Il
              sito fenicio-punico di Mozia (Mothya) occupa un’isola
              piccolissima nello Stagnone di Marsala, compresa tra la costa
              siciliana a est e dall’Isola Lunga a ovest. L’isola si
              presenta completamente piatta e bassa, priva di scogliere.
              
              
              
La
              Mothya fenicio-punica (il cui nome significa “filanda”) fu
              fondata nell’VIII secolo a.C., in seguito all’arrivo dei
              coloni greci, che costrinse i Fenici a ritirarsi nelle loro
              fondazioni più occidentali (oltre a Mozia, Palermo e Solunto). 
              
              
              
Nel
              secolo VI, a causa del complicarsi dei rapporti tra i Greci e i
              Fenici che occupavano la Sicilia, 
              sorsero sull’isola di Mozia alte mura di difesa, nelle
              quali si possono osservare ancora le tracce dell’incendio
              dell’esercito di Dionigi di Siracusa (nel 397 a.C.). In seguito
              a questo attacco cruento la popolazione si spostò dall’isola a
              Lilibeo (Marsala), ma, i rinvenimenti testimoniano che la vita
              sull’isola continuò anche nelle epoche successive. 
              
              Gli
              scavi a Mozia cominciarono nel 1875 quando giunse sull’isola
              Heinrich Schliemann che,  non
              soddisfatto dei risultati raggiunti, ripartì poco dopo. 
              
              
              
Ma la scoperta del sito archeologico di Mozia è dovuta ad un ricco
              commerciante inglese, Joseph Whitaker, che comprò l’isola e vi fondò il Museo che da lui prende il nome, in
              cui sono custoditi i reperti recuperati negli scavi.
              Il sito fenicio-punico era stato edificato in modo da
              garantire facile approdo, necessario ai fini commerciali, e nello
              stesso tempo difendibilità al luogo, infatti, sono stati
              individuati ben due porti, uno artificiale e uno naturale, e
              inoltre, l’isola era anche collegata alla terra ferma da una
              strada, cosiddetta “strada di Birgi”, posta poco sotto il pelo
              dell’acqua e abbastanza larga da consentire il passaggio di due
              carri. Questa strada conduceva nella città attraverso la Porta
              Nord, fiancheggiata da due torri e meglio conservata della Porta
              Sud, anch’essa con due torri laterali, sappiamo che in origine
              c’erano altre due porte, che purtroppo non sono giunte fino a
              noi.
              
              
Tutta l’isola era circondata da mura, costruite nel VI
              secolo a.C. a difesa degli attacchi dei Greci, ma che hanno subito
              rifacimenti successivi, esse sono intervallate da torri di difesa
              di cui è ben conservata la torre orientale. 
              Presso la porta Sud si trova il porto artificiale, il Cothon,
              che era collegato al mare direttamente, mediante un canale scavato
              nel tufo. Era, in realtà, un bacino di carenaggio con darsena,
              per l’attracco delle navi, risalente al VI secolo a.C.
              In località Cappiddazzu, presso la Porta Nord, si trova un
              santuario e nel muro di cinta sono innestati i resti del basamento
              di un edificio a tre navate, con funzione cultuale, forse era un
              luogo in cui si praticava il culto del dio punico Baal Hammon.
              All’interno dell’edifico è stato scoperto un pozzetto per
              l’acqua lustrale, risalente al VII secolo a.C.
              A occidente dell’area di Cappiddazzu, a ridosso della
              cinta, è stata rinvenuta la necropoli arcaica, con circa duecento
              tombe a incinerazione, entro urne o anfore, poi conservate in
              pozzetti circolari. La necropoli fu utilizzata tra l’VIII e il
              VII secolo a.C., in seguito i morti furono sepolti in località
              Birgi, nei pressi della strada che collega l’isola alla
              terraferma. 
              Nelle necropoli furono rinvenuti corredi funebri pregiati,
              con oggetti d’importazione (vasi corinzi) e di stile
              fenicio-punico. 
              Proseguendo verso est si giunge al tophet,
              utilizzato dal VII secolo a.C. e posto presso un piccolo rilievo
              naturale. Qui, secondo la tradizione, erano sacrificati i bambini
              al dio Baal Hammon, le cui ceneri erano racchiuse entro urne con
              accanto statuette e maschere. Di recente, gli studiosi hanno
              avanzato l’ipotesi che questo fosse un cimitero per bambini
              morti per cause svariate, ma naturali e non imputabili al cruento
              rituale punico. 
              Procedendo verso il centro dell’isola si incontrano due
              settori di abitazioni che risalgono al periodo successivo alla
              distruzione di Dionisio di Siracusa. 
              Uno dei ritrovamenti più significativi rinvenuti
              nell’isola è una statua maschile, in marmo bianco, nota come
              “l’Efebo di Mozia”. 
              Essa è poco più grande del vero, essendo alta 1.81 m. pur
              priva dei piedi; mancano entrambe le braccia, ma possiamo
              ricostruirne la posizione, col braccio destro sollevato e il
              braccio sinistro poggiato sul fianco, su cui si vede ancora la
              mano; l’espressione è fiera e distaccata, il corpo è possente
              e ben si distinguono i particolari anatomici; indossa una sottile
              tunica a piegoline verticali; dagli studi recenti sarebbe stato
              messo in luce che la statua aveva degli attributi metallici ed era
              probabilmente dipinta. 
              Per la tecnica usata è da potersi attribuire a un artista
              greco (della Ionia?) del tardo arcaismo, cioè circa della metà
              del V secolo a.C. 
              Secondo l’archeologo Vincenzo Tusa essa raffigura un sufeta (magistrato punico) o un auriga trionfante. Secondo altri
              studiosi potrebbe rappresentare un dio. 
              
              Sono stati trovati importanti reperti di epoca ellenistico-romana nella
              parte a sud-est dell’isola, tra questi è da ricordare la
              cosiddetta Casa dei Mosaici, una casa di cui sono stati messi in
              luce atrio e peristilio e un pavimento a ciottoli di fiume
              bianchi, neri e grigi che raffigurano lotte tra animali (un
              grifone alato che rincorre una cerva ed un leone che assale un
              toro); inoltre, ricordiamo
              la Casa delle Anfore, di cui è stato messo in luce un vano che
              conteneva molte anfore puniche del tipo a siluro.
              E’ possibile ammirare i reperti degli scavi, compreso
              l’Efebo di Mozia, presso il Museo Whitaker, che si trova
              sull’isola.
              Vi sono inoltre conservate stele, vasi punici, attici,
              corinzi, italioti e statuette di dee madri.