Arrivano le allergie… ma perche’?

Si diffondono “a macchia d’olio” le malattie allergiche in Italia, respiratorie ed alimentari, che colpiscono attualmente il 30-35% degli italiani. Dai pollini agli epiteli di cane e gatto, dagli acari della polvere alle muffe, le allergie sono un problema crescente ed entro il 2015 potrebbero colpire fino al 45% della popolazione in Italia.

Starnuti, naso che cola o chiuso, prurito e congiuntivite per le alte vie respiratorie, e asma bronchiale, mancanza di respiro, tosse secca o sibili nel torace per l’apparato respiratorio, nei casi più gravi: questi i principali sintomi di chi è affetto da una allergia respiratoria. Per spiegare l’aumento delle allergie vengono chiamati in causa l’inquinamento dell’aria e lo stile di vita dei Paesi più sviluppati che sembra non fornire più al sistema immunitario indicazioni per il corretto riconoscimento di sostanze di solito normalmente tollerate.

A fare il punto sulla diffusione delle allergie è l’allergologa Antonella Muraro, responsabile del Centro Allergie Alimentari della Regione Veneto presso l’Azienda Ospedaliera di Padova. “Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito ad un aumento costante dei pazienti allergici – ha detto – e, se la tendenza si manterrà analoga, nel 2015 si potrebbe arrivare ad un 40-45%”.

Attualmente 1 bambino su 4 è allergico ma si stima che nel 2020 1 su 2 nell’Unione Europea sarà affetto da malattia allergica cronica. In particolare risultano in aumento le allergie alimentari soprattutto nei bambini e nelle forme più gravi. Proprio nei bambini tali allergie caratteristicamente precedono la comparsa di quelle ambientali.

Le allergie più diffuse tra gli italiani sono quelle ai pollini, di cui soffrono ben 12 milioni di cittadini, spiega Guido Marcer dell’Azienda Ospedaliera dell’Università di Padova e presidente dell’Associazione Italiana di Aerobiologia (Aia). Di questi il 20%, circa 2,4 milioni, sono allergici ai pollini d’albero e per loro i problemi, sottolinea Marcer, cominciano già a fine gennaio. Molti sono allergici a più di una famiglia di pollini: ad esempio se ai pollini d’albero si aggiunge l’allergia alle graminacee, i sintomi possono durare da febbraio a giugno.

“Ad aggravare la situazione per molti di questi pazienti è l’allergia contemporanea a pollini e a frutta e verdura – sottolinea Muraro – con comparsa di prurito, bruciore e anche gonfiore al cavo orale per assunzione di frutta come mela, pera, pesca”.

Esistono siti che forniscono informazioni in tempo reale per la presenza di pollini in una specifica area come i siti delle Agenzie di protezione dell’ambiente regionali (Arpa) o il sito ilpolline.it dell’Aia.

“L’Aia – conferma Marcer – elabora i dati provenienti da tutta Italia e mette a punto dei veri e propri calendari pollinici per aree geografiche omogenee, strumento importante per gli allergici che possono conoscere l’andamento delle concentrazioni dei pollini nella loro zona di residenza e nelle località dove intendano recarsi per lavoro o per svago e programmare di conseguenza misure preventive e i farmaci da portare con sé”.

(fonte: sito ordine medici Palermo)

Ricerca: meno sclerosi multipla al sole

Un nuovo studio australiano indica che le persone che trascorrono più tempo al sole e quelle con più alti livelli di vitamina D, hanno meno probabilità di contrarre la sclerosi multipla (Sm), una malattia cronica del cervello e del midollo spinale che porta verso l’invalidità. Studi precedenti avevano esaminato pazienti di sclerosi multipla conclamata, mentre la ricerca del Collegio di Medicina dell’Università nazionale australiana ha studiato pazienti con sintomi preliminari, ma non ancora diagnosticati con la malattia.
“Altri studi hanno esaminato persone che già soffrono di SM ed è difficile sapere se la malattia stessa le abbia indotte a cambiare le loro abitudini al sole o nella dieta”, scrive l’autrice dello studio Robyn Lucas, sulla rivista americana Neurology.

