La mattina del 4 dicembre 1563 il magnifico Castello di Carini divenne teatro di una terribile tragedia che sconvolse gli animi di quanti videro e seppero.
Donna Laura Lanza, moglie di Vincenzo La Grua, Barone di Carini, venne trovata dallo stesso in flagranza di adulterio con Ludovico Vernagallo, loro lontano parente.
Don Vincenzo non reagì direttamente contro i due amanti. Per calcolo o per viltà, fece avvisare nottetempo il suocero, il barone Don Cesare Lanza. Incarico che affidò al cugino carmelitano Frate Antonio del Bosco (lu munacheddu ‘ngratu). Il potente ed irascibile Don Cesare Lanza, Barone di Trabia, Conte di Mussomeli, Portulano del Regno, Vicario Ganerale per il Vallo di Mazara, Capitano d’arme in guerra, Pretore di Palermo, venne a Carini immediatamente, e, trovando la figlia Laura chiusa in una stanza con il suo amante, accecato di furore per l’onore tradito, armò la sua mano con un affilatissimo pugnale ed uccise la figlia mentre lei implorava perdono. Diede ordine al suo archibugiere di uccidere il Vernagallo, ponendo tragica fine ad un amore proibito.
I due amanti moribondi si cercarono ancora, ma le loro forze mancarono e Donna Laura nel sorreggersi si appoggiò al muro, sporcandolo con la mano insanguinata e lasciandovi sopra un’impronta.
Tutta la Sicilia rimase turbata dalla incredibile notizia.
La notorietà dei personaggi, la singolarità del caso, la crudeltà dell’evento, diedero spunto ad un poeta contemporaneo ai fatti, rimasto anonimo, di lasciare ai posteri una composizione poetica in vernacolo siciliano. Il poema venne tramandato fino ad oggi, grazie ai cuntastorie.
Il Prof. Salomone Marino raccolse in Sicilia e nel meridione d’Italia trecentonovantadue versioni dello stesso, e, nel 1914, diede alle stampe le risultanze del suo immane lavoro, tracciando definitivamente la realtà su come si erano svolti i fatti.
Il Prof. Salomone Marino, dopo ulteriori ricerche durate trent’anni, scoprì la vera storia della baronessa e con apprezzata onestà intellettuale, smentì anche se stesso sulle ipotesi leggendarie del “caso di Carini”, precedentemente pubblicate.
L’appassionato studioso, massimo collaboratore e amico del Pitrè, portò nuovo interesse verso la vicenda, tanto che molti altri scrittori e ricercatori si sono occupati del “caso della Baronessa”.
testo di Ciccio Randazzo