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Colle Madore, di Pietro Giordano


Il Colle Madore è un rilievo di modeste estenzione alto m. 779 s.l..m. in posizione quasi centrale tra la costa tirrenica e quella mediterranea distante in linea d’aria rispettivamente 30 e 50 km. ca. ed è collocato nell’alta vallata del fiume Torto proprio alle spalle dell’abitato moderno di Lercara Friddi, sullo spartiacque tra i bacini dei fiumi Torto e Platani.

Il rilievo ha forma allungata in senso Est-Ovest con pareti rocciose a strapiombo sul versante nord e nord-est; il versante più facilmente accessibile è quello meridionale, qui il terreno declina con decisa pendenza senza tuttavia costituire un ostacolo particolarmente difficile per l’accesso alla parte superiore del monte.

L’area occupata dal colle, nei limiti che possono interessare l’abitato indigeno, non supera i 5 ettari, va comunque precisato che l’immagine attuale esterna del Madore è profondamente trasformata a causa dell’intenso sfruttamento minerario del sito, per l’estrazione del gesso e dello zolfo.

L’idagine archeologica

In questo sito la Soprintendenza Beni Culturali di Palermo ha effettuato due brevi ma intense campagne di scavo rispettivamente nel 1995 e nel 1998.

L’esplorazione archeologica ha consentito di mettere in luce strutture pertinenti ad una prima fase di abitato indigeno (a partire almeno dall’VIII sec. a.C.) con resti di una capanna circolare, e di una successiva fase della seconda metà del VI sec. a.C., che denunzia una profonda ellenizzazione riscontrabile dall’alta percentuale di materiali importati e da alcuni aspetti legati alle tecniche costruttive delle strutture.

Una violenta distruzione è documentata nell’area di scavo tra la fine del VI e i primi del V sec. a. C., tuttavia la vita proseguì, anche se in tono ridotto, fino agli ultimi decenni del V sec. a.C.

Una frequentazione di età preistorica è documentata da frammenti di ceramica di Rodì-Vallelunga; in età arcaica si sviluppò un fiorente centro indigeno, legato sia alla buona posizione topografica sia alle diverse risorse dell’area. Con la metà del VI sec. a.C. l’influenza delle colonie greche, già percepibile a aprtire dalla fine del VII sec. a. C., crebbe sempre di più.

La cima del colle Madore dovette avere, con molta verisimiglianza, una destinazione sacra, organizzata forse con un piccolo santuario incentrato su un edificio circolare che probabilmente alla metà del VI secolo occupò il posto di un edificio più antico.

L’area esplorata si trova a sud della cima del colle, si tratta di un piccolo pendio ben definito sui quattro lati da confini naturali; esso è di forma irregolarmente quadrangolare ampio ca. 400 mq.

Tra i primi risultati l’individuazione di una strada orientata in senso est.ovest e costituitra nella metà orientale da un battuto compatto di roccia locale e nella restante parte pavimentata con un lastricato realizzato con blocchi di calcare compatto.

A nord della strada si rinvengono vari ambienti interpretati quali vani di servizio al sacello posto immediatamente a monte di essi; questi presentano almeno due fasi edilizie che sono direttamente in relazione con le vicende storiche del sito.

In uno di questi ambienti si sono rinvenuti una serie di fornelli realizzati in argilla che ci permette di considerare l’intero vano quale una vera e propria officina metallurgica.

Il sacello è un vano di forma rettangolare del quale si conservano solo parte dei muri perimetrali a livello di fondazione; al di sotto del piano pavimentale, costituito da roccia locale compattata, si sono rinvenuti parte dei materiali conservati presso la saletta espositiva attrezzata dal comune di Lercara Friddi nei locali della Biblioteca Comunale.

Tra il materiale esposto si segnalano: diverse laminee bronzee decorate a sbalzo tra cui due con volto antropomorfo (VII sec. a.C.), un modellino fittile di capanna circolare (VII-VI sec. a.C.), ed un grande pithos arcaico decorato con motivi impressi e incisi (fine VI-inizi V sec. a.C.); altro reperto di grande interesse è un edicola di pietra con bassorilievo di una figura maschile alla fontana interpretata come Eracle (VI sec. a.C.)

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