“Il rischio di subire un primo evento sintomatologico è risultato significativamente più basso nelle persone con maggiore esposizione al sole”, aggiunge la studiosa. Questa ricerca è un passo avanti nella comprensione dei fattori di rischio che portano alla malattia, osserva.

Lo studio, condotto in una varietà di località, ha coinvolto 216 persone fra 18 e 59 anni che avevano subito un primo evento con sintomi del tipo osservato nella Sm. Ai partecipanti è stato chiesto quanto si siano esposti al sole in differenti periodi della vita, e i ricercatori hanno anche misurato l’estensione del danno alla pelle dovuto all’esposizione, e la quantità di melanina nella pelle.
I livelli di vitamina D, da esposizione al sole, da dieta e da uso di supplementi, sono stati misurati con analisi del sangue.

Fonte: sito ordine medici di Palermo

Proteina contro la sclerosi laterale amiotrofica

Scoperta una proteina che ne elimina le molecole tossiche

MILANO. Alcuni ricercatori milanesi hanno scoperto nei topi che una piccola proteina, la HspB8, favorisce l’eliminazione delle molecole tossiche responsabili della Sclerosi laterale amiotrofica. La scoperta potrebbe portare in futuro a preparare farmaci adatti a combattere questa grave malattia invalidante e incurabile anche nell’uomo. Lo studio, appena pubblicato su Human Molecular Genetics, è stato effettuato da Angelo Poletti e dai suoi scienziati dell’Università degli Studi di Milano, insieme a quelli dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. La ricerca è stata resa possibile grazie a finanziamenti di Telethon e Fondazione Cariplo.

Gli esperti sanno da tempo che i neuroni di un paziente con Sla contengono aggregati di proteine anomale, il cui accumulo può provocare la morte dei neuroni stessi (e quindi la progressiva paralisi dei movimenti nel paziente). L’accumulo di queste ‘scorie’ dipende da un complesso sistema di enzimi, chiamato proteasoma. Lo studio di Poletti e collaboratori dimostra che, nei topi, se viene aumentata la produzione della proteina HspB8 (che di solito si attiva in risposta a danni cellulari) si dà il via a uno speciale meccanismo che alla fine “rimuove quasi interamente dai motoneuroni le forme insolubili delle proteine neurotossiche responsabili della Sla”.

Quest’azione benefica della HspB8, continuano gli esperti, “impedisce che le proteine responsabili della morte cellulare possano accumularsi in aggregati intracellulari e/o che le proteine neur

Torna il rischio tubercolosi ?

In passato era chiamata mal sottile perché sembrava consumare le persone dentro. Ora è la malattia dei poveri e degli emarginati. Di tubercolosi infatti si continua a soffrire e morire, anche nel nostro Paese. Ogni anno nel mondo sono quasi 2 milioni, pari a 5.000 al giorno, le vittime di questa malattia che nel 2008 ha contagiato 9,4 milioni di persone. In Italia sono 5.000 i casi registrati all’anno, la maggior parte dei quali interessa persone migranti. A tirare le somme, è l’associazione Stop Tb Italia, che lancia l’allarme anche in vista dei prossimi mondiali di calcio.

In Sudafrica, infatti, dove la tisi è endemica, possono essere a rischio di contagio anche atleti, staff, autorità, giornalisti e tifosi. Stadi, mezzi di trasporto, ristoranti ed alberghi sono possibili luoghi di trasmissione della malattia. “Chi andrà ad assistere ai Mondiali di calcio – spiega Luigi Codecasa, responsabile del Centro Regionale per la Tbc dell’ospedale Niguarda di Milano – è bene che si sottoponga al test per la tbc se al rientro a casa non dovesse sentirsi bene e se i sintomi dovessero persistere per più giorni”.

Secondo l’ultimo rapporto dell’OMS “Global Tuberculosis Control 2009”, il 98% dei decessi avviene in Paesi in via di sviluppo, e le persone colpite hanno tra i 15 e i 50 anni. Il Sud Est asiatico e l’Africa rappresentano circa 1/3 dei casi, mentre in Europa ci sono solo il 5% dei casi mondiali. I primi cinque Paesi per numero di casi sono India (2 milioni), Cina (1 milione 300 mila), Indonesia (530mila), Nigeria (460 mila) e Sudafrica (460 mila). Nel continente nero vi è anche l’epicentro della tubercolosi a co-infezione con l’hiv, con oltre l’80% dei casi.

In Italia, la tubercolosi colpisce quasi 5.000 persone. A incidere sono soprattutto i ritardi diagnostici “di 3 mesi” e i “trattamenti scorretti cui vengono sottoposti i malati”. I più colpiti sono gli immigrati extracomunitari, costretti a vivere spesso in condizioni disagiate. In pochi anni il numero dei migranti con tbc è passato dal 22% nel 1999 al 43% nel 2007. “Va ricordato però – precisa Maria Grazia Pompa, direttore dell’ufficio malattie infettive del ministero della Salute – che queste persone si ammalano a 2 anni dal loro ingresso in Italia, a causa delle pessime condizioni in cui vivono, che indeboliscono le loro difese immunitarie. Altri soggetti a rischio, proprio per la loro debolezza, sono anziani e malati di Aids”.

A preoccupare gli esperti è anche la diffusione della tubercolosi multirestistente ai farmaci. Secondo l’Oms, su circa mezzo milione di casi l’anno, solo il 7% viene diagnosticato e trattato. Circa un terzo delle persone contagiate muore. I più colpiti sono i Paesi dell’ex Urss. “In Italia – aggiunge Franco Fattorini, dell’Iss – i numeri sono contenuti anche se in aumento. Si è passati dall’1,1% di casi nel ’98 a 2,7% nel 2008”. L’invito di medici e operatori è quello di destinare più risorse a strutture e farmaci per il trattamento della tbc. “Può capitare a tutti – conclude Pompa – di entrare in contatto con il batterio della tbc, che si sviluppa in forma attiva in 1 caso su 10. Cosa che può accadere anche a distanza di molti anni, finanche decenni. Riconoscere e curare tempestivamente questa malattia è quindi fondamentale”.

fonte: Ordine dei Medici Palermo

Influenza A: conosciamola meglio

QUANTO È PERICOLOSA:

“In termini di aggressività clinica è come una normale influenza – spiega Gianni Rezza, capo Dipartimento malattie infettive parassitarie e immunomediate dell’Istituto superiore di Sanità – la differenza sta nella velocità della diffusione e nel fatto che questa aumenta perché oggi non abbiamo gli anticorpi per difenderci. In pratica, a parità di pericolosità, si ammalano più persone e, quindi, è difficile evitare che si manifestino alcuni casi gravi, anche se la stragrande maggioranza saranno di gravità lieve o moderata”.

Secondo le stime dell’Oms, nei prossimi mesi in Europa sarà colpita una persona su tre.

Tuttavia, a partire dal 15 novembre il vaccino sarà subito diffuso tra gli operatori sanitari e i soggetti a rischio: anziani, persone affette da patologie croniche respiratorie o cardiovascolari e diabete, ma anche i giovani tra i 2 e i 27 anni, i maggiormente colpiti dal virus H1N1. Il governo prevede di vaccinare entro la fine di gennaio almeno il 40% della popolazione. Inoltre: “L’ipotesi che l’attuale variante del virus vada incontro a mutazioni che lo rendano maggiormente virulento – precisa Rezza – non si può del tutto escludere, ma sino ad ora non si sono manifestate mutazioni rilevanti”.

I SINTOMI, COME COMPORTARSI:

“I sintomi della Nuova influenza A – continua Rezza – sono simili a quelli che caratterizzano le forme influenzali che circolano durante l’inverno: febbre sopra i 38 gradi, sonnolenza, malessere, perdita di appetito. A questi si possono associare anche raffreddore, mal di gola, nausea, vomito e diarrea. Ci possono anche essere dei peggioramenti di alcune patologie croniche”.

Ma, è bene chiarire che chi avverte questi sintomi non deve preoccuparsi eccessivamente: solo quando sono insistenti e gravi può rivolgersi al proprio medico che, proprio perché abituato a gestire i casi di influenza, saprà come comportarsi. E, secondo l’Oms, in molti casi possono bastare antifebbrili e antinfiammatori.

GLI ANTIVIRALI, COME FUNZIONANO:

Gli antivirali zanamivir e oseltamivir combattono i virus dell’influenza agendo sulle neuraminidasi, ovvero le proteine utilizzate dai virus per entrare nelle cellule dell’organismo ospite. Questi sono efficaci contro i virus influenzali, sia il ceppo A sia il ceppo B. E quindi anche quello della nuova influenza l’H1N1, che è di tipo A.

“Gli antivirali – aggiunge Rezza – si possono acquistare solo su prescrizione medica ma sono farmaci di classe C, ovvero non sono rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale e, inoltre, sono molto costosi. Tuttavia il Ministero, durante l’emergenza, li distribuisce gratuitamente ai soggetti patologici che ne hanno bisogno. Adesso è inutile farne scorta: usarli senza motivo potrebbe procurare anche dei danni. Il rischio infatti è che insorgano virus resistenti al farmaco, rendendolo inutile qualora l’assunzione diventi davvero necessaria.

IL NUMERO VERDE PER CHI VIAGGIA:

Per chi viaggia c’è il “1500”. Chiamare non costa nulla, il servizio è gratuito ed è attivo tutti i giorni dalle ore 8 alle ore 20. Rispondono medici e operatori del Ministero, appositamente formati. Una voce chiederà all’utente di selezionare il servizio richiesto e di scegliere la linea: emergenza caldo oppure nuova influenza.

LE PRECAUZIONI PER CHI SI SPOSTA:

Chi parte deve stare tranquillo e adottare misure di sicurezza che consentono di limitare il contagio. Prima di tutto è necessario essere consapevoli del fatto che il virus si trasmette per via aerea.

Bisogna sempre preoccuparsi della cura dell’igiene, con particolare riguardo a quella delle mani, evitando di portarle agli occhi, al naso e alla bocca se non sono lavate; utilizzare fazzolettini a perdere, lavandosi le mani dopo l’uso; evitare di stare a stretto contatto (convivenza, colloquio di più ore a distanza ravvicinata) con una persona che presenti segni influenzali; evitare luoghi affollati.

Chi invece è già affetto da particolari patologie (disturbi respiratori, cardiovascolari e diabete) deve scegliere attentamente la meta da raggiungere. Meglio valutare con il proprio medico di famiglia l’opportunità di effettuare o meno un viaggio in aree interessate dall’influenza AH1N1.

FONTE: KATAWEB/SALUTE

Svelati i segreti delle epatiti croniche

Uno studio italiano svela il segreto delle epatiti croniche B e C: un difetto alle cellule ‘natural killer’ del sistema immunitario, i ‘sicari’ che nel nostro organismo hanno il compito di neutralizzare i virus. La ricerca – pubblicata su ‘Gastroenterology’, organo ufficiale della American Gastroenterological Association – è coordinata da Mario Mondelli della Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia. La scoperta apre la strada a nuove terapie, assicurano gli scienziati.

“Lo studio del nostro gruppo di ricerca – spiega in una nota Modelli, del Laboratorio sperimentale di ricerca interno al Dipartimento di malattie infettive – si è concentrato sulle cellule dell’immunità innata denominate ‘natural killer’ (uccisori naturali)”.

Sono battezzate così “perché intervengono rapidamente per contrastare l’invasione dei virus patogeni con cui veniamo a contatto tutti i giorni. Abbiamo dimostrato che esiste un difetto funzionale di queste cellule nelle epatiti virali croniche: presentano una normale o addirittura una maggiore capacità di ‘uccidere’ le cellule infette, ma sono incapaci di produrre una sufficiente quantità di interferone gamma”.

Pertanto i virus dell’epatite B e C persistono “indisturbati nel fegato dei pazienti che non sono in grado di eliminarli”, precisa. I virus – ricordano infatti gli esperti – vengono contrastati molto più efficacemente attraverso sostanze solubili come l’interferone gamma, che ha la possibilità di agire su un ampio numero di cellule del fegato infette. L’attività di ‘killing’ o uccisione, invece, è un rapporto diretto fra cellula natural killer e cellula bersaglio. Permette dunque di eliminare solo una cellula infetta alla volta: un processo molto più lento e inefficiente. La scoperta di Mondelli e colleghi “è estremamente importante e apre nuovi scenari terapeutici. La terapia antivirale delle epatiti croniche potrebbe infatti giovarsi del supplemento di immunostimolanti come l’interferone gamma e altre citochine ‘protettive’, allo scopo di correggere il difetto identificato e di eliminare così stabilmente i virus dal fegato”, concludono gli autori.

Hanno collaborato alla ricerca Barbara Oliviero e Stefania Varchetta.

FONTE: UNIVADIS-ADNKRONOS/SALUTE

18 persone su 100 soffrono di malattie mentali

Il 18% della popolazione ha sofferto di una malattia mentale nel corso della vita e il 7,3% nell’ultimo anno. E’ quanto emerge dallo studio “Stigma, depressione e altre patologie psichiatriche” realizzato da Antonio Tundo, della commissione Salute del dipartimento Pari opportunità della presidenza del Consiglio, e presentato al VI Forum internazionale della Salute (Sanit).

In particolare dall’indagine risulta che è la depressione ad essere la patologia più comune, “con il 10% di persone che ne ha sofferto nel corso della vita e il 3% nell’ultimo anno”. Il fenomeno, spiega Tundo, “risulta più diffuso tra le donne e tra coloro che vivono nelle regioni del Sud o sulle isole”. Più in generale si stima che i costi sociali per le malattie mentali in Europa ammontino a 240 miliardi di euro e che il 44% di questa spesa sia attribuibile alla sola depressione.
“Cifre – conclude l’esperto – pari a quelle sostenute per il cancro o per le patologie cardio-vascolari”.

“La salute delle donne – ha affermato il capo del Dipartimento delle Pari opportunità, Isabella Rauti – è un paradigma rivelatore del livello di civiltà e sviluppo di un Paese”. Proprio per questo, “consapevole dell’importanza e della delicatezza della materia, il ministro Carfagna ha costituito a ottobre 2008 una Commissione di Studio sulla Salute”.

Oltre al fenomeno delle patologie mentali, le questioni che in questi mesi sono state affrontate dalla Commissione, ha spiegato il presidente, professor Lucio Vizioli, riguardano la protezione dell’infanzia e della donna, il contenimento dei tagli cesarei e l’accesso alla sanità per le immigrate.
Isabella Rauti ha anche ricordato che, presso il Dipartimento, è istituita la Commissione per la prevenzione e il contrasto delle pratiche di mutilazioni genitali femminili.

“Il Ministero per le Pari Opportunità – ha precisato il capo di Gabinetto, Simonetta Matone – è dunque impegnato su diversi fronti e ha già avviato iniziative sulla questione della salute delle donne. Ma ci dobbiamo ricordare che quello alla salute è un diritto fondamentale che deve essere garantito a tutti i cittadini, uomini e donne, bambini, anziani ed immigrati, eliminando ogni tipo di discriminazione”. (ANSA)

Psicologia: le affinità elettive sono reali

Se una persona ci va a genio possiamo immedesimarci in lei e gioire dei suoi successi come se fossero nostri, proviamo empatia per il piacere degli altri e lo sentiamo come un piacere personale.

Questa immedesimazione profonda negli altri è stata scoperta da Luca Passamonti del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Cosenza e Dean Mobbs del Medical Research Council (MRC) di Cambridge in Gran Bretagna dove Passamonti si trova da circa tre anni. La ricerca è pubblicata sulla rivista di settore Science.

Gli esperti hanno mostrato video di presentazione di alcuni individui ai partecipanti e chiesto loro di dire quali delle persone presentate sentissero più affini. Poi hanno mostrato loro queste ultime mentre erano impegnate a vincere al gioco. Il cervello dei volontari è stato esaminato con la risonanza magnetica: è emerso che quando le persone loro affini vincevano al gioco, i volontari si immedesimavano in loro e il loro cervello attivava le aree della gratificazione come fossero loro stessi in prima persona a vincere.

Il meccanismo di immedesimazione scatta quando “si ‘sento vicino’ la persona che osserviamo giocare – ha spiegato all’ANSA Passamonti. Le affinità che generano l’immedesimazione possono essere di vario genere, corrispondenze caratteriali o semplice percezione che quella persona abbia in comune con noi attitudini sociali o creda nei nostri stessi valori”.

“Il nostro studio potrebbe spiegare perché gli esseri umani tendono ad essere intrinsecamente socievoli, perfino con persone sconosciute – ha sottolineato l’esperto. In ultima analisi, l’estrema socievolezza che caratterizza la specie umana potrebbe essere uno dei meccanismi che hanno portato la nostra specie ad evolversi rapidamente”.

E l’immedesimazione ha anche un’utilità pratica: “essere gratificati per le vittorie di altre persone che ci piacciono – ha aggiunto Passamonti – aiuta a ‘lavorare in squadra’ con loro e ad andare oltre il nostro ‘puro egoismo’ di sentirci gratificati solo quando siamo noi a vincere”.

fonte: ordine medici palermo

Pochi gli italiani… vitaminizzati !

Le vitamine sono dei salvavita perché proteggerebbero da infarti, ictus e malattie come diabete e obesità, ma sono sempre di più quelli che soffrono di gravi carenze. E’ l’allarme lanciato dagli esperti che si sono riuniti ieri a Roma per il XIV Simposio internazionale di Vitaminologia.

Secondo Alberto Fidanza, Fisiologo dell’università La Sapienza di Roma, “studi internazionali evidenziano che, se assunte in giuste dosi, determinate vitamine hanno un’azione fondamentale contro molte patologie. Spesso però gli stili di vita e l’alimentazione sembrano dimenticarsi dell’importanza di questi elementi”.

La funzione protettiva sarebbe svolta a livello di organi vitali come il cuore, il cervello, il fegato, il sistema endocrino e la cute.

“La vitamina C, l’acido pantotenico e l’acido nicotinico – ha spiegato Fidanza – proteggono ad esempio l’apparato cardiovascolare dall’accumulo di colesterolo e di grassi nel sangue. La vitamina E, con la C e il Beta carotene, è un fondamentale scudo contro i radicali liberi, coinvolti nella degenerazione di cellule e tessuti”.

Anoressia, scoperto difetto cerebrale che predispone alla malattia

Problemi con la famiglia, con i coetanei o semplicemente con la propria immagine. Nessuna di queste motivazioni di natura sociale sembrerebbe essere la vera ragione per cui una ragazza o un ragazzo sviluppa problemi del comportamento alimentare, come l’anoressia.

Alla base del disturbo, secondo uno studio inglese, ci sarebbe infatti una predisposizione genetica legata a un difetto nello sviluppo del cervello. Un’anomalia che si sviluppa già nell’utero materno. Parola dei ricercatori del Great Ormond Street Hospital di Londra, che ne parleranno questa settimana in una conferenza convocata all’Institute of Education della capitale inglese.

Per la rivoluzionaria ricerca – riporta il tabloid ‘Daily Mail’ – lo psichiatra infantile Ian Frampton ha studiato oltre 200 pazienti anoressici, in maggior parte donne fra i 12 e i 25 anni e di nazionalità britannica, americana e norvegese, ricoverati in cliniche specializzate di Edimburgo e Maidenhead. Dalle analisi è emerso che il 70% del campione ha un danno a livello della rete neurotrasmettitrice del cervello. Si tratta di condizioni tipiche anche di altre malattie come la dislessia, l’iperattività e la depressione. In sintesi, anche l’anoressia potrebbe diventare una malattia curabile con una pillola.

“Le motivazioni che finora si pensava fossero alla base dei disturbi alimentari, come la pressione dei modelli di magrezza imposti dai media – sottolinea Frampton – non spiegavano scientificamente come mai alcune persone cadono nella rete dell’anoressia e altre no. Esistono invece fattori predisponenti che, oltretutto, potranno sollevare i genitori dal senso di colpa e di responsabilità di fronte a un figlio malato. Si apre la strada per studiare farmaci che possano ristabilire l’equilibrio cerebrale di chi è colpito da questa malattia”.

fonte Quotivadis-Roma, 30 mar. (Adnkronos Salute)