano della porta del pronao ha una pesante porta e una griglia con dei cingoli metallici inseriti nei blocchi di pietra.

La soglia fra la cella e la stanza ovest fu mutilata durante le ultime modifiche, quindi, non si può dire con certezza se c’era una porta. E’ visibile un progressivo aumento della quota pavimentale in ogni stanza, culminante nella stanza interna, in cui era custodita la statua di culto.

Gabrici datò il secondo megaron al 580 a.C. circa, Gruben invece lo volle porre al 550, per la tecnica muraria bugnata.

Iscrizioni e oggetti votivi ci confermano l’attribuzione del santuario al culto di Demetra Malophoros (divinità che possedeva, secondo Pausania, un tempio a Megara Nisea, che introdusse il culto nella subcolonia di Selinunte attraverso Megara Iblea). Il culto è anche attestato in un’iscrizione trovata nel tempio “G”.

I doni votivi (ex-voto) rinvenuti nel santuario sono quelli tipici scoperti in Sicilia in altri santuari di Demetra e Kore ed erano concentrati soprattutto nell’area dell’altare. Si tratta di statuette in terracotta datate tra il VII e il IV secolo a.C. e sono figurine dedaliche con polos.

Nella prima metà del IV secolo il cosiddetto “Gruppo di Afrodite” è il più copioso; intorno al 500 a.C. appaiono i maiali come attributi della dea Demetra, a cui sono associati anche maschere e busti; altri oggetti aventi funzione di ex-voto sono unguentari di terracotta a forma di melagrane.

La prima fase del culto appare quindi con chiare caratteristiche greche, priva di influenze locali.

Demetra Malophoros, cioè “portatrice di frutti”, era una dea associata ai riti funerari, essendo una divinità ctonia. Nel santuario, infatti, si svolgevano rituali e sacrifici funebri che culminavano con la processione verso le necropoli.

Recenti scavi presso la necropoli di Manicalunga hanno messo in luce tombe pre-elleniche, contenenti ceramiche indigene, per cui è probabile che l’area fosse occupata da un insediamento indigeno.

Nel 1871 il Cavallari, dopo aver scavato parte della necropoli che il santuario della Malophoros fosse un posto di fermata tra queste processioni che univano la città con le necropoli.

A tutto il complesso si accedeva mediante dei Propilei monumentali databili a metà del V secolo a.C. Parte integrante dell’area sacra era il canale di pietra che raccoglieva le acque della fonte sacra.

Nell’area era anche il santuario di Zeus Meilichios (“dolce come il miele”) il cui culto era molto diffuso nelle colonie greche. A Zeus era affiancata una dea identificata ora con Hera, ora con Afrodite, detta “Meilichia”.

Notevole rilievo ebbe il culto di Erakles (Ercole) a Selinunte, dove appare nelle vesti di colono e civilizzatore. Non si esclude che questo Erakles fosse in origine un Melkart fenicio ellenizzato.

I culti punici furono molto presenti nell’area prossima alla colonia, infatti dagli scavi sono emerse ben tre aree sacre puniche.

